L’apertura nell’androne condominiale di un nuovo ingresso a favore dell’immobile di un condomino è legittima, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., in quanto, pur realizzando un utilizzo più intenso del bene comune da parte di quel condomino, non esclude il diritto degli altri di farne parimenti uso e non altera la destinazione del bene stesso.

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Corte di Cassazione, Sezione 6 civile – Ordinanza 14 novembre 2014, n. 24295

Condominio – Realizzazione nuovo ingresso – Delibere assembleari – Impugnazione – Presupposti – Articolo 1137 cc – Legittimazione processuale – Criteri – Diritti dei comproprietari – Utilizzo delle parti comuni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

sul ricorso 23033/2012 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) quali partecipanti al Condominio di Via (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2060/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del 30.5.2011, depositata l’11/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

udito per i ricorrenti l’Avvocato (OMISSIS) (per delega avv. (OMISSIS)) che si riporta agli scritti.

CONSIDERATO IN FATTO

(OMISSIS), proprietaria di due locali terranei presso il fabbricato A del condominio di Via (OMISSIS), entrambi con ingresso dal viale condominiale, negata dall’assemblea condominiale del 21-02-2005 l’autorizzazione dalla stessa richiesta per l’apertura di un ulteriore accesso per uno dei suddetti immobili nell’androne della scala B, con ricorso depositato il 21-03-2005 impugnava la relativa delibera assembleare, chiedendo: a) accertarsi preliminarmente il proprio diritto alla realizzazione della menzionata nuova entrata; b) l’annullamento della delibera de qua; c) la condanna del condominio convenuto al risarcimento dei danni sofferti. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 827/2007, accoglieva le sole prime due domande attoree, rigettando la terza per difetto di prova in ordine all’esistenza dei danni asseritamente patiti.

Avverso tale decisione, con citazione notificata il 06-07-2007, il condominio di Via (OMISSIS) interponeva appello per la totale riforma della sentenza impugnata.

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 2060/2012, rigettava integralmente il gravame proposto, per l’effetto confermando la sentenza di primo grado.

Per la cassazione di tale ultimo provvedimento, (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti in qualita’ di partecipanti al condominio di Via (OMISSIS), propongono ricorso affidato ai seguenti 2 motivi:

1. Violazione e falsa applicazione degli articoli 81 e 112 c.p.c., e dell’articolo 1137 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ vizio di omessa e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La (OMISSIS) resiste con controricorso.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’articolo 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’articolo 380 bis c.p.c., proponendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex articolo 380 bis c.p.c., che di seguito si riporta:

Con il primo motivo, i ricorrenti si dolgono innanzitutto della violazione dell’articolo 81 c.p.c., e dell’articolo 1137 c.c., per aver il giudice a quo dichiarato inammissibile, ex articolo 345, comma 2, l’eccezione di carenza di legittimazione di controparte sollevata dall’appellante. Ad avviso dei ricorrenti, infatti, la mancanza in capo alla (OMISSIS) della qualita’ di condomina, necessaria ai fini dell’impugnazione delle delibere assembleari ex articolo 1137 c.c., sarebbe desumibile dai criteri, indicati nel regolamento condominiale, di riparto delle spese di manutenzione degli androni delle scale. Proseguono, poi, i ricorrenti affermando che, pur volendosi ammettere il possesso di tale qualita’ da parte della resistente, ugualmente permarrebbe il difetto di legittimazione dell’intimata all’impugnazione della delibera assembleare de qua. Infatti, dai verbali della riunione dell’assemblea condominiale del 21-02-2005 risulterebbe che la (OMISSIS) si sia astenuta in sede di votazione, con conseguente impossibilita’ di attribuirle la qualita’ di condomina assente o dissenziente, costituente condizione necessaria per l’impugnazione delle delibere dell’assemblea di condominio ai sensi ancora dell’articolo 1137 c.c.. Parte ricorrente, infine, censura la dichiarazione di inammissibilita’ dell’eccezione in esame anche sotto l’ulteriore profilo di omessa motivazione. Infatti, la corte partenopea, qualificando l’eccezione proposta, in quanto attinente all’effettiva titolarita’ del diritto controverso, come eccezione di merito non rilevabile anche ex officio dal giudice, e, pertanto, non proponibile per la prima volta in sede di gravame, non avrebbe tenuto minimamente in considerazione le argomentazioni contrarie sopra esposte, ponendo cosi’ in essere una motivazione del tutto apparente. Da tale vizio, inoltre, sarebbe ulteriormente derivata, sempre a parere dei ricorrenti, la violazione dell’articolo 112 c.p.c., per mancata pronunzia del giudice a quo su un’eccezione espressamente sollevata dall’appellante.

