Il diritto di condominio sulle parti comuni dell’edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l’esistenza dell’edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune, sicché la presunzione di comproprietà posta dall’art. 1117 cod. civ., che contiene un’elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 marzo – 4 giugno 2014, n. 12572
Presidente Triola – Relatore Giusti

Ritenuto in fatto

1. – Con atto di citazione del 9 dicembre 1987, S.V. , Se.Gi.Pi. , G.A. e O.L. , condomini assegnatari di alloggi facenti parte dell’edificio G/1 sito in (omissis) , convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Società cooperativa edilizia a r.l. ATLAS e i soci della stessa B.P. , (+Altri) , esponendo: (a) che la ATLAS, dopo avere realizzato in (…) nel piano di zona (omissis) un complesso di abitazioni economico-popolari composto di quattro fabbricati distinti con le lettere 6/1, 6/2, 6/3 e T/10 per complessivi 152 alloggi, aveva provveduto in data 21 maggio 1981 al frazionamento dei fabbricati ed al conseguente accatastamento delle singole unità immobiliari; (b) che in data 21 giugno 1981 il consiglio di amministrazione della Cooperativa, stante l’avvenuta ultimazione degli alloggi sociali ed il frazionamento dei mutui fondiari gravanti sul complesso immobiliare sociale, aveva deliberato di procedere all’assegnazione degli alloggi e aveva approvato i regolamenti di condominio, uno per ciascuno dei fabbricati; (c) che sempre nell’anno 1981 la Cooperativa aveva proceduto ad assegnare ai soci le rispettive porzioni immobiliari; (d) che, a causa dell’andamento inclinato del suolo sul quale era stata costruita, la struttura portante del fabbricato G/1 conteneva al suo interno, in corrispondenza dei piani rialzato, primo e secondo, volumi non specificamente individuati né millesimati nel regolamento di condominio e pertanto rientranti per residuo tra le parti comuni; (e) che in una porzione di dette volumetrie erano collocati impianti e servizi condominiali, mentre altre porzioni, a ridosso delle unità immobiliari ad uso abitativo dei piani rialzato, primo, secondo e terzo, nel 1984 erano state dalla Cooperativa cedute in proprietà ai convenuti, condomini assegnatari degli appartamenti finitimi, dopo averle censite come “vani di sgombero” al catasto nel marzo 1984; (f) che le singole assegnazioni erano avvenute con atti autenticati dal notaio Bissi di Roma; (g) che, per contro, per effetto della formazione del regolamento di condominio e delle assegnazioni degli alloggi, ogni diversa parte dell’edificio G/1, comprese le volumetrie de quibus, costituiva proprietà comune di tutti i condomini di detto edificio e pro quota degli esponenti.
Tanto premesso, gli attori chiesero al Tribunale di dichiarare di proprietà comune dei condomini dell’edificio G/1 le volumetrie di cui è causa; di dichiarare l’illegittimità del censimento catastale di dette volumetrie come “vani di sgombero” da parte della Cooperativa ATLAS e la nullità degli atti di cessione delle medesime autenticati dal notaio Bissi, nonché la nullità dell’atto 17 ottobre 1986 ai rogiti del notaio Pennacchi di Roma con cui i convenuti Li.Gi. e T.R. avevano ceduto il loro immobile a C.R. ; di ordinare agli attuali possessori il rilascio immediato dei beni oggetto dei suddetti contratti di cessione, previa eliminazione di tutte le opere illegittimamente eseguite; di condannare i convenuti in solido al risarcimento dei danni.
Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, ad eccezione di B.P. , A.R. e An.Fa. , resistendo; la Cooperativa ATLAS chiese, altresì, in via riconvenzionale, la condanna del Se. al pagamento della somma di L. 2.000.000 oltre interessi quale saldo del prezzo di assegnazione dell’alloggio.
2. – Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 34998 del 2001, in accoglimento della domanda, dichiarò la proprietà comune dei condomini dell’edificio G/1 delle porzioni immobiliari per cui è causa; condannò i convenuti alla immediata demolizione delle opere eseguite nelle suddette porzioni; rigettò la domanda di risarcimento dei danni; rigettò la riconvenzionale proposta dalla Cooperativa nei confronti del Seghetti; condannò i convenuti condomini, in solido, alla refusione delle spese di lite; dichiarò interamente compensate le spese di lite tra gli attori e la Cooperativa.
