In tema di condominio, le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell’edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi (al cui compimento l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130 n. 4 cod. civ.) possono essere esperite dall’amministratore solo previa autorizzazione dell’assemblea, ex art.1131 comma primo cod. civ., adottata con la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 stesso codice. Ove si tratti, invece, di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell’amministratore trova il suo fondamento soltanto nel mandato a lui conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione, e non anche nel predetto meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale – ad eccezione della (in tal caso equivalente) ipotesi di unanime deliberazione di tutti i condomini -, atteso che il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà (come nel caso di specie, relativo a domanda di rivendica proposta dall’amministratore per usucapione di un’area finitima al fabbricato) è del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale e può essere conferito, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati”. (Cass. n. 5147 del 2003, Rv. 561777).

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 marzo – 30 giugno 2014, n. 14797
Presidente Triola – Relatore Parziale
Svolgimento del processo

1. Il Condominio di (omissis), in persona dell’amministratore pro tempore, a ciò autorizzato dall’assemblea del 5 dicembre 2001 col voto unanime dei ventisette condomini presenti, titolari di 775 millesimi, agiva, tra l’altro, in rivendica nei confronti della condomina C.D.B. , quanto alla rampa, ritenuta condominiale, di accesso ad alcuni locali posti al piano seminterrato, sulla quale la predetta aveva realizzato tredici posti auto in superficie locati a terzi.
La signora C.D.B. eccepiva la nullità della procura e la carenza di legittimazione dell’amministratore. Con ordinanza in data 12 marzo 2003 il giudice istruttore, rilevata la fondatezza delle eccezioni della convenuta e ritenuta la causa sufficientemente istruita, rinviava la causa all’udienza del 18 marzo 2004 per la precisazione delle conclusioni. A tale udienza si costituivano, depositando atto d’intervento volontario, alcuni condomini.
2. La causa veniva trattenuta in decisione e con sentenza n. 2824 del 2004 del 1 luglio 2004 il Tribunale di Genova, in via non definitiva, respingeva le eccezioni preliminari, di inesistenza o nullità dell’atto di citazione per invalidità del mandato ad litem e di difetto di legittimazione attiva, sollevate da parte convenuta, e disponeva la remissione della causa in istruttoria per l’udienza del 12 ottobre 2004.
3. Avverso tale sentenza non definitiva la signora C.D.B. interponeva appello (atto notificato il 17 settembre 2004) con cui chiedeva che la Corte d’Appello di Genova dichiarasse: a) l’intervenuto giudicato sul provvedimento di natura decisoria del 12/3/03 in merito alla carenza di legittimazione ad agire dell’amministratore del condominio e sulla nullità del suo mandato condominiale all’azione e sulla conseguente inesistenza o nullità dell’atto di citazione introduttivo; b) in subordine, la carenza di legittimazione dell’amministratore condominiale ad agire per la rivendica della proprietà della rampa di accesso, c) la tardività della costituzione dei condomini intervenuti in giudizio solamente all’udienza di precisazione delle conclusioni e la loro carenza di legittimazione attiva, non avendo provato la loro qualità, spettando comunque la legittimazione attiva soltanto a tutti i condomini, nonché d) in ulteriore subordine l’intervenuta usucapione della proprietà della rampa.
Costituitisi ritualmente in giudizio il Condominio ed i singoli condomini intervenuti dichiaravano di non accettare il contraddittorio sulle domande di merito con rigetto dell’appello.
4. La Corte di appello, con sentenza n. 894 del 2007 pubblicata il 30 luglio 2007, rigettava l’impugnazione, osservando che il provvedimento del giudice istruttore del marzo 2003 non aveva contenuto decisorio, essendosi disposto il rinvio per la precisazione delle conclusioni. Non era quindi intervenuto alcun giudicato. L’azione di rivendica era stata legittimamente iniziata sulla base di una regolare delibera assembleare adottata ai sensi dell’art. 1136, secondo comma, cod. civ..
5. La ricorrente impugna tale decisione con ricorso notificato il 1 febbraio 2008, formulando cinque motivi di ricorso. Resiste con controricorso la parte intimata.
6. All’udienza pubblica del 10 luglio 2013 con ordinanza interlocutoria si disponeva il deposito della delibera condominiale che autorizzava l’amministratore a resistere in giudizio in questo grado.