Con il secondo motivo, i ricorrenti continuano a denunciare, in primo luogo, un vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata, con riferimento alla stessa eccezione e per le stesse ragioni esposte nel precedente motivo. Da tale vizio sarebbe inoltre discesa, ad avviso dei ricorrenti, anche la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., giacche’ il giudice a quo, ritenendo l’apertura del nuovo accesso al locale terraneo della (OMISSIS) idonea a garantire anche agli altri condomini l’uso dell’androne della scala B, avrebbe in realta’ costituito una servitu’ di ingresso sul menzionato androne in favore della resistente.

Appare opportuno, in ragione del rapporto di pregiudizialita’-dipendenza sussistente tra le censure mosse, l’esame congiunto di entrambi i motivi di ricorso.

Essi parrebbero infondati.

Per quanto attiene all’asserita violazione degli articoli 81 e 112 c.p.c., e’ necessario ricordare che l’istituto della legittimazione ad agire o a contraddire in giudizio si ricollega al dettato della prima norma menzionata, ai cui sensi: Nessuno puo’ far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. Cio’ comporta, trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza inutiliter data, la verifica, anche ex officio, in ogni stato e grado del processo (salvo che sulla questione sia intervenuto il giudicato interno) e in via preliminare al merito, circa la coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta (cfr. Cass., SS.UU., 09-02-2012, n. 1912). Cio’ premesso, appare, pero’, altrettanto necessario menzionare il consolidato orientamento di questa corte secondo il quale la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste effettivamente nella titolarita’ del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, ma mediante la indicazione di fatti in astratto idonei fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, cioe’ prescindendo dall’effettiva titolarita’ del rapporto dedotto in causa. Al contrario, la titolarita’ della situazione giuridica sostanziale si configura come una questione che attiene al merito della lite, e rientra, pertanto, nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata. La legittimazione ad agire costituisce, quindi, una condizione dell’azione, ossia una condizione per ottenere dal giudice una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza e’ da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’attore, prescindendo dall’effettiva titolarita’ del rapporto dedotto in causa. In altri termini, la legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione dell’azione, si fonda sulla mera allegazione fatta in domanda, sicche’ una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea soltanto quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneita’ al rapporto sostanziale controverso. Appartiene, pertanto, al merito della causa, in quanto concernente la fondatezza della pretesa, l’accertamento in concreto se l’attore e il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio. Ne consegue che l’eccezione relativa alla concreta titolarita’ di tale rapporto, attenendo appunto al merito, non e’ rilevabile d’ufficio, ma e’ affidata alla disponibilita’ delle parti, che, per farla valere proficuamente, devono formularla tempestivamente (cfr., ex multis, Cass., 27-06-2011, n. 14177; Cass., 10-05-2010, n. 11284; Cass., 30-05-2008, n. 14468).

Nel caso di specie, i ricorrenti, dolendosi della declaratoria di inammissibilita’, in sede di gravame, dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva della (OMISSIS), sembrano in realta’ contestare non il fatto che l’intimata abbia azionato, in nome proprio, un diritto di cui riconosceva l’altrui titolarita’, bensi’, piuttosto, l’effettiva titolarita’ del diritto controverso. Cio’ premesso, appare evidente che l’eccezione in esame, alla luce della giurisprudenza richiamata, attiene al merito della lite, come correttamente affermato dal giudice a quo. Pertanto, essa, essendo rilevabile solo su istanza di parte, poteva essere sollevata dai ricorrenti nella comparsa di risposta di primo grado ex articolo 167 c.p.c., e non per la prima, volta nell’atto di gravame, ostandovi il disposto dell’articolo 345 c.p.c., comma 2, che vieta la proposizione in appello di eccezioni nuove non rilevabili anche ex officio dal giudice (c.d. divieto di nova in appello).

Alla luce di cio’, non appaiono di maggior pregio le contestuali censure di omessa motivazione e di violazione dell’articolo 112 c.p.c.. Infatti, il vizio di omessa motivazione si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio. Tale vizio non puo’, invece, consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla, parte. E’ riservata, infatti, al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento. Alla Corte di Cassazione, invece, non e’ conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensi’ solo quello di controllare, sotto il profilo logico, formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice o l’apprezzamento dei fatti (cfr., ex multis, Cass., 11-07-2007, n. 15489).

Nel caso di specie, la corte distrettuale ha ampiamente e coerentemente motivato circa la natura di merito dell’eccezione in esame e, quindi, sulla sua inammissibilita’ in appello, richiamando, oltretutto, proprio l’indirizzo giurisprudenziale sulla legitimatio ad causam precedentemente illustrato da questo relatore. Per la medesima ragione, quindi, non puo’ imputarsi al giudice a quo neppure la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex articolo 112 c.p.c., avendo la corte distrettuale pienamente risposto all’eccezione sollevata dal condominio appellante.

Da quanto appena esposto discende l’infondatezza anche delle doglianze concernenti l’asserita violazione degli articoli 1137 e 1102 c.c., in quanto logicamente dipendenti da quella concernente la violazione degli articoli 81 e 112 c.p.c.. Appare evidente, infatti, che dall’inammissibilita’ dell’eccezione di carenza di legittimazione della (OMISSIS) deriva, conseguentemente, il riconoscimento in capo all’intimata della qualita’ di condomina, costituente condizione necessaria ai fini dell’impugnazione della delibera assembleare del 21-02-2005 ex articolo 1137 c.c., nonche’ dell’uso, in quanto bene comune ex articolo 1102 c.c., dell’androne della scala B del condominio. Il giudice a quo, pertanto, non ha commesso alcun errore nell’interpretazione, ovvero nell’applicazione delle norme richiamate. Ne’ il ricorrente puo’ validamente invocare la giurisprudenza di questa corte relativa alla costituzione di servitu’ di passaggio su beni condominiali, in ragione della diversita’ tra la fattispecie concretamente verificatasi e quella prevista dall’orientamento in esame. Infatti, l’indirizzo de quo si riferisce all’ipotesi della costituzione di servitu’ di passaggio su beni condominiali per consentire un collegamento diretto tra distinti immobili di proprieta’ del medesimo privato (cfr., ex multis, Cass., 18-09-2013, n. 21395; Cass., 06-02-2009, n. 3035; Cass., 19-04-2006, n. 9036; Cass., 13-01-1995, n. 360). Al contrario, nel caso di specie l’intimata si e’ limi tata a chiedere l’apertura di un nuovo ingresso per il proprio immobile presso l’androne condominiale, cosi da realizzare unicamente un utilizzo piu’ intenso di tale bene comune, senza, quindi, escludere gli altri condomini dall’uso del bene in questione. Cio’, del resto, appare pienamente in linea con il consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo il quale, in tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune una utilita’ maggiore e piu’ intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purche’ non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di quest’ultimi. In particolare, per stabilire se l’uso piu’ intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell’articolo 1102 c.c., non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. L’uso deve ritenersi in ogni caso consentito se l’utilita’ aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall’uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene e sempre che detto uso non dia luogo a servitu’ a carico del suddetto bene comune (cfr. Cass., 27-02-2007, n. 4617; Cass., 30-05-2003, n. 8808; Cass., 01-08-2001, n. 10453; Cass., 12-02-1998, n. 1499).

Nel caso di specie, sembra logico ritenere che l’apertura nell’androne della scala B di una nuova entrata per il locale terraneo dell’intimata non impedisca agli altri condomini di fruire dell’androne per raggiungere i propri appartamenti. Ne’, tantomeno, si potrebbe ragionevolmente affermare che l’ingresso de quo sia idoneo ad alterare irreversibilmente la destinazione dell’androne. Al contrario, l’apertura del nuovo accesso all’immobile dell’intimata valorizzerebbe e potenzierebbe la funzione dell’androne in esame, ossia quella di facilitazione del transito dei condomini, e dei terzi, da e verso le singole unita’ abitative della scala .

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio, e pertanto il ricorso va respinto.

Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione che liquida in complessivi euro. 1.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie ed accessori come per legge.

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