3. – Con sentenza in data 25 maggio 2011, la Corte d’appello di Roma ha accolto per quanto di ragione l’appello proposto da M.S. ed altri e l’appello proposto da B.P. e da A.R. , ha accolto l’appello incidentale proposto da S.A. e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, ha rigettato la domande proposte da S.V. , Se.Gi.Pi. , G.A. e O.L. ; ha rigettato l’appello incidentale proposto da questi ultimi; ed ha regolato le spese processuali.
3.1. – La Corte d’appello ha rilevato che gli spazi oggetto di vertenza sono ubicati tra i singoli alloggi originari degli appellanti ed il terrapieno, con accesso attraverso vani porta creati nella tamponatura degli alloggi medesimo ed essendo privi di areazione diretta devono essere ritenuti come vani accessori. Detti spazi, per come sono ubicati, sono ben utilizzabili dagli appartamenti a confine sul lato lungo degli stessi; tuttavia, essendo tali spazi anche a confine con i vani scala, vi si potrebbe accedere attraverso passaggi creabili nella tramezzatura del vano scala corrispondente, mentre per gli spazi del piano primo il collegamento potrebbe essere realizzato attraverso lo spazio sottostante il vano cantine.
Avuto riguardo alla descrizione dei locali per cui è causa contenuta nella espletata c.t.u., la Corte territoriale ha escluso che le porzioni immobiliari per cui è processo, censite in catasto come “vani di sgombero”, possano essere considerate come parte della proprietà comune condominiale dei condomini dell’edificio G/1. Tali locali – ha sottolineato la Corte d’appello – sono dotati di propria autonomia ed indipendenza e sono privi di un’originaria destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello S.V. , Se.Gi.Pi. , G.A. e O.L. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 29 ed il 31 maggio 2012, sulla base di dieci motivi.
Hanno resistito, con separati atti di controricorso, M.S. ed altri, Sa.Al. , e P.M. con P.A. .
La Cooperativa ATLAS e gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.

Considerato in diritto

1. – Con il primo motivo (violazione o falsa applicazione dell’art. 166 cod. proc. civ.) ci si duole che sia stata esclusa la nullità della costituzione in giudizio in primo grado di tutte le parti convenute, nonostante la costituzione in giudizio sia avvenuta nella prima udienza – “producendo atti tra cui la comparsa di risposta con deleghe, alcune delle quali non sottoscritte e/o non autenticate, senza delibera societaria che autorizzasse la costituzione in lite e senza la prova del titolo di rappresentante sottoscrittore del mandato della società Cooperativa ATLAS” – da parte di “persona non delegata e non abilitata alla professione, non in possesso del titolo di procuratore legale, necessario per poter svolgere… attività procuratoria, quale la costituzione in giudizio”.
Con il secondo mezzo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 83 cod. proc. civ. per difetto di procura. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, l’Avv. P. non rappresentava B.P. , A.R. e A.F. , né risultano sottoscritti dal procuratore per autentica i mandati conferiti da R.A. e L.G. in calce agli atti di citazione notificati.
Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 83 cod. proc. civ., deducendosi che l’Avv. Sigillò si costituì per la Cooperativa convenuta, in corso di causa e senza procura recante autentica notarile, senza che risultasse la delibera della Cooperativa che aveva autorizzato il legale rappresentante a costituirsi in giudizio, né il conferimento da parte del legale rappresentante al difensore costituito per la proposizione di domande riconvenzionali.
2. – I primi tre motivi – da esaminare congiuntamente, stante la loro stretta connessione – sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili.
