Sentenza 03 giugno – 05 ottobre 2010, n. 35744
E’ configurabile il concorso nel reato di detenzione e spaccio di stupefacenti a carico del locatore che conceda in locazione il magazzino di sua proprietà, ben sapendo che il conduttore svolge abitualmente l’attività di “pusher”; questo perché il comportamento del locatore costituisce, in tal caso, un contributo causale alla verificazione del reato di detenzione e cessione delle sostanze stesso.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 03 giugno – 05 ottobre 2010, n. 35744
(Presidente – Relatore Mannino)
In fatto e diritto
Con ordinanza del 26 febbraio 2010 nel proc. n. 486/10 RG Libertà il Tribunale del riesame di Roma confermava, con esclusione dell’aggravante dell’art. 80 D.P.R. n. 309/90, l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Tivoli 17 febbraio 2010, che aveva applicato a Adelmo *** la misura cautelare della custodia in carcere quale indagato del reato previsto dall’art. 73 D.P.R. n. 309/90 in concorso con Gianni ***.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del ***, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
– erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p. e carenza di motivazione (art. 606 lett. b) ed e) c.p.p.) perché nell’ordinanza impugnata si afferma che l’indagato aveva accettato di offrire al *** il proprio locale come deposito della droga senza una seria situazione cogente, quando lo stesso, nell’udienza di convalida, aveva dichiarato di trovarsi in serie difficoltà economiche; inoltre, la circostanza che il *** fosse a conoscenza dell’attività illecita del *** non lo rende partecipe di questa e perciò concorrente nel reato, commesso esclusivamente da quest’ultimo.
L’impugnazione è inammissibile.
Nella sentenza impugnata si rileva come dagli atti acquisiti risulti ampiamente provato che i due indagati, Gianni *** e Adelmo ***, detenessero rilevanti quantitativi di cocaina, ecstasy e cannabinoidi, utilizzando una pertinenza dell’abitazione del primo, un magazzino per materiale edile, per custodire, tagliare e confezionale le sostanze stupefacenti che venivano portate all’esterno per lo smercio.
La prova – si sottolinea nel provvedimento – era venuta e dal sequestro della droga occultata nel magazzino e dall’ammissione dello stesso ***, il quale in sede di interrogatorio aveva dichiarato che, trovandosi in difficoltà economiche, aveva accettato l’offerta del *** di corrispondergli la somma di Euro 1.600,00 mensili in cambio della possibilità di custodire nel magazzino predetto le sostanze stupefacenti in questione.
Ora non vi è dubbio che la stipulazione del contratto di locazione di un magazzino con la consapevolezza che il conduttore lo utilizzerà per detenervi e confezionarvi sostanze stupefacenti destinate al mercato costituisce un contributo causale alla verificazione del reato di detenzione e cessione delle sostanze stesse, in quanto, a prescindere dalla natura sinallagmatica del contratto, condiziona, nella consapevolezza di entrambi i contraenti, lo schema concretamente adottato nell’esecuzione dell’illecito penale che non potrebbe altrimenti realizzarsi se non in forma organizzativa diversa, sicché la condotta del locatore ha sicuro valore concorsuale (cfr., da ult. Cass., Sez. 3, 20 gennaio 2010 n. 10642, ric. Saad), indipendentemente dal fatto che l’azione tipica sia commessa dal conduttore (Cass., Sez. 1, 8 maggio 1998 n. 7442, ric. Negri e altro).
La decisione in tal senso adottata dal Tribunale è quindi assolutamente corretta e la motivazione relativa risulta adeguata in fatto e logicamente coerente.
Appaiono, perciò, palesemente infondati i vizi di violazione di legge e difetto di motivazioni dedotti, a sostegno dei quali il ricorrente contrappone argomentazioni ininfluenti – relative alle allegate difficoltà economiche che avrebbero costituito il movente della condotta – o contestazioni in fatto, concernenti la sussistenza della prova del concorso nel reato, già motivatamente disattese nell’ordinanza di riesame e comunque incompatibili con il giudizio di legittimità.
Pertanto il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.