Cass. civ. Sez. II, 23/04/2010, n. 9743
Per aver diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la cosa comune senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea, il condomino che vi ha provveduto deve dimostrare, ai sensi dell’art. 1134 cod. civ., che ne sussisteva l’urgenza, ossia la necessità di eseguirla senza ritardo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto il diritto del condomino al rimborso delle spese sostenute per l’opera di consolidamento del fabbricato condominiale, ritenendole senz’altro urgenti in virtù dell’esistenza di un’ordinanza comunale che aveva imposto l’esecuzione di tali lavori). (Rigetta, App. Napoli, 02/03/2004)
Svolgimento del processo
1. – E.A., in proprio e quale procuratore speciale della madre D.M., premesso che, insieme ad essa, era proprietaria del secondo piano dello stabile sito in (OMISSIS), originariamente composto di quattro piani, e che, a seguito degli eventi bellici, si era ridotto al solo primo piano e alle mura perimetrali del secondo con parte del solaio del terzo e delle scale, convenne in giudizio i condomini Mi.Ra. e G., G.A., D.C.C., e C. A., per conseguire il ristoro dei danni subiti per effetto della esecuzione di lavori di consolidamento statico dell’immobile, di cui alla Delib. condominiale 28 dicembre 1984, lavori effettuati nonostante la opposizione dell’attrice, e che avevano comportato la eliminazione delle residue strutture del secondo piano, con trasformazione del solaio di calpestio in lastrico di copertura e delle mura perimetrali in parapetti di protezione.
Espose che detta delibera era stata poi annullata dal Tribunale di Napoli con sentenza del 26 aprile 1988 passata in giudicato, e che, in conseguenza di tale illecita attività, aveva perduto definitivamente la sua proprietà, essendone impossibile il ripristino per l’espresso divieto posto dal piano regolatore e dalle norme edilizie.
I convenuti resistettero alla domanda, assumendo che le opere contestate dalle attrici erano state eseguite su diffida ad horas del Comune di Napoli, avuto riguardo alla situazione di pericolo per la pubblica incolumità derivante dalle condizioni dello stabile a seguito del terremoto del 1980; ed in via riconvenzionale chiesero la condanna delle attrici al pagamento della quota parte delle spese per detti lavori.
Il G.O.A. presso il Tribunale di Napoli, con sentenza del 25 agosto 1999, condannò i convenuti al pagamento in favore delle attrici della somma complessiva di L. 85.478.271 per la perdita di parte della loro proprietà, e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò queste ultime al pagamento della somma di L. 4.398.313.
Avverso tale decisione proposero appello M.G. in proprio e quale erede di Ra., M.P., C., R. e T., quali eredi di Ra., nonchè D. C.C.. Si costituì la E., in proprio e quale erede unica della madre D.M., deceduta nelle more, avanzando, in via incidentale, richiesta di riforma della sentenza nella parte in cui immotivatamente era stata accolta la domanda riconvenzionale dei convenuti asseritamente fondata su presupposti illegittimi e comunque non provata.
2. – La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 2 marzo 2004, rigettò il gravame principale ed accolse quello incidentale solo relativamente alla condanna degli originari convenuti al pagamento in favore della E. di ulteriori Euro 1420,00 per spese processuali.
Il giudice di secondo grado, rilevato che i lavori erano stati eseguiti solo nel 1985, a distanza di quattro anni dalla prima ordinanza comunale di sgombero, richiamò le risultanze della c.t.u. dalle quali emergeva che le opere di riparazione si sarebbero potute eseguire con la ricostruzione del fabbricato almeno sino alla copertura del secondo piano.
Al riguardo, la Corte stigmatizzò, tra l’altro, la circostanza che i lavori fossero stati effettuati dopo che la D. aveva intrapreso iniziative, penali e civili, contro i condomini in opposizione alla delibera e all’esecuzione dei lavori di cui si tratta.
Inoltre, rilevò la Corte di merito che, a differenza di quanto sostenuto dagli appellanti – i quali avevano affermato che la proprietà delle donne risultava già demolita dal (OMISSIS), come documentato dalla denuncia di successione di D.F. A., presentata dalla nipote E.A., in cui la proprietà in questione era descritta come distrutta da eventi bellici, e perciò non riportata in catasto -, la esistenza dell’immobile di cui si trattava prima dell’abbattimento delle mura pericolanti risultava documentalmente provata.