7. Il 5 ottobre 2013 il Condominio depositava la delibera adottata al riguardo, in data 13 settembre 2013.
8. La ricorrente ha depositato memoria in data 3 luglio 2012, con la quale ha anche depositato la sentenza definitiva (non ancora passata in giudicato) di primo grado, che ha respinto la domanda del Condominio.
9. Parte resistente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato per quanto di seguito si chiarisce.
1. Col primo motivo di ricorso si deduce: “Omessa o insufficiente motivazione circa il contenuto decisorio dell’ordinanza resa dal giudice istruttore in data 13/3/2903; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 131, 132, 134 e 323 c.p.c. e 129 norme attuar C.p.c.”.
L’ordinanza del Giudice investito dell’istruzione e della decisione della causa, che aveva deciso sulla carenza di legittimazione attiva dell’amministratore, aveva il contenuto sostanziale di sentenza ed era idonea a passare in giudicato, ove non impugnata nei termini. In mancanza di tale impugnazione si era determinato il giudicato sul punto. La Corte di appello sulla relativa eccezione proposta non aveva fornito alcuna motivazione.
Viene formulato il seguente quesito: “se il provvedimento del G. U. 13/03/03, che esclude la legittimazione attiva dell’amministratore del condominio per l’anione di rivendica della rampa senza la delega di tutti i condomini, abbia contenuto decisorio e, non impugnato, sia da considerarsi definitivo. Se la Corte di Appello abbia errato nel non considerare decisorio e quindi passato in giudicato tale provvedimento”.
1.2 – Il motivo è infondato. L’ordinanza cui fa riferimento il motivo ha ritenuto fosse necessario decidere preliminarmente con sentenza sull’eccezione proposta dall’odierna ricorrente con invito alle parti alla precisazione delle conclusioni. Successivamente, la sentenza non definitiva resa su tale questione ha rigettato tale eccezione, disponendo per l’ulteriore corso del giudizio. L’ordinanza in questione ha pronunciato, senza alcuna attitudine al giudicato, soltanto al fine di consentire la decisione sulla questione preliminare, ben potendosi il giudice diversamente determinare, come in effetti è avvenuto, stante il carattere non decisorio dell’ordinanza in questione. Non sussistono, quindi, i vizi denunciati, né era necessaria una specifica e puntuale motivazione sul punto.
2. Col secondo motivo di ricorso si deduce: “Violazione o falsa applicazione degli artt. 1130 e 1131 cod. civ. e art. 81 e 75 c.p.c.”.
L’amministratore era carente di poteri in ordine all’azione di rivendicazione, essendo legittimati tutti i condomini o essendo l’amministratore a ciò autorizzato dall’assemblea unanime. Viene formulato il seguente quesito: “se alla rivendica della proprietà del bene immobiliare (rampa) siano legittimati unicamente tutti i singoli condomini e se l’amministratore sia invece carente di legittimazione e di capacità di agire per rivendicare tale proprietà, se non con il mandato di tutti i condomini”.
2.1 – Il motivo è infondato.
Al riguardo, occorre rilevare che questa Corte ha già avuto occasione più volte di affermare i seguenti principi:
– “l’amministratore di un condominio non è legittimato, senza autorizzazione dell’assemblea, all’esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell’edificio, a meno che non rientrino nel novero degli atti meramente conservativi” (Cass. n. 3044 del 06/02/2009 – Rv. 606686).
– “In tema di condominio, le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell’edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi (al cui compimento l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130 n. 4 cod. civ.) possono essere esperite dall’amministratore solo previa autorizzazione dell’assemblea, ex art.1131 comma primo cod. civ., adottata con la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 stesso codice. Ove si tratti, invece, di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell’amministratore trova il suo fondamento soltanto nel mandato a lui conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione, e non anche nel predetto meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale – ad eccezione della (in tal caso equivalente) ipotesi di unanime deliberazione di tutti i condomini -, atteso che il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà (come nel caso di specie, relativo a domanda di rivendica proposta dall’amministratore per usucapione di un’area finitima al fabbricato) è del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale e può essere conferito, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati”. (Cass. n. 5147 del 2003, Rv. 561777).
Nel caso in questione, non è controverso tra le parti che sia intervenuta delibera autorizzativa in favore dell’amministratore, adottata con la necessaria maggioranza, ai fini del proposizione dell’azione in questione, non di natura meramente conservativa, ma avente la funzione di accertare la natura condominiale di un bene (la rampa).
Sussiste, quindi, la legittimazione dell’amministratore, come autorizzato dall’assemblea condominiale, non essendo necessaria una deliberazione unanime, né la partecipazione al giudizio di tutti i condomini.
3 – Col terzo motivo di ricorso si deduce: “Omessa o insufficiente motivazione sulla eccezione di inesistenza e o nullità dell’intervento dei condomini effettuato quando ormai il procedimento si era estinto per l’intervenuto giudicato.
Violazione dell’art. 105 c.p.c. e del principio generale di diritto che l’intervento deve essere effettuato in processo pendente e non estinto”.
Sul punto la Corte d’Appello non si è pronunciata affatto.
Quesito di diritto: “se l’intervento dei condomini dopo il provvedimento decisorio 13103/03 sia da considerare inesistente o nullo”.
3.1 – Il motivo è infondato perché si fonda sull’assunto, a sua volta
infondato, che, a seguito dell’ordinanza su richiamata, si fosse già
determinato un giudicato. L’intervento in giudizio invece è stato effettuato all’udienza di precisazione delle conclusioni (sulla questione preliminare) e quindi era da ritenersi, sotto tale profilo, ammissibile.
4. Col quarto motivo di ricorso si deduce: “Omessa o insufficiente motivazione della sentenza della Corte d’Appello (così come di quella del Tribunale) in ordine alla eccezione di carenza di legittimazione attiva dei sedicenti condomini intervenuti non avendo costoro dimostrato la loro qualifica di condomini: violazione art. 81 e 75 c.p.c.”.
Quesito di diritto: “se la Corte d’Appello abbia violato l’art. 360, n. 5 c.p.c. non pronunciandosi sulla eccezione di carenza di prova della legittimazione e della capacità di agire da parte dei sedicenti condomini intervenuti. Se l’intervento dei sedicenti condomini non violi gli art. 81 e 76 c.p.c. non avendo essi provato la loro titolarità del diritto fatto valere e, conseguentemente, se la Corte d’Appello abbia commesso violazione di legge non applicando tali norme”.
4.1 – Il motivo è infondato. Come si è detto, l’intervento in giudizio degli altri condomini si è verificato in un momento in cui la causa, nel merito, non aveva ancora avuto inizio. La verifica della relativa legittimazione sarebbe potuta intervenire successivamente, ove, come nel caso in questione, la causa fosse proseguita nel merito, essendo sufficiente al momento la sola prospettazione della qualità di condomino. La decisione non definitiva poi intervenuta e la successiva immediata impugnazione in appello, non ha reso necessaria una specifica decisione sul punto, non essendosi definita la causa, ma avendo le decisioni in questione risolto la sola questione della legittimazione dell’amministratore, a ciò autorizzato dall’assemblea condominiale non totalitaria.
5 Col quinto motivo di ricorso si deduce: “Omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata sull’eccezione di carenza di legittimazione attiva dei condomini intervenuti. Violazione di legge per contrasto con l’art. 81 cod. proc. civ.”.
Quesito di diritto: “se non sussista sulla eccezione di carenza di legittimazione attiva dei condomini intervenuti vizio totale o parziale di motivazione della sentenza della Corte d’Appello e se i condomini intervenuti non siano carenti di legittimazione anche per contrasto con l’art. 81 c.p.c., a far valere un diritto di proprietà che influirebbe anche sugli altri condomini e sul condominio nel suo complesso e se conseguentemente la Corte d’Appello non abbia commesso violazione di legge non applicando tale norma”.
5.1 – Anche tale ultimo motivo è infondato, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il Condominio si configura come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, così che l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale è l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale; di conseguenza, la legittimazione ad agire a tutela delle cose comuni trova fondamento nell’esercizio dei poteri inerenti al diritto di comproprietà di cui ciascun condomino è titolare (vedi di recente Cass. n. 18028 del 03/08/2010, Rv. 614474).
Sussisteva, quindi, la legittimazione ad intervenire in giudizio da parte dei singoli condomini, trattandosi di agire a tutela della cosa comune.
6. Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 3.000,00 (tremila) EURO per compensi e 200,00 (duecento) Euro per spese, oltre accessori di legge.

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