In materia condominiale, ai fini della validità delle delibere assembleari devono essere individuate e riportate nel relativo verbale, i nominativi dei condomini dissenzienti ed assenzienti oltre ai valori delle quote millesimali di ognuno e ciò pur in assenza di una espressa disposizione di legge in tal senso. Tale individuazione si rende necessaria per la verifica dell’esistenza della maggioranza richiesta dalla legge ai fini della validità delle deliberazioni, ovvero facendo riferimento all’elemento reale, qual è la quota proporzionale dell’edificio espressa in millesimi. Inoltre, poiché il potere di impugnazione delle deliberazioni è riservato ai condomini dissenzienti, ed agli assenti, è necessario indicare, fin dal momento dell’espressione del voto, i partecipanti al condominio legittimati ad impugnare la deliberazione.

 

CHIEDI UNA CONSULENZA

 

 

Tribunale Milano, Sezione 13 civile

Sentenza 7 ottobre 2014, n. 11707

CONDOMINIO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Milano, XIII Sezione Civile, in persona del Giudice monocratico dott. Giacomo Rota, ex art. 281 sexies c.p.c. ha pronunciato la seguente

Nella causa promossa

SENTENZA

DA

(…)

rappresentato e difeso dall’avv. (…) in forza di procura agli atti ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Milano

CONTRO

-ATTORE-

Condominio (…)

in persona dell’ amministratore pro tempore (…) rappresentato e difeso (…) forza di procura agli atti ed elettivamente domiciliali presso suo studio in Peschiera,

-CONVENUTO-

Oggetto: uso delle parti comuni ex art. 1102 e 1122 bis c.c.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

L’odierno giudizio ha ad oggetto l’impugnazione della delibera assembleare assunta dal n. 11113 in data 26 novembre 2013 azionata dall’attore (…) nella parte in cui il consesso assembleare non ha, al punto numero quattro dell’ordine del giorno, autorizzato il condomino(…) ad installare sul tetto condominiale otto pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica ad uso personale secondo lo schema allegato al verbale assembleare (vedi II doc. n. 2 fascicolo parte attrice): la difesa di parte attrice ha messo in evidenza due profili di invalidità afferenti la delibera in esame, costituito il primo dal non avere il verbale assembleare indicato nominativamente i condomini che avevano votato a favore, contro o che si erano astenuti si da non consentire la verifica ne della sussistenza, all’esito della votazione, della necessaria maggioranza per teste ne dell’esistenza di eventuali conflitti di interesse, ed il secondo dal non essere consentito al consesso assembleare, in caso di volontà di un condomino di voleri utilizzare parti comuni del condominio al fine della installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unita del condominio ex art. 1122 bis – secondo comma, c.c. – nel caso in esame l’utilizzo di parte del tetto condominiale con riguardo alla “falda fonte strada del tetto della scala D” – il diniego di autorizzazione all’esecuzione dell’impianto, come era inopinatamente accaduto in occasione del deliberato assembleare censurato nella presente sede, salva piuttosto la possibilità dell’esercizio di un controllo nel caso in cui l’installazione dell’impianto avesse comportato modificazioni delle parti comuni.

Si e costituito in giudizio il 11/13 (…) asserendo la legittimità dell’operato dell’assemblea del 26 novembre 2013 e giustificando il diniego di autorizzazione dei condomini al progetto dell’attore (…) sia sulla base del fatto che il predetto attore non aveva fornito all’amministratore alcun progetto specifico dell’installazione dei pannelli solari da effettuare con tutte le indicazioni tecniche necessarie, contravvenendo cosi al disposte dell’art. 1122 bis, terzo comma, c.c. che al contrario richiede che il condomini che voglia effettuare un intervento volto alla posa ci impianti fotovoltaici debba preventivamente comunicare all’amministratore il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi ove questi ultimi, come nel presente caso, importino modificazioni delle parti comuni, sia per la constatazione che la posa di otto pannelli fotovoltaici. come da progetto allegato agli atti, era da considerarsi contrastante con decoro architettonico dell’edificio oltre che assi invasivo atteso che veniva interessata la metà della copertura condominiale, sia infine per il fatto che l’intervento del (…) cozzava vuoi con il disposto dell’art. 5 del regolamento condominiale che vieta espressamente di intraprendere opere che modifichino l’architettura esterna del fabbricato e delle parti comuni della casa e che comunque rechino pregiudizio ai condomini vuoi con i limiti previsti dall’art. 1102 c.c. in materia di uso delle parti comuni ad opera dei singoli condomini.

Instaurato il contraddittorio tra le parti di causa, la causa e stata decisa seguito di discussione orale secondo lo schema di cui all’art