Osservò che le risultanze catastali hanno rilevanza solo indiziaria ai fini dell’accertamento dei diritti dominicali. Aggiunse, sul punto, che, a seguito di querela della D., gli appellanti erano stati sottoposti a procedimento penale ex art. 392 cod. pen., per avere arbitrariamente effettuato lavori di abbattimento della muratura del secondo piano di proprietà delle originarie attrici:
ciò che costituiva ulteriore conferma della materiale esistenza di detta proprietà, risultando allegati reperti fotografici.
Il secondo giudice ritenne poi esattamente liquidato il danno sulla scorta della c.t.u..
Infine, la Corte territoriale giudicò infondata la censura di ultrapetizione relativa alla liquidazione in favore delle attrici della somma di L. 13.200.000, quale quota per la proprietà dell’atrio e delle scale, mai ritualmente richiesta e comunque eccessiva. In proposito, osservò la Corte partenopea che le attrici avevano richiesto la liquidazione del danno nella misura determinata dalla relazione tecnica di parte o dal c.t.u., il quale aveva indicato anche la predetta somma per l’utilizzazione esclusiva, da parte dei fratelli M., dell’androne e delle scale.
Inammissibile era, poi, per genericità la doglianza relativa alla pretesa eccessività della quantificazione della somma in questione, avendo il c.t.u. motivato congruamente le sue conclusioni sul punto, e non avendo gli appellanti esposto le ragioni critiche di tale decisione.
Quanto all’appello incidentale, la Corte osservò che, essendo indiscutibile la necessità ed urgenza delle opere di risanamento dell’edificio, il rimborso richiesto alla E. era dovuto.
3. – Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso M.G., P., C., R. e M. T.. Ha resistito con controricorso E.A., che ha proposto altresì ricorso incidentale. All’udienza del 28 novembre 2008, questa Corte ha ordinato la integrazione del contraddittorio nei confronti di G.A., C.A., D.C.C..
Motivi della decisione
1. – Deve, preliminarmente, provvedersi, ex art. 335 cod. proc. civ., alla riunione dei ricorsi, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza.
2. – Con il primo motivo del ricorso principale, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1110 e 1134 cod. civ., nonchè la erronea e contraddittoria motivazione. I ricorrenti contestano la circostanza, evidenziata nella sentenza impugnata, secondo la quale la D. avrebbe intrapreso iniziative legali nei confronti della Delib. Condominiale 28 dicembre 1984, in realtà annullata dal Tribunale di Napoli su istanza di altro condomino e solo per vizi formali, consistiti nella mancata convocazione dei condomini dei piani superiori completamente distrutti. Inoltre, secondo i ricorrenti, l’intervento risanatore non si sarebbe potuto estendere alla ricostruzione della proprietà esclusiva delle condomine D. ed E., dovendo, invece, interessare solo le parti comuni dell’edificio.
3.1. – La censura non può trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità. 3.2. – Essa appare priva di ogni rilevanza quanto al punto della provenienza delle iniziative legali riguardanti la Delib. 28 dicembre 1984, in riferimento alle quali il giudice di secondo grado si è limitato a “stigmatizzare” che i lavori di cui si tratta fossero stati iniziati nonostante la esistenza di tali iniziative giudiziarie, senza che il relativo rilievo rivestisse alcuna reale valenza ai fini della decisione.
3.3. – Le ulteriori articolazioni della censura risultano inammissibili in quanto involgenti valutazioni di merito, come tali insindacabili in sede di legittimità se argomentate in modo congruo ed immuni da vizi logico-giuridici.
Nella specie, la Corte di merito ha non illogicamente motivato il proprio convincimento in ordine alla illiceità del comportamento dei convenuti, che aveva determinato, attraverso la demolizione della muratura, una “espropriazione de facto della proprietà della D. e della E.”, vanificando la possibilità delle originarie attrici di ricostruzione del secondo piano, per effetto della vigente normativa, e riducendone la proprietà al solo terrazzo del secondo piano, laddove, alla stregua delle risultanze della disposta c.t.u., richiamata nella sentenza impugnata, nel 1985 si sarebbe potuto ricostruire non solo il solaio di copertura del secondo piano, “specie perchè la muratura si presentava in discrete condizioni statiche, ottenendo, inoltre, con relativa richiesta, il contributo per la riparazione dei danni, provocati prima dalla guerra e poi dal terremoto”. 4. – Con la seconda censura, si lamenta insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato il giudice di merito nell’escludere la fondatezza del motivo di appello con il quale si era dedotta la inesistenza di qualsiasi danno a carico della D. e della E. in quanto l’immobile di proprietà delle stesse risultava demolito dal (OMISSIS), alla stregua della denuncia di successione di D.F. A. presentata dalla nipote E.A., in cui la proprietà in questione era descritta come distrutta da eventi bellici, e perciò non riportata in catasto. La Corte territoriale aveva sottolineato il rilievo meramente indiziario delle risultanze catastali e della querela presentata nei confronti degli appellanti in relazione agli abusivi lavori di abbattimento della muratura del secondo piano dell’immobile. Al riguardo, si osserva nel ricorso, per un verso, che la querela non può assurgere ad elemento di prova, tanto più che, nella specie, il procedimento penale non aveva avuto seguito; per l’altro, che la denuncia di successione ha valore di confessione.
5.1. – Anche la seconda censura risulta inammissibile.
5.2. – Essa tende, sostanzialmente, ad ottenere una rivalutazione, da parte di questa Corte, del materiale probatorio acquisito: operazione inibita in presenza di una motivazione congrua e non illogica nè viziata da errori giuridici del convincimento del giudice di merito.
Nella specie, la Corte Territoriale ha correttamente attribuito rilievo alla documentazione fotografica allegata alla querela della D., dalla quale risultava la materiale esistenza dell’immobile di proprietà delle appellate.
6. – Con la terza doglianza, si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 345 cod. proc. civ.. La Corte di merito avrebbe rigettato la analoga censura avverso la decisione di primo grado nella parte relativa alla condanna dei convenuti al pagamento dell’importo di L. 13.200.000 per una errata interpretazione delle conclusioni precisate dalle attrici, dalle quali sarebbe emerso che il danno di cui esse avevano chiesto il risarcimento nella misura determinata dal c.t.u. era solo quello derivante dalla perdita della proprietà per impossibilità legale di ricostruzione, e non anche dalla utilizzazione esclusiva da parte dei condomini delle scale e dell’atrio del fabbricato.
7.1. – La doglianza è inammissibile.
7.2. – A parte la inconferenza del richiamo dell’art. 345 cod. proc. civ., va rilevato che la interpretazione della domanda giudiziale è riservata al giudice del merito, ed è incensurabile nella presente sede se congruamente motivata e non affetta da vizi logico-giuridici.
Nella specie, la formulazione delle conclusioni degli attuali ricorrenti non risulta incompatibile con la richiesta del risarcimento del danno di cui si tratta, ove si consideri, tra l’altro, che la questione del risarcimento per la utilizzazione esclusiva dell’atrio e delle scale da parte degli stessi aveva già formato oggetto delle conclusioni della c.t.u..
8. – Passando all’esame del ricorso incidentale, con la prima delle due censure in cui lo stesso si articola si denuncia la contraddittoria motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla conferma della condanna delle appellate al pagamento della quota parte delle spese sostenute per i lavori di consolidamento del fabbricato condominiale. Si rileva che detti lavori non avevano avuto effetti conservativi per la proprietà delle donne, alle quali avevano, per contro, provocato un danno irreversibile, in assenza di una valida delibera assembleare.
9.1. – La censura risulta infondata.
9.2. – La Corte di merito ha fatto, nella specie, corretta applicazione dell’art. 1134 cod. civ., che prevede il rimborso a favore del condomino che abbia effettuato spese per la cosa comune senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea del condominio, ove si sia trattato di spese urgenti.
E che, nella specie, le spese in questione fossero da considerare urgenti è dimostrato dalla esistenza di una ordinanza comunale, indipendentemente dal ritardo con il quale i lavori furono intrapresi.
10. – Con la seconda censura, si deduce omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia. La Corte partenopea non avrebbe fornito alcun argomentazione in ordine alla propria decisione di rigettare la eccezione proposta dalla E. relativa alla circostanza che G. e Mi.Ra. non avevano mai assunto di essere stati gli unici condomini ad aver sostenuto gli esborsi per i lavori eseguiti. Tale eccezione, ove accolta, avrebbe determinato l’annullamento della pronunzia di primo grado nella parte relativa alla condanna della D. e della E. al pagamento del rimborso in favore dei M., in quanto carente di prova sull’an e sul quantum.
11.1. – La doglianza risulta inammissibile.
11.2. – Invero, non risulta dalla lettura della sentenza impugnata nè che detta eccezione sia stata effettivamente proposta, nè che la Corte di merito la abbia rigettata: sicchè, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, la ricorrente incidentale avrebbe dovuto almeno indicare in quale atto la eccezione fosse stata proposta.
12. – I ricorsi vanno, conclusivamente, rigettati. Nella reciproca soccombenza le ragioni della integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.