Per un verso, con riguardo alla costituzione in giudizio dei convenuti alla prima udienza dinanzi al Tribunale per il tramite di un delegato non abilitato all’esercizio della professione legale, la Corte d’appello, nel confermare la pronuncia di primo grado (che aveva escluso la sollevata eccezione preliminare di nullità), ha non solo rilevato che le procure alle liti erano state tuttavia conferite a difensore munito dei necessari requisiti, ma ha anche sottolineato, con autonoma ratio, che il contenuto di quegli atti di costituzione era stato ribadito in successivi atti, cosi evidentemente prospettandosi una sanatoria del vizio per effetto della ratifica svolta dall’avvocato difensore. Questa seconda ratio non è idoneamente censurata dai ricorrenti, i quali si limitano a sostenere, ma in via meramente assertiva, che “A nulla rileva… il raggiungimento attraverso atto nullo e/o inesistente”.
A ciò aggiungasi che, in ogni caso, la materiale attività del deposito (in cancelleria o direttamente in udienza) del fascicolo di parte contenente gli atti ed i documenti prescritti può essere eseguita anche a mezzo di un nuncius qualificato, collaboratore di studio o altro legale pur difettante dello ius postulandi, davanti al giudice della causa, trattandosi di formalità meramente esecutiva, priva di qualsiasi contenuto volitivo autonomo, che nulla toglie alla riferibilità immediata dell’atto al procuratore patrocinante (Sez. III, 1 giugno 2001, n. 7449; Sez. II, 13 dicembre 2006, n. 26737).
In ordine alle lamentate carenze relative al conferimento delle procure da parte dei convenuti nel giudizio di primo grado, la Corte d’appello ha non solo escluso che “alcune deleghe siano prive di sottoscrizione e/o non autenticate”, ma ha altresì evidenziato, in via logicamente preliminare, la genericità della censura articolata al riguardo dagli appellanti in via incidentale S. ed altri, per non avere costoro indicato “a quali parti siano riferibili dette doglianze”. Ora, a fronte di una statuizione della Corte d’appello di difetto di specificità del motivo di gravame incidentale, i ricorrenti avrebbero dovuto, in questa sede, denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., e non limitarsi a lamentare la violazione o la falsa applicazione dell’art. 83 cod. proc. civ..
Quanto, poi, alla costituzione in giudizio della Cooperativa ATLAS, la Corte d’appello ha escluso la sussistenza dei denunciati vizi. I ricorrenti dissentono, rilevando che vi sarebbe una mancata dimostrazione della delega di poteri del legale rappresentante, ma non deducono, nel rispetto del principio di specificità della censura ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., come questa contestazione sia avvenuta in primo grado: deduzione, questa, necessaria, posto che, in tema di rappresentanza delle persone giuridiche, in mancanza di tempestiva contestazione della controparte, l’indicazione del potere rappresentativo derivante alla persona fisica dalla posizione occupata nella società è sufficiente ai fini della validità della procura (Sez. lav., 28 settembre 2011, n. 19824).
2. – Con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., sotto un duplice profilo: (a) perché la sentenza di appello avrebbe accolto alcune domande proposte dagli appellanti contumaci in primo grado (B.P. e A.R. ), “accogliendo indi motivi di appello relativi a domande ovviamente non proposte in primo grado”; (b) perché la sentenza è stata emessa a favore anche di Sa.Al. considerato e riconosciuto come costituito in appello e liquidando a suo favore somme per spese legali sia per il giudizio di appello che, separatamente dagli altri, per il primo grado; il Sa. “è rimasto contumace, pressoché irreperibile, tanto da essere destinatario di notifiche di atti da parte degli appellanti fino al 22 dicembre 2008”.
Il quinto mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 359 e 91 cod. proc. civ.) lamenta che le spese relative al giudizio di primo grado in favore del Sa. siano state liquidate due volte, in violazione degli artt. 359 e 91 cod. proc. civ..
2.1. – È infondata la denuncia – articolata con la prima parte del quarto mezzo – di violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. A parte la genericità della doglianza, non essendo specificate in ricorso quali sarebbero le domande nuove accolte dal giudice d’appello, occorre rilevare che dallo stesso testo della sentenza impugnata risulta che nessuna “domanda nuova” proposta in appello dagli appellanti B.P. e A.R. , contumaci in primo grado, ha accolto la Corte territoriale, essendosi questa limitata, in accoglimento del loro gravame, a rigettare le domande proposte in primo grado da S.V. ed altri.
2.2. – È invece fondata la censura veicolata con la seconda parte del quarto motivo e riproposta con il quinto motivo.
Poiché, infatti, in primo grado Sa.Al. si è costituito, rappresentato e difeso dall’Avv. Oscar Pierotti, unitamente ai convenuti M.S. ed altri, mentre si è difeso autonomamente soltanto in appello, proponendo anche appello incidentale, ha errato la Corte d’appello a liquidare in favore del Sa. le spese del primo grado separatamente dagli altri litisconsorti.
3. – Il sesto mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 cod. civ. e 68 disp. att. cod. civ.. Le porzioni immobiliari di cui si discute avrebbero natura di spazi comuni. Infatti, l’elencazione di cui all’art. 1117 cod. civ. non è tassativa, mentre ai sensi dell’art. 68 disp. att. è tassativa l’elencazione in regolamento di condominio delle porzioni di fabbricato in proprietà esclusiva, e quelle oggetto di causa non sono elencate tra le proprietà in esclusiva nel regolamento. Si sottolinea, inoltre, che i costi di realizzazione dei vani contestati furono ripartiti sulle altre unità immobiliari legittime, compresi gli alloggi dei ricorrenti, e che tali spazi sono indicati tra le aree comuni sin dal regolamento condominiale del 25 giugno 1981.
3.1. – Il motivo è infondato.
Il diritto di condominio sulle parti comuni dell’edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessaria per l’esistenza dell’edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune, sicché la presunzione di comproprietà posta dall’art. 1117 cod. civ., che contiene un’elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.
A questo principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. II, 28 febbraio 2007, n. 4787; Sez. II, 2 agosto 2010, n. 17993), la Corte d’appello si è correttamente attenuta, dopo aver accertato, con logico e motivato apprezzamento, che gli spazi oggetto di vertenza, mancanti di areazione diretta, sono privi di un’originaria destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale, mentre sono ben utilizzabili dagli appartamenti a confine sul lato lungo degli stessi, “da cui i detti locali hanno unico accesso”; e dopo avere sottolineato che il costo di realizzazione nonché le spese di manutenzione di detti locali sono rimasti, sul piano finanziario della Cooperativa, accollati esclusivamente ai soci direttamente interessati al loro uso e godimento.
Nel contestare gli accertamenti cui è motivatamente pervenuto il giudice del merito, i ricorrenti, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge, tendono, in realtà, ad una (non ammissibile in sede di legittimità) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito.
Sotto questo profilo, i ricorrenti invocano una diversa lettura delle risultanze procedimentali cosi come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo cosi all’impugnata sentenza censure che non possono trovare ingresso in questa sede, perché la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge, ma censura non il principio di diritto affermato, ma l’accertamento, compiuto dalla Corte territoriale, della natura dei locali per cui è causa.
4. – Il settimo mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2380, 2516 e 2535 cod. civ.) sostiene che la natura di spazi comuni delle opere realizzate, peraltro in difformità dal progetto e dalla concessione edilizia, impediva la possibilità di atti dispositivi sulle stesse da parte degli organi della Cooperativa.
4.1. – Si tratta di una censura che cade per effetto del rigetto del sesto motivo. La doglianza presuppone, infatti, la natura comune degli spazi in questione, quando la Corte d’appello – con statuizione resistita alla censura articolata in questa sede con il sesto motivo – ne ha escluso la contitolarità tra i condomini.
5. – L’ottavo motivo (violazione o falsa applicazione degli artt. 1418, secondo comma, cod. civ., 15 della legge n. 10 del 1977, 40 della legge n. 47 del 1985) censura che la sentenza di appello, riconoscendo la proprietà esclusiva, legittimerebbe l’acquisto di oggetti illeciti quali effettivamente sono i cespiti immobiliari realizzati abusivamente.
5.1. – Il motivo è privo di fondamento, perché basato su mere allegazioni (la realizzazione totalmente abusiva e non sanata dei cespiti immobiliari accompagnata dalla loro acquisizione attraverso “formalità notarili contenenti affermazioni false”) che non trovano un diretto riscontro negli accertamenti compiuti dalla Corte d’appello e risultanti dalla sentenza impugnata.
6. – Il nono motivo lamenta omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla valutazione della validità di alcuni atti della Cooperativa.
6.1. – Il motivo non coglie nel segno.
Innanzitutto, perché muove ancora una volta da una premessa (l’impossibilità per la Cooperativa di “disporre in ordine alla qualificazione giuridica di una porzione immobiliare”) superata dal rigetto del sesto motivo del presente ricorso.
In secondo luogo perché, pur lamentandosi che l’”assemblea non fu tale a nessun effetto, in quanto non vi furono convocati tutti i soci e vi parteciparono soggetti estranei alla Cooperativa, decise su argomenti non all’ordine all’ordine e non fu mai portata a conoscenza dei soci non presenti), non viene superato l’accertamento, compiuto dalla Corte territoriale, che in realtà da nessun atto risulta che le delibere assunte dal consiglio di amministrazione e dall’assemblea dei soci siano state oggetto di contestazione ed impugnazione da parte degli attori S. ed altri.
7. – Il decimo mezzo denuncia omessa o insufficiente motivazione sul fatto, controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla valutazione di elementi probatori non acquisiti al giudizio e nella loro errata interpretazione.
7.1. – Il motivo è inammissibile.
Esso si dirige contro l’affermazione (contenuta “in un unico, complesso, completamente erroneo inciso, al fine di esporre l’esclusione dalla comunione condominiale delle unità immobiliari di cui si discute”) secondo cui “(1) in esse non sono collocati servizi comuni; (2) non hanno un possibile utilizzo comune perché non possono essere posti in collegamento con beni comuni, in particolare con il vano scale per le ragioni di sicurezza evidenziate dal Comando provinciale VV.FF. con nota del 3/10/1975; (3) sono accessori all’alloggio a cui sono annessi, come anche evidenziato nella c.t.u.; (4) sono state oggetto di concessione in sanatoria; (5) peraltro non è stato precisato quale tipo di pregiudizio il Condominio o gli attori abbiano avuto dalla esecuzione delle opere relative a detti vani”.
In realtà, la suddetta affermazione non fa parte del ragionamento della Corte d’appello, ma della sintesi narrativa, compiuta dalla Corte, del primo motivo di appello (v. pag. 14, a partire dal terzo rigo, che è logicamente retta dalla proposizione “In ordine al primo motivo… gli appellanti osservano” che trovasi nell’ultimo paragrafo della precedente pag. 13).
Il ragionamento decisorio della Corte territoriale inizia con l’ultimo paragrafo, alla terzultima riga, di pag. 14, con il seguente periodo: “Osserva la Corte che il secondo motivo di gravame proposto dagli appellanti principali dei due giudizi riuniti è meritevole di accoglimento per le seguenti considerazioni”. Di tale ragionamento non fa parte il virgolettato contro cui si appunta la censura veicolata con il motivo.
8. – Il ricorso è accolto limitatamente al quarto motivo, in parte, e al quinto motivo, ed è rigettato o dichiarato i-nammissibile nel resto.
La sentenza impugnata è cassata limitatamente al capo relativo alla condanna, in favore dell’appellato Sa. , anche delle spese del primo grado, separatamente dagli altri litisconsorti M.S. ed altri.
La causa può essere decisa nel merito con l’esclusione di tale separata liquidazione delle spese di primo grado, dovendo il Sa. essere incluso nella liquidazione già contenuta, nel precedente capo del dispositivo della sentenza di primo grado, a favore di “M. + altri”.
9. – La complessità di alcune delle questioni trattate e il diverso esito della lite nei due gradi di merito giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo, in parte, ed il quinto motivo di ricorso; rigetta, il ricorso nel resto; cassa la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alla condanna separata degli appellanti soccombenti S.V. ed altri in favore dell’appellato Sa.Al. in relazione al giudizio di primo grado, ferma la separata liquidazione in relazione al grado di appello, e, decidendo nel merito, comprende il Sa. , quanto alle spese di primo grado, nella liquidazione cumulativa (di Euro 5.5000, ivi compresi Euro 1.350 per diritti ed Euro 3.800 per onorari) effettuata in favore degli appellanti “M. + altri” ed a carico degli appellati soccombenti S. ed altri; dichiara interamente compensate tra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *