Cass. Sez. II Civ. Sent. 10 gennaio 2011, n. 346

La presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c. postula la destinazione delle cose elencate in tale norma al godimento o al servizio del condominio, mentre viene meno allorchè si tratti di un bene dotato di propria autonomia ed indipendenza e pertanto non legato ad una destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale, in quanto, non trattandosi di presunzione assoluta, essa rimane vinta dalla destinazione particolare cosi come da un titolo contrario.

 

In tema di contratto di compravendita di immobili cui sia stata illegittimamente sottratta la superficie destinata “ex lege” ad area di parcheggio, l’integrazione del contratto di compravendita parzialmente nullo – che si attua mediante il riconoscimento del diritto d’uso in favore dell’acquirente, ed il corrispondente riconoscimento del diritto al corrispettivo in favore dell’alienante – avviene, quanto, in particolare, al riconoscimento del corrispettivo, “ope legis” quanto all”an”, ed “ope iudicis” con riferimento al “quantum” (ove sorga contestazione sul soggetto titolare dell’attribuzione ovvero sull’ammontare della liquidazione), con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, il riequilibrio “ope iudicis” del corrispettivo originariamente pattuito ben può avvenire in un separato giudizio.

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 10 gennaio 2011, n. 346

 

Svolgimento del processo

I coniugi R.G., – S.T.; + ALTRI OMESSI convenivano avanti il Tribunale di Patti i germani A., B. e D. M.T..

 

Premettevano gli attori di avere acquistato, con separati atti, dai convenuti alcuni appartamenti, facenti parte dell’edificio da essi costruito in via (OMISSIS), in base al progetto approvato con le concessioni edilizie n. 103 e n. 104 del 7.8.1976; che tale progetto prevedeva, tra l’altro, la realizzazione di due parcheggi, di cui uno nel piano cantinato ed uno esterno, nonchè di un portico ad uso collettivo a piano terra; che i germani D., pur eseguendo le opere previste, ne avevano mutato la destinazione e in particolare avevano utilizzato come garage per alloggio di autovetture di terzi il parcheggio del piano cantinato ed avevano eliminato il portico edificandovi dei magazzini, omettendo, inoltre, di realizzare il parcheggio esterno ed eseguendo una sopra elevazione sull’ultimo terrazzo di copertura, con aggravamento delle parti comuni dell’edificio.

 

Gli attori premettevano ancora che, nei rispettivi atti di trasferimento, ad eccezione di quello stipulato con i coniugi R. – S., i convenuti avevano illegittimamente escluso dalla vendita ogni diritto sul piano cantinato, sul portico collettivo e sull’ultima copertura destinata a terrazza; che tali atti erano per questa parte nulli in quanto in contrasto con norme imperative e con il progetto approvato.

 

Premesso quanto sopra, gli attori chiedevano che i convenuti fossero condannati a cedere al giusto prezzo ed ai coniugi R. – S. gratuitamente, la quota di parcheggio loro spettante per legge, a ripristinare il portico collettivo, a trasferire ai predetti coniugi R. – S. il diritto all’ultima copertura- terrazzo, nonchè a risarcire i danni cagionati con la loro illegittima condotta.

 

Con successiva citazione, notificata il 14.1.1986 gli stessi attori, tranne Le.Ca., convenivano sempre avanti il Tribunale di Patti L.A., quale comproprietario del terreno su cui sorgeva l’edificio e venditore unitamente con i D., delle singole unità immobiliari, da essi acquistati proponendo le medesime domande.

 

Successivamente alla riunione delle due cause si costituivano i convenuti contestando le domande attrici e chiedendo, in via subordinata, riconvenzionalmente la condanna degli attori al pagamento del giusto prezzo per il parcheggio nonchè l’annullamento per errore del contratto stipulato con i coniugi R. – S..

 

Il Tribunale di Patti, con sentenza parziale n. 253/88, rigettava la domanda proposta da Le.Ca., quale procuratrice di D. V., nei confronti dei convenuti D. e dichiarava interamente compensate tra le parti le spese del giudizio;

 

dichiarava, inoltre, il diritto reale d’uso degli altri attori sugli spazi destinati a parcheggio, facenti parte del fabbricato di proprietà dei convenuti, con il diritto di questi ultimi ad ottenere l’integrazione del prezzo di vendita degli appartamenti venduti agli attori; dichiarava ancora ammissibile la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti nei confronti degli attori R.G. e S.T. e disponeva, infine, con separata ordinanza per il proseguo del giudizio, rinviando al definitivo per le spese del giudizio.

 

Avverso detta sentenza proponevano appello i convenuti e, i coniugi R. – S., anche appello incidentale.

 

Con sentenza n. 165 del 19.12.1991 la Corte di Appello di Messina rigettava l’appello incidentale proposto dai coniugi R. – S. e, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dai convenuti, condannava Le.Ca. al pagamento in favore dei germani D. e di L.A. delle spese del giudizio di primo grado e di quello di appello; condannava i coniugi R. – S. al pagamento in favore dei germani D. e di L.A. delle spese del giudizio, confermava nel resto la impugnata sentenza, condannando gli appellanti al pagamento in favore degli appellati delle spese del giudizio di appello.

 

Nel giudizio di primo grado, dopo la rimessione della causa sul ruolo, veniva disposta ed espletata CTU e depositata pure altra relazione integrativa a chiarimento dei quesiti sollevati dalle parti; mentre, prima che venisse dichiarata l’interruzione del giudizio, gli attori provvedevano a chiamare in causa gli eredi del convenuto L.A. (deceduto nelle more) rimasti contumaci.

 

Con sentenza 5/12/2002 l’adito tribunale rigettava la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti nei confronti dei coniugi R. – S. dichiarando valido in ogni sua parte il contratto notar Paternità 18/4/1980 riconoscendo perciò i coniugi comproprietari pro quota delle parti comuni.

 

Conseguentemente ordinava ai convenuti il ripristino del portico mediante l’eliminazione di tutte le opere che ne avevano alterato l’originaria destinazione come specificato dal c.t.u..

 

Ordinava ai convenuti di rilasciare le aree destinate a parcheggio relative al fabbricato sito in (OMISSIS) in favore dei coniugi R.G. e + ALTRI OMESSI secondo la relazione del C.T.U. ing. Be. e previo pagamento ai convenuti, a titolo di integrazione del prezzo di vendita dei singoli appartamenti da ciascuno di essi acquistato e a titolo di corrispettivo per il diritto reale d’uso sugli spazi destinati a parcheggio della complessiva somma di Euro 5.949,58 per ciascun posto auto scoperto ed Euro 7.139,50 per ciascun posto auto coperto, ad eccezione per i coniugi R. – S. cui il diritto andava riconosciuto senza corresponsione di corrispettivo.

 

Condannava, i convenuti a pagare a titolo di risarcimento danni per il mancato uso del posto macchina per tutti gli attori e, per i coniugi R. – S., anche per il mancato godimento delle parti comuni nonchè, ai sensi dell’art. 1127 c.c., tutte le somme come per ciascuno indicate in motivazione, tenuto conto delle compensazioni tra i vari crediti da ciascuna parte vantati.

 

Condannava i convenuti alle spese del giudizio.

 

Avverso la detta sentenza i D. – L. proponevano appello al quale resistevano gli appellati.

 

Con sentenza 6/3/2007 la corte di appello di Messina, in parziale riforma dell’impugnata decisione, dichiarava che nessuna somma era dovuta dai D. – L. a titolo di risarcimento danni per la mancata disponibilità del posto macchina, tranne per i coniugi S. – R.. Osservava la corte di merito: che, secondo gli appellanti, gli attori non avevano ancora pagato l’integrazione del prezzo per cui non avevano diritto al risarcimento del danno; che tale doglianza era fondata dovendosi distinguere la titolarità del diritto in questione (da riconoscere al momento della compravendita dell’immobile) dal concreto godimento dello stesso esercitabile solo dopo il pagamento del prezzo sullo spazio parcheggio e ciò in applicazione del principio del sinallagma contrattuale non potendosi riconoscere nei contratti a prestazioni corrispettive il godimento di un diritto senza il pagamento del corrispettivo; che nella specie il prezzo fissato nel contratto di compravendita non poteva riferirsi allo spazio parcheggio escluso dal contratto; che gli appellanti, con la lettera 21/3/1985, si erano dichiarati disposti a vendere ai prezzi correnti il posto macchina senza ricevere alcuna risposta; che pertanto, il diritto di godimento sul bene parcheggio andava disconosciuto sino al momento del pagamento del prezzo per cui il danno lamentato andava ritenuto insussistente; che, in relazione alla posizione dei coniugi S. – R., gli appellanti avevano impugnato la sentenza per la parte che aveva riguardato il riconoscimento gratuito del loro diritto al posto macchina, all’uso del portico e alla proprietà della copertura destinata a terrazzo;

 

che, secondo gli appellanti, il tribunale aveva errato per aver ritenuto che tutte le pattuizioni contenute nel preliminare – nel quale era stato precisato che le zone previste in progetto ad uso collettivo restavano di pertinenza esclusiva del proprietario – fossero state modificate ed annullate con la stipula dell’atto pubblico nel quale era detto che “con l’appartamento vengono vendute pro quota le parti condominiali dell’edificio come per legge e compreso il diritto di stendere la biancheria sulla terrazza di copertura dell’intero edificio nella zona a ciò destinata dai venditori”; che, a dire degli appellanti, si trattava di una clausola equivoca e generica e di stile per cui l’interpretazione della stessa andava fatta collegandosi al contenuto del preliminare; che peraltro i D. – L. avevano sostenuto che i portici, la terrazza ed il posto macchina non dovevano considerarsi di proprietà comune, ma di esclusiva proprietà di essi appellanti risultando ciò dal titolo, ossia dal preliminare, mentre l’atto pubblico costituiva un adempimento parziale delle obbligazioni convenute nel preliminare;

 

che, invece, al contrario di quanto sostenuto dagli appellanti, i contraenti, sottoscrivendo il contratto definitivo contenente la clausola relativa al trasferimento pro quota in favore dei coniugi acquirenti delle parti condominiali, avevano inteso realizzare detto trasferimento provvedendo a regolare i loro interessi in modo diverso da come avevano fatto con il preliminare; che, al fine di stabilire la sussistenza o meno di un titolo contrario alla presunzione di comunione stabilita dall’art. 1117 c.c., bisognava fare riferimento all’atto costitutivo del condominio e al contratto di vendita del (OMISSIS) nel quale il diritto dei coniugi acquirenti non era stato escluso; che il riferimento al regolamento condominiale non era pertinente e, in ogni caso, nel regolamento predisposto nel 1998 il piano cantinato, il portico e la terrazza risultavano inclusi tra le parti condominiali posto che all’art. 1 era precisato che rientravano tra le parti comuni tutto quanto era da considerarsi comune ex art. 1117 c.c.; che pertanto bene aveva fatto il tribunale ad escludere l’integrazione del prezzo già pagato in quanto quello corrisposto doveva considerarsi comprensivo dei corrispettivo per il trasferimento della proprietà pro quota del parcheggio; che dal riconoscimento del diritto di comproprietà sulle parti comuni discendeva l’infondatezza delle doglianze relative alla conseguente statuizione di ripristino, risarcimento danni e di pagamento dell’indennità ex art. 1127 c.c.; che la previsione del diritto di stendere la biancheria nella zona del terrazzo a ciò destinata dai venditori andava intesa come una limitazione, accettata dai compratori, delle più ampie facoltà comprese nel diritto di proprietà; che gli appellanti andavano condannati al pagamento in favore dei coniugi R. – S. delle spese del giudizio di secondo grado; che le spese tra gli appellanti e gli altri appellati andavano compensate per la metà ponendosi l’altra metà a carico degli appellanti.

 

La cassazione della sentenza della corte di appello di Messina è stata chiesta – con ricorso affidato a tre motivi – da D. A., + ALTRI OMESSI .

 

Hanno resistito con controricorso S.T. (in proprio e quale erede di R.G. parte del giudizio di secondo grado), + ALTRI OMESSI . I resistenti (ad eccezione di S.T.) hanno proposto ricorso incidentale sorretto da un solo motivo. I D. – L. hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie. All’udienza dei 27/4/2010 questa Corte – rilevato che non risultava depositato l’atto di pubblica/ione del testamento di D.B. – ha disposto l’integrazione del contraddittorio mediante notifica del ricorso principale agli eredi di D.B.. I ricorrenti hanno tempestivamente notificato e depositato il ricorso agli eredi di D.B. risultanti dalla allegata copia del verbale di pubblicazione del testamento del D..

 

Motivi della decisione

Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

 

Con il secondo motivo del ricorso principale (il primo motivo va esaminato dopo gli altri riguardando le spese del giudizio tra i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali con l’esclusione dei coniugi R. – S.) i D. – L. denunciano violazione degli artt. 1117, 1322, 1362 e seg. e 2932 c.c., nonchè vizi di motivazione, deducendo che dal principio richiamato dalla corte di appello inerente la diversa regolamentazione degli interessi tra preliminare e definitivo non discende la conseguenza inerente l’individuazione di un titolo contrario alla presunzione di condominialità. Le due questioni operano su piani diversi. Con riguardo ai rapporti tra preliminare e definitivo la corte di appello avrebbe dovuto fare applicazione del principio secondo il quale, nell’ipotesi in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare, occorre accertare la volontà negoziale delle parti valutando tra l’altro il contenuto di detto preliminare. Nella specie è stata omessa l’indagine circa la volontà delle parti. La corte di merito ha errato nel ritenere che tutte le pattuizioni contenute nel preliminare fossero modificate ed annullate con la stipula del contratto definitivo. In particolare numerosi patti contenuti nel preliminare (nel dettaglio indicati) non sono stati estinti ed assorbiti con il definitivo in virtù della clausola di stile contenuta in detto definitivo e riportata nella sentenza impugnata. L’analitica disciplina contenuta nel preliminare non è stata riprodotta nel definitivo: tra i due contratti non vi è quindi sovrapposizione per incompatibilità delle clausole in quanto l’inclusione o l’esclusione di alcune parti dell’edificio dalla comunione condominiale non è stata affrontata dalla generica clausola di stile contenuta nel definitivo, clausola che, per ricostruire la volontà dei contraenti, andava interpretata ricollegandosi al contenuto del preliminare. Inoltre è errato il riferimento esclusivo all’art. 1117 c.c. posto che la presunzione di cui a detto articolo non si estende ai portici ed al cantinato. Al fine di risolvere il problema della condominialità dei detti beni va fatto riferimento all’atto costitutivo del condominio ed al regolamento di condominio. Con il primo – atto di permuta 2/7/1979 – è stato escluso qualsiasi diritto dell’acquirente al cantinato, al piano terreno (portico) ed “alla terrazza, riconoscendosi solo il diritto di stenditoio su 60 mq. di terrazzo. Il titolo contiene quindi una regolamentazione che supera la presunzione di cui all’art. 1117 c.c.. Anche l’art. 1 del regolamento condominiale – correttamente interpretato – e le carature millesimali inducono a desumere l’esclusione dei portici e del cantinato dai beni condominiali. Avendo accettato il regolamento di condominio i coniugi R. – S. non potevano essere considerati proprietari pro quota di beni non inclusi tra i tra le parti comuni. La comproprietà pro quota del terrazzo deve poi essere esclusa dalla stessa formulazione della clausola contrattuale in base alla corretta interpretazione alla luce del canone di cui all’art. 1362 c.c., comma 1.

 

Al termine del motivo i ricorrenti hanno formulato i conseguenti, conferenti e coerenti quesiti di diritto ed hanno indicato il fatto controverso in relazione al quale hanno denunciato il vizio di motivazione.

 

Il motivo è fondato nei sensi e nei limiti di seguito precisati.

 

Occorre innanzitutto osservare che – come sopra ampiamente riportato nella parte narrativa che precede – con l’atto di appello i D. – L. censurarono la sentenza di primo grado sostenendo che la generica ed equivoca clausola contenuta nel definitivo (testualmente trascritta nella sentenza impugnata e sopra ripetuta) andava interpretata ricollegandosi al contenuto del contratto preliminare nel quale le parti avevano precisato che i portici la terrazza ed il posto macchina non dovevano considerarsi di proprietà comune ma di esclusiva proprietà dei promittenti alienanti.

 

La detta tesi difensiva degli appellanti è stata ritenuta infondata dalla corte di merito la quale ha affermato che con il contratto definitivo – contenente la detta clausola – le parti avevano inteso regolare i loro interessi in modo diverso da come fatto – con il preliminare. La corte di appello ha anche aggiunto che nella specie non sussistevano titoli contrari alla presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c. atteso che il diritto dei coniugi R. – S. sui beni comuni non era stato escluso nel contratto definitivo e che per ritenere il contrario non era pertinente il richiamo al regolamento condominiale ed alle tabelle millesimali.

 

Ciò posto rileva la Corte che il punto centrale della controversia tra i D. – L. ed i coniugi R. – S. debba essere individuato nell’interpretazione del contratto definitivo e, in particolare e principalmente, nella più volte menzionata clausola definita dai ricorrenti principali “equivoca, generica e di stile”.

 

Al riguardo la motivazione sviluppata nella sentenza impugnata a sostegno della interpretazione data alla clausola non si sottrae alle critiche che sono state mosse dai ricorrenti principali nel motivo in esame.

 

In proposito va evidenziato che se è vero che nella giurisprudenza di legittimità è prevalente il principio – applicato dalla corte di appello – secondo cui, una volta adempiuto l’obbligo nascente dal preliminare medesimo e stipulato, quindi, il contratto definitivo, è solo a quest’ultimo che occorre far riferimento quale fonte dei diritti e degli obblighi contrattuali: al contratto preliminare va riconosciuta la funzione di obbligare reciprocamente le parti alla stipulazione del contratto definitivo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.

 

E’ del pari vero, però che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, il detto principio non può trovare applicazione nell’ipotesi in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare, occorrendo in tal caso accertare la volontà negoziale delle parti valutando tra l’altro il contenuto di detto preliminare (nei sensi suddetti sentenza 9/7/1999 n. 7206 relativa ad una fattispecie analoga a quella in esame).

 

Nella specie nessuna indagine risulta essere stata svolta dalla corte di appello al fine di accertare l’avvenuto o il non avvenuto esaurimento degli obblighi a contrarre specificati nel preliminare.

 

La corte di appello ha interpretato la volontà negoziale delle parti richiamando semplicisticamente la menzionata clausola senza tener conto del detto orientamento giurisprudenziale e senza far alcun riferimento al contenuto del contratto preliminare come invece sarebbe stato necessario al fine di accertare l’effettiva volontà delle parti anche in ordine alla esatta identificazione dell’oggetto del contratto definitivo ed alla intenzione dei contraenti di apportare rilevanti e consistenti modifiche a quanto concordato nel contratto preliminare ed ivi analiticamente e dettagliatamente specificato. In particolare, tra l’altro, la corte territoriale – come dedotto dai ricorrenti principali – nell’interpretare il contratto definitivo e la più volte menzionata clausola: non ha considerato che al contratto definitivo era stata allegata la planimetria solo dell’appartamento e non dell’edificio con l’indicazione delle parti comuni; non ha fatto alcun cenno alla situazione dei luoghi con riferimento alle parti in questione (portico, terrazzo, spazi destinati a parcheggio) al momento della stesura del definitivo; non ha indicato il prezzo concordato dalle parti nel contratto preliminare e quello pattuito nel contratto definitivo (spiegando il perchè dell’eventuale mancata modifica di tale prezzo malgrado la rilevante differenza dell’oggetto dei due contratti).

 

Va aggiunto che la corte di appello – nell’interpretare la citata clausola contenuta nel contratto definitivo concernente la vendita pro quota, con l’appartamento, delle “parti condominiali dell’edificio come per legge…..” con particolare riferimento al posto macchina, al portico e alla copertura destinata a terrazza – non ha tenuto conto dei seguenti principi più volte affermati da questa Corte:

 

– la presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c. postula la destinazione delle cose elencate in tale norma al godimento o al servizio del condominio, mentre viene meno allorchè si tratti di un bene dotato di propria autonomia ed indipendenza e pertanto non legato ad una destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale, in quanto, non trattandosi di presunzione assoluta, essa rimane vinta dalla destinazione particolare cosi come da un titolo contrario (sentenza 7/7/2003 n. 10700);

 

 

– il diritto di condominio sulle parti comuni dell’edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l’esistenza dell’edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune. Di tali parti, l’art. 1117 c.c. contiene un’elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa, con la conseguenza che la disposizione in parola può essere integrata “ab estrinseco” se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacchè la destinazione particolare del bene prevale sull’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario (sentenza 28/2/2007 n. 4787);

 

 

– nel condominio, caratterizzato dalla coesistenza nell’edificio di una pluralità di piani o porzioni di piano di proprietà esclusiva, l’attribuzione della proprietà comune sancita dall’art. 1117 c.c. trova fondamento nel collegamento strumentale ed accessorio fra le cose, i servizi e gli impianti indicati dalla norma citata e le unità immobiliari appartenenti ai. singoli proprietari, giacchè presupposto della comunione è che i beni indicati dall’art. 1117 c.c. per caratteri materiali e funzionali, siano necessari per l’esistenza e l’uso delle singole proprietà ovvero siano oggettivamente destinati in modo stabile al servizio e al godimento collettivo (sentenza 29/11/2004 n. 22408);

 

 

– in tema di condominio, le parti comuni di un edificio formano oggetto di un compossesso pro indiviso che si esercita diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale (come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente, sicchè la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipenda dall’attività dei rispettivi proprietari (come ad esempio per scale, portoni, anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l’acqua calda o per aria condizionata); pertanto, nel primo caso l’esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano – e soltanto per traslato il proprietario – trae da tali utilità, nel secondo caso nell’espletamento della predetta attività da parte del proprietario (sentenza 28/4/2004 n. 8119).

 

Il giudice di appello, pur se tra le parti sussisteva contestazione in ordine alla natura condominiale o meno del portico, del terrazzo e dei posti auto ed alla destinazione oggettiva e permanente di tali beni (per ubicazione e struttura) a servizio di tutti i condomini o di uno solo, ha ritenuto tali beni compresi tra le parti comuni dell’edificio condominiale sulla base della riportata clausola del contratto definitivo trascurando del tutto l’indagine sulla destinazione effettiva dei beni in questione con riferimento alle deduzioni ed alle allegazioni degli appellanti e non svolgendo quindi in proposito alcuna valutazione.

 

Tale carenza assume rilievo – sia in relazione all’interpretazione della volontà negoziale secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e seg. c.c., sia in relazione all’art. 1117 c.c., – alla luce dell’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui la presunzione di cui all’art. 1117 c.c. postula la destinazione delle cose elencate in tale norma al godimento od al servizio del condominio, mentre viene meno allorchè si tratti di un bene dotato di propria autonomia ed indipendenza e pertanto non legato da una destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale.

 

Va inoltre segnalata la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha prima dichiarato che non era pertinente il richiamo al regolamento condominiale ed alle tabelle millesimali ed ha poi affermato che nel regolamento condominiale (predisposto del 1998, ossia ben oltre il contratto definitivo del 1980) “il piano cantinato, il portico e la terrazza” risultavano inclusi tra le parti condominiali. Peraltro la corte di appello è pervenuta a tale conclusione in virtù di una del tutto immotivata interpretazione dell’art. 1 del regolamento condominiale omettendo di riportare il contenuto di tale articolo e senza far alcun riferimento in ordine all’approvazione del regolamento da parte di tutti i condomini e, in particolare, dei coniugi R. – S..

 

Analogamente nella sentenza impugnata, pur affermandosi – come sopra riportato – che “al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione stabilita dall’art. 1117 c.c. occorre far riferimento all’atto costitutivo di condominio e al contratto di vendita”, non si fornisce alcun chiarimento in ordine al contenuto dell’atto costitutivo del condominio.

 

Dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale discente logicamente l’assorbimento del terzo con il quale i D. – L. denunziano vizio di omessa pronunzia, vizio di violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alle statuizioni, con cui la corte d’appello, avendo ritenuto sussistente il diritto di comproprietà pro – quota spettante ai coniugi R. – S. sia sugli spazi (piano cantinato e spazio esterno) destinati a parcheggio dell’edificio condominiale sito in via (OMISSIS) sia sulle parti comuni di detto edificio non escluse dalla vendita (portico ad uso collettivo a piano terra e terrazzo di copertura), ha disatteso le doglianze sollevate da essi D. – L. in ordine al riconoscimento in favore dei citati coniugi R. – S.: del diritto sugli spazi-parcheggio senza pagamento di integrazione del corrispettivo; del diritto al risarcimento del danno conseguente al mancato godimento degli stessi spazi-parcheggio; del diritto al risarcimento del danno conseguente al mancato godimento delle altre parti comuni dell’edificio non escluse dalla vendita (portico ad suo collettivo a piano terra e terrazzo di copertura); infine del diritto al ripristino del portico a piano terra secondo la destinazione originaria prevista in progetto (portico ad uso collettivo).

 

Infatti dalla sopra rilevata fondatezza del secondo motivo del ricorso principale deriva inevitabilmente l’assorbimento del terzo motivo poichè la corte d’appello, che ha pronunziato sul merito delle questioni inerenti la sussistenza o meno dei diritti di godimento e di risarcimento del danno spettanti ai coniugi R. – S. con riferimento agli spazi – parcheggio ed alle altre parti comuni, ha conseguentemente confermato la sentenza di primo grado concernenti le statuizioni “di ripristino, di risarcimento danno e di pagamento dell’indennità ex art. 1127 c.c.” basate sul riconoscimento del diritto di comproprietà dei coniugi R. – S. sulle parti comuni in questione. Di tali questioni si dovrà occupare il giudice del rinvio dopo aver proceduto ad interpretare il contratto definitivo stipulato dalle parti e dopo aver riconosciuto o meno (all’esito di detta operazione ermeneutica) in capo agli acquirenti coniugi R. – S. il diritto di proprietà pro quota dei beni in contestazione.

 

Con l’unico motivo del ricorso incidentale i resistenti (ad eccezione di S.T.) hanno denunciato violazione dell’art. 872 c.c. – formulando il connesso quesito di diritto – deducendo che la corte di appello ha scisso i due momenti dell’acquisto del diritto reale sul posto macchina (individuato alla data della stipula del contratto di compravendita) e del concreto godimento di tale posto macchina (indicato all’atto del “pagamento del prezzo sullo spazio parcheggio”). Tale pronuncia viola il citato art. 872 c.c. il cui comma 2 prevede una fattispecie obbligatoria di risarcimento danni che trova applicazione anche nel caso di elusione del vincolo di destinazione delle aree destinate a parcheggio. Pertanto il venditore che non trasferisce al compratore il diritto reale d’uso sullo spazio destinato a parcheggio viola la normativa urbanistica andando incontro alla responsabilità risarcitoria prevista dalla menzionata norma. L’importo da liquidare al detto titolo va determinato con decorrenza dalla data di stipula del contratto di compra vendita avente ad oggetto l’appartamento cui il posto macchina è destinato a servire. La corte di appello non ha considerato il principio secondo cui il sinallagma contrattuale nei contratti di compravendita di unità immobiliari con relativo posto macchina opera nel senso che gli effetti legali, dipendenti dalla inderogabilità del vincolo di destinazione urbanistica gravante sugli spazi parcheggi, si producono in egual misura per le parti contrattuali: il compratore acquista ex lege il diritto reale d’uso sulla spazio destinato a parcheggio, il venditore ha diritto ex lege all’integrazione del prezzo. Peraltro il riconoscimento in via giudiziaria del diritto reale d’uso sullo spazio destinato a parcheggio, sorgendo ex lege al momento del trasferimento dell’unità immobiliare, non può essere condizionato o subordinato all’accertamento giudiziale dell’integrazione del corrispettivo che può essere anche successivo ed indipendente dal detto riconoscimento. Al termine del motivo i ricorrenti hanno formulato il seguente quesito di diritto:

 

“Dica la Suprema Corte se dal presupposto che il trasferimento del diritto reale d’uso sullo spazio destinato a parcheggio è un effetto reale ex lege del contratto di compravendita e sorge al momento della stipula di detto contratto discende la conseguenza che appunto già al momento della stipula del contratto di compravendita nasce per il condomino la facoltà di esercitare il diritto reale d’uso sullo spazio destinato a parcheggio dell’edificio condominiale, servendosi del posto – macchina di sua pertinenza, cosicchè già dallo stesso momento della stipula del contratto definitivo di compravendita viene a sussistere il danno, che scaturisce dalla lesione del detto diritto reale d’uso”.

 

Il motivo è manifestamente fondato.

 

Innanzitutto va rilevato che, al contrario di quanto eccepito in via preliminare dai D. – L. nel controricorso al ricorso incidentale, correttamente i ricorrenti incidentali hanno fatto riferimento all’art. 872 c.c. ed a riguardo è appena il caso di osservare che, conformemente a quanto in proposito questa Corte ha avuto modo di affermare, l’esecuzione del contratto nullo per violazione della norma imperativa urbanistica della L. n. 765 del 1967, art. 18, essendo elusiva del vincolo di destinazione al quale è sottoposta l’area di parcheggio, è causa di danno ingiusto, risarcibile ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2, per coloro che di questa non abbiano potuto fare uso pur avendone il diritto (in tali sensi, tra le tante, sentenze 29/7/2008 n. 20563; 4/2/2000 n. 1248; 27/12/1994 n. 11188).

 

Ciò posto va evidenziato che la corte di appello si è posta in netto ed insanabile contrasto con i seguenti principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità e che il Collegio condivide e fa propri:

 

– in tema di spazi riservati a parcheggio secondo quanto prescrive, per le nuove costruzioni, la L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18, il riconoscimento in via giudiziaria del diritto dei proprietari acquirenti degli appartamenti dell’immobile di usufruire dell’area di parcheggio nonostante la riserva di proprietà a favore dell’alienante, originario proprietario dell’edificio, non presuppone nè è condizionato al previo accordo sulla misura della integrazione del corrispettivo della vendita degli appartamenti, nè all’accertamento giudiziale di tale integrazione, che può essere anche successivo ed indipendente dal predetto riconoscimento (sentenza 28/5/1993 n. 5979);

 

 

– in tema di contratto di compravendita di immobili cui sia stata illegittimamente sottratta la superficie destinata “ex lege” ad area di parcheggio, l’integrazione del contratto di compravendita parzialmente nullo – che si attua mediante il riconoscimento del diritto d’uso in favore dell’acquirente, ed il corrispondente riconoscimento del diritto al corrispettivo in favore dell’alienante – avviene, quanto, in particolare, al riconoscimento del corrispettivo, “ope legis” quanto all”an”, ed “ope iudicis” con riferimento al “quantum” (ove sorga contestazione sul soggetto titolare dell’attribuzione ovvero sull’ammontare della liquidazione), con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, il riequilibrio “ope iudicis” del corrispettivo originariamente pattuito ben può avvenire in un separato giudizio (sentenza 18/4/2000 n. 4977);

 

– in tema di aree destinate a parcheggio interne o circostanti ai fabbricati, e in presenza de vincolo di natura pubblicistica imposto dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies – che riserva l’uso diretto dei relativi spazi alle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari dei fabbricati di nuova costruzione – deve escludersi che solo l’offerta del corrispettivo da parte dell’acquirente ai venditore determini l’obbligo di quest’ultimo di cedere il compossesso delle aree in questione. Nessuna traccia, infatti, esiste nella norma “de qua”, di un preteso obbligo dell’acquirente di attivarsi offrendo un corrispettivo per la cessione, quale condizione per l’insorgenza dell’obbligo in capo al venditore di consentire il diritto di uso di cui si tratta (sentenza citata 29/7/2008 n. 20563).

 

E’ quindi errata la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la sussistenza di un danno per il mancato godimento dello spazio destinato a parcheggio “sino a quando non sarà corrisposta la relativa integrazione del prezzo”.

 

In accoglimento dell’unico motivo del ricorso incidentale la sentenza impugnata va cassata sul punto in questione dovendosi dare, riposta affermativa al quesito di diritto formulato dai ricorrenti incidentali e sopra riportato.

 

Dall’accoglimento del ricorso incidentale deriva l’assorbimento del primo motivo del ricorso principale che riguarda il governo delle spese del giudizio tra i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali con l’esclusione dei coniugi R. – S.. Di tale questione si dovrà occupare il giudice del rinvio dopo aver riesaminato la controversia tra le dette parti applicando il principio di diritto sopra enunciato.

 

In definitiva vanno accolti il secondo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del primo e del terzo motivo del ricorso principale. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla corte di appello di Catania che procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei rilievi sopra svolti, uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati e provvedendo a colmare le evidenziate carenze, lacune e incongruità di motivazione.

 

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo e il terzo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Catania.

 

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