Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile – Sentenza 3 agosto 2012, n. 14107

Condominio negli edifici – Parti comuni dell’edificio – Tetto – Trasformazione di una parte del tetto dell’edificio condominiale in terrazza ad uso esclusivo – Legittimità – Condizioni e limiti – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere

Dott. MATERA Lina – Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22074-2010 proposto da:

(OMISSIS) SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 822/2003 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 19/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/04/2012 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore della ricorrente che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1) La controversia concerne l’azione di rimessione in pristino promossa dai proprietari del piano terra di un edificio, sito in (OMISSIS), nei confronti della societa’ A.D.I.R. srl, proprietaria di soffitte asseritamente trasformate in mansarde abitabili, con parziale abbattimento del tetto e innalzamento della parte residua di esso.

La resistenza della convenuta e’ stata imperniata sul diritto di eseguire modifiche e innovazioni in forza di piu’ convenzioni intercorse tra gli attori ( (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS)) e i propri danti causa.

Il tribunale di Pistoia ha rigettato la domanda sul rilievo dell’inesistenza di un regolamento di condominio e della portata onnicomprensiva degli accordi intercorsi.

La Corte di appello di Firenze il 19 giugno 2009 ha accolto il gravame interposto dai sigg. (OMISSIS) – (OMISSIS) e, riconosciuta l’esistenza del condominio, ha escluso che nell’ambito degli accordi fosse stata consentita anche la modifica del tetto.

Ha pertanto disposto la “riduzione in pristino stato del tetto condominiale dell’edificio.

Srl (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 20 settembre 2010, articolato su 5 motivi.

Gli attori (OMISSIS) – (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2) Con il primo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 100 e 1117, in relazione agli articoli 1362, 1363, 1366, 1367 e 1371 c.c., la ricorrente contesta la natura condominiale dello stabile di (OMISSIS), assumendo che “dalle convenzioni inter partes” si ricava la comune intenzione di esse di non costituire alcun condominio.

La censura e’ imperniata sulla tesi che il condominio si forma solo se non c’e’ un regolamento negoziale contrario al suo sorgere, in quanto i beni elencati nell’articolo 1117 c.c. sono comuni solo “se il contrario non risulta dal titolo”.

Nel caso di specie il titolo sarebbe costituito dalle convenzioni firmate dalle parti e/o dai loro danti causa, ove correttamente interpretate.

Le parti avrebbe voluto sciogliere la comunione senza costituire un condominio, ma dettando una “disciplina alternativa a quella codicistica”, come si dovrebbe desumere da tre elementi specificati nel quesito di diritto: c.1) aver dettato disposizioni analitiche circa la proprieta’ di strutture elencate all’articolo 1117; c.2) aver dato alle parti la facolta’ di compiere interventi edilizi senza corrispondere alcuna indennita’; c.3) aver attribuito alla parte titolare del sottotetto la facolta’ di modificarlo creando balconi, con cio’ consentendo anche la sopraelevazione del tetto per poter accedere ai locali dai quali i balconi dovevano aggettare.

2.1) La censura e’ manifestamente infondata.

La Corte d’appello ha correttamente ritenuto che la presenza di piu’ proprietari di singole unita’ immobiliari poste nello stesso stabile fosse sufficiente a dar conto della avvenuta formazione del condominio (risalente, par di capire da quanto riferito a pag. 8 del ricorso, all’atto di divisione del 1979 tra (OMISSIS) e i signori (OMISSIS) – (OMISSIS), questi ultimi danti causa di srl (OMISSIS)), con la proprieta’ comune dei beni indicati all’articolo 1117 c.c..

Per contestare cio’, il ricorso si sforza di dimostrare l’esistenza di un titolo contrario.

Il ricorso chiede in sostanza un riesame dell’interpretazione contrattuale alla luce della intenzione che sarebbe stata manifestata dalle parti e dell’interpretazione complessiva delle clausole.

I brani degli atti riportati in ricorso non evidenziano pero’ alcun vizio interpretativo consistente nel non aver compreso l’esistenza di un titolo contrario alla proprieta’ comune.

Si riportano infatti: 1) pattuizioni relative all’assenso alla modifica, ampliamento e spostamento di finestre; alla possibilita’ di innalzare una canna fumaria (punto A. 2 pag 8 ricorso). 2) pattuizioni relative a costituzioni di servitu’ in cambio delle quali (OMISSIS) avrebbe ottenuto il diritto di edificare e mantenere balconi al piano prima e piano soffitte (punto A. 3). 3) Facolta’ di effettuare intereventi di ristrutturazione edilizia nella proprieta’ (OMISSIS) – (OMISSIS) con rinuncia ad ogni indennita’ (punto A.7).

A fronte di simili riferimenti, non e’ dato comprendere come da essi si possa evincere che non sia stata semplicemente pattuita una attribuzione di singole unita’ immobiliari in scioglimento della originaria comproprieta’, con conseguente nascita del condominio.

Non vi e’ invero alcuna specifica attribuzione della proprieta’ (almeno) delle parti elencate nell’articolo 1117 a ciascun singolo condomino, ne’ viene segnalata la presenza di una clausola specificamente contraria al disposto dell’articolo 1117. Le pattuizioni invocate confermano invece la piena consapevolezza delle parti degli obblighi condominiali nascenti dalla costituzione del condominio, essendosi esse preoccupate di concedersi deroghe a facolta’ di modifiche e ampliamenti delle parti private che avrebbero potuto essere altrimenti inibite o ostacolate dai condomini.

E’ dunque evidente la consapevolezza dei contraenti di trovarsi in regime condominiale e la preoccupazione di derogarla limitatamente a quanto specificamente assentito.

La mancanza di ogni riferimento alla volonta’ di derogare all’istituto condominiale o alla proprieta’ dei principali beni comuni rende gia’ sufficientemente conto della infondatezza della tesi dedotta in questa prima censura.

3) Il secondo motivo, che denuncia vizi di motivazione, censura la sentenza per aver ritenuto che la terrazza a tasca realizzata “lato strada” avrebbe natura condominiale, “essendo invece pacifico che essa ricade integralmente su una porzione del piano di calpestio dell’attico di proprieta’ esclusiva”.

La doglianza non merita accoglimento.

La sentenza impugnata non ha inteso affermare quanto parte ricorrente teme.

Essa, sia pure con espressione non cristallina, ha affermato soltanto, in accordo con la giurisprudenza specificamente citata, che la demolizione di parte della falda aveva dato luogo a una struttura – sostitutiva del tetto a falda – che per usucapione avrebbe fatto “insorgere la proprieta’ individuale su quella parte che in precedenza era comune”.

Cio’ significa – e in tal senso va intesa la motivazione – che si sarebbe consumata una definitiva appropriazione di quella parte del tetto spiovente, in violazione dei diritti di comproprieta’ e delle inerenti facolta’ di uso degli altri condo’mini, non piu’ rimovibile trascorsi venti anni.

Cio’ e’ reso palese dal riferimento testuale alla parte che era comune e dal preciso richiamo di Cass. 3199/83, la quale ha considerato proprio come appropriazione di cosa comune “la trasformazione in terrazzo di parte del tetto di copertura di un edificio condominiale ad opera del condomino proprietario del piano adiacente e non sottostante e l’annessione del terrazzo alla sua proprieta’ esclusiva”

Chiarito che la sentenza non ha voluto riferirsi ad usucapione del piano di calpestio della neo costituita terrazza, cioe’ di quel che era parte del pavimento dell’appartamento di parte convenuta, la doglianza risulta infondata.

4) Il terzo motivo muove dalla tesi esposta nel precedente, al quale e’ strettamente connesso.

Parte ricorrente, timorosa, per equivoco sulla reale portata della decisione impugnata, che sia stato affermato che la terrazza costituisce “un lastrico solare di natura condominiale”, attacca questa ipotesi sotto piu’ profili.

Denuncia quindi violazione e falsa applicazione degli articoli 112 c.p.c. e articolo 2909 c.c., sostenendo che sarebbe stata in tal modo perpetrata ultrapetizione, perche’ parte attrice non aveva mai domandato l’accertamento della proprieta’ condominiale del lastrico solare e violazione del giudicato interno, perche’ la sentenza di primo grado, non impugnata sul punto, aveva stabilito che il terzo piano era di proprieta’ della odierna ricorrente.

Le censure, atteso quanto esposto al paragrafo precedente, sono inammissibili, poiche’ non colgono una ratio decidendi della sentenza. Mette conto in proposito osservare che anche parte controricorrente, che se ne sarebbe potuta giovare, non ipotizza neppur lontanamente che la Corte d’appello abbia voluto pronunciare nel senso fatto oggetto di censura.

Anch’essa prudentemente interpreta la pronuncia impugnata secondo l’unico significato congruente: aver voluto sancire la condominialita’ del tetto a falda e l’abusivita’ dell’alterazione di esso, tale da impedire agli altri condomini di far uso di quella parte di tetto demolita per costituire la terrazza (controricorso pag. 24 e 25).

5) Il cuore del ricorso, che merita sul punto accoglimento, e’ nel quarto motivo, ove si censura la sentenza della corte territoriale per “non aver accertato l’ammissibilita’ ex articolo 1102 c.c. degli interventi effettivamente eseguiti da (OMISSIS) srl sul tetto”. Sebbene la rubrica del motivo menzioni solo il vizio di motivazione, il motivo prospetta in realta’ un errore di diritto, come e’ reso palese dal quesito con cui si conclude, formulato ex articolo 366 bis c.p.c..

Parte ricorrente deduce che la modifica consistente nel taglio della parte finale della falda di copertura sul lato di via (OMISSIS), con appoggio finale non piu’ sul vecchio muro, ma su “nuovo muro perimetrale arretrato rispetto al preesistente”, costituisce uso della cosa comune consentito ex articolo 1102 c.c., non avendo conseguenze dannose per gli altri condomini. Altrettanto varrebbe, ex articolo 1127 c.c., per l’innalzamento della copertura condominiale, ove “la sopraelevazione non comporti la realizzazione di un nuovo piano o di una nuova fabbrica”.

Le censure sono fondate.

Un ripetuto orientamento della Corte (Cass. 3199/83; 4466/97; 1737/05) tramanda che la trasformazione in terrazzo del tetto di copertura di un edificio condominiale ad opera del condomino proprietario del piano adiacente e non sottostante e l’annessione del terrazzo alla sua proprieta’ esclusiva, mediante creazione di un accesso diretto per uso a lui solo riservato, e’ illegittima, in quanto tale attivita’, oltre a non essere riconducibile all’esercizio del diritto di sopraelevazione attribuito al proprietario dell’ultimo piano dello edificio condominiale, realizza, per un verso, alterazione unilaterale della funzione e destinazione, di mera copertura e protezione delle sottostanti strutture, propria del tetto preesistente, e, per altro verso, comporta appropriazione di cosa comune, che integra violazione dei diritti di comproprieta’ e delle inerenti facolta’ di uso e godimento (secondo la sua natura) spettanti agli altri condomini in ordine a parte comune dello edificio (v. anche 4579/81; 3369/91 e 8777/94).

Si e’ detto pertanto che la eliminazione del tetto dell’edificio trasformato dal proprietario dell’ultimo piano in terrazza ad uso esclusivo e1 illegittima perche’ impedisce agli altri condomini di poterlo utilizzare per quella finalita’ (Cass. 24414/06).

Si e’ aggiunto (Cass. 972/06) che e’ illegittima la trasformazione, perche’ la cosa comune viene sottratta all’ utilizzazione da parte degli altri condomini, ed e’ mutato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, avuto riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. In tal senso conclude anche Cass. 5753/07, in un caso nel quale i proprietari esclusivi di tutto il sottotetto avevano asportato una “minima” porzione, pari a 9 mq su 150 mq di estensione.

6) Il Collegio reputa che questo orientamento debba essere ripensato sotto piu’ profili.

In primo luogo occorre rilevare una linea di incoerenza di esso con quella giurisprudenza, rafforzatasi nel corso di questi anni, che da facolta’ ai condomini di aprire porte e finestre nei muri perimetrali.

E’ da tempo ricorrente l’affermazione che l’ampliamento o l’apertura di una porta o finestra, da parte di un condomino, o la trasformazione di una finestra, che prospetta il cortile comune, in porta di accesso al medesimo, mediante lo abbattimento del corrispondente tratto del muro perimetrale che delimita la proprieta’ del singolo appartamento, non costituisce, di per se’, abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune (Cass. 703/87; 1112/88).

Si e’ giustificata questa valutazione, osservando che tale opera non comporta per i condomini una qualche impossibilita’ di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’articolo 1102 c.c., comma 1, rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro non sia volta ad ovviare a una interclusione, ma si correli soltanto all’intento di conseguire una piu’ comoda fruizione dell’unita’ immobiliare da parte del suo proprietario (Cass. 4155/94).

Fermo l’obbligo di non pregiudicare il decoro architettonico dell’edificio, e’ stato sancito pertanto piu’ volte che il condomino puo’ aprire nel muro comune dell’edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti, trattandosi di opere di per se’ non incidenti sulla destinazione della cosa (Cass. 4996/94; 20200/05; 13874/10).

Si e’ ritenuta anche legittima l’apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla proprieta’ esclusiva (Cass. 1554/97).

Proprio nella sentenza da ultimo citata si e’ precisato che funzione dei muri perimetrali di un fabbricato condominiale e’ non solo di recingere l’edificio e sorreggere le strutture, ma anche di contenere le porte, le finestre, i balconi etc. L’utilizzazione del muro puo’ consistere nella creazione o ampliamento di aperture.

6.1) Tale facolta’ e’ stata ammessa tuttavia anche con riguardo al tetto degli edifici, affermando che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, puo’ aprire su esso abbaini e finestre – non incompatibili con la sua destinazione naturale – per dare aria e luce alla sua proprieta’, purche’ le opere siano a regola d’arte e non pregiudichino la funzione di copertura propria del tetto, ne’ ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo (Cass. 17099/06; 1498/98).

Questa ormai pacifica facolta’ di frantumare l’unitarieta’ strutturale del bene perimetrale (muro o tetto che sia) fa dubitare circa la fondatezza della perentoria affermazione di divieto di modesti tagli del tetto.

Qualora detti tagli diano luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione e alla destinazione della modifica stessa, puo’ dirsi che rientrino nell’ambito delle opere consentite al singolo condomino. Dal punto di vista strutturale si puo’ dar luogo a interventi meno vistosi della realizzazione di un abbaino, che, se attuati con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali, sono compatibili con il mantenimento della destinazione della cosa locata.

6.2) Questa considerazione, formulata per assimilazione tra diverse opere che incidono su una parte perimetrale dell’edificio (muro o tetto), deve essere verificata alla luce dei due concetti fondamentali di destinazione della cosa comune e di pari uso della cosa comune.

Conviene muovere da quest’ ultimo.

La giurisprudenza di legittimita’, in uno degli svolgimenti piu’ acuti in materia, ha stabilito che “la nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l’articolo 1102 c.c. – che in virtu’ del richiamo contenuto nell’articolo 1139 c.c. e’ applicabile anche in materia di condominio negli edifici – non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facolta’ di trarre dalla cosa comune la piu’ intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri. Essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarieta’, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui e’ prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini e’ dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (cosi’ Cass., sez. 2, 30-05-2003, n. 8808).

Muovendo da questi principi, che contengono pertinenti richiami al principio solidaristico, si impone una rilettura delle applicazioni dell’istituto di cui all’articolo 1102 c.c., che sia quanto piu’ favorevole possibile allo sviluppo delle esigenze abitative.

Questo sviluppo si ripercuote favorevolmente sulla valorizzazione della proprieta’ del singolo, ma mira soprattutto a moderare le istanze egoistiche che sono sovente alla base degli ostacoli frapposti a modifiche delle parti comuni come quella in esame. In una visione del regime condominiale tesa a depotenziare i poteri preclusivi dei singoli e a favorire la correntezza dei rapporti (si pensi a Cass. SU 4806/05 in tema di deliberazioni nulle o annullabili) non e’ coerente, ne’ credibile, intendere la clausola del “pari uso della cosa comune” come veicolo per giustificare impedimenti all’estrinsecarsi delle potenzialita’ di godimento del singolo.

Qualora non siano specificamente individuabili i sacrifici in concreto imposti al condomino che si oppone, non si puo’ proibire la modifica che costituisca uso piu’ intenso della cosa comune da parte del singolo, anche in assenza di un beneficio collettivo derivante dalla modificazione.

Non lo si puo’ chiedere in funzione di un’astratta o velleitaria possibilita’ di alternativo uso della cosa comune o di un suo ipotetico depotenziamento (cfr Cass. 4617/07), ma solo ove sia in concreto ravvisabile che l’uso privato toglierebbe reali possibilita’ di uso della cosa comune agli altri potenziali condomini-utenti (cfr Cass. 17208/08 che ha escluso la legittimita’ dell’installazione e utilizzazione esclusiva, da parte di un condomino titolare di un esercizio commerciale, di fioriere, tavolini, sedie e di una struttura tubolare con annesso tendone).

Se e’ intuitivo, alla stregua della definizione data da 8808/03, che non e’ conforme a diritto impedire al proprietario del sottotetto di installare una finestra da tetto perche’ il proprietario di un piano intermedio non potrebbe fare altrettanto, e’ inevitabile interrogarsi sulla nuova frontiera tra uso consentito della cosa comune e alterazione di essa, alla luce da un lato del principio solidaristico e dall’altro delle moderne possibilita’ edificatorie.

6.3) La destinazione della cosa, di cui e’ vietata l’alterazione, e’ da intendere in una prospettiva dinamica del bene considerato. La possibilita’, dianzi ricordata, di applicare finestre da tetto con notevole efficacia coibente e gradevoli esteticamente contribuisce senz’altro a far ritenere compatibile tale utilizzo con il rispetto della destinazione del bene.

Altrettanto puo’ valere per la realizzazione di piccole terrazze che sostituiscano efficacemente il tetto spiovente nella funzione di copertura dell’edificio.

Non e’ funzionalmente alterata la destinazione del tetto, se alla falda si sostituisce un’opera di isolamento e coibentazione inserita nel piano di calpestio.

Rimane da chiedersi se la materiale soppressione di una porzione limitata della falda sia di per se’ alterazione della destinazione della cosa.

La risposta deve essere negativa, perche’ per destinazione della cosa si intende la complessiva destinazione di essa, che deve essere salva in relazione alla funzione del bene e non alla sua immodificabile consistenza materiale.

Pertanto la soppressione di una piccola parte del tetto, se viene salvaguardata diversamente la funzione di copertura e si realizza nel contempo un uso piu’ intenso da parte del condomino, non puo’ esser intesa come alterazione della destinazione, comunque assolta dal bene nel suo complesso.

Ovviamente il giudizio sul punto andra’ formulato caso per caso, in relazione alle circostanze peculiari e si risolve in un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimita’ solo avendo riguardo alla motivazione.

7) Resta da aggiungere che l’innalzamento del tetto, funzionale alla realizzazione della modifica della falda, non e’, nella sentenza impugnata, autonomo oggetto di ratio decidendi.

La Corte d’appello di Firenze ha ritenuto l’illegittimita’ dell’opera prescindendo da esso.

Non v’ e’ quindi materia per esaminare il relativo profilo del motivo di ricorso.

Spettera’ al giudice di rinvio verificare l’incidenza di tale innalzamento alla luce dei principi sopraenunciati sull’utilizzo della cosa comune e, ove applicabili in relazione all’entita’ di quei’sta modifica, di quelli conosciuti in tema di sopraelevazione da parte del proprietario dell’ultimo piano.

8) L’ultimo motivo di ricorso, che lamenta violazione dell’articolo 120 c.c. resta assorbito nell’accoglimento del quarto motivo, poiche’ ipotizza una subordinata prospettiva di legittimita’ dell’opera su cui la Corte d’appello e’ nuovamente chiamata a pronunciarsi.

La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Firenze che liquidera’ le spese di questo giudizio, procedera’ a nuovo esame e si atterra’ al seguente principio:

“Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, puo’ effettuare la trasformazione di una parte del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo proprio, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando cosi’ complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbito il quinto. Rigettati gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, che provvedera’ anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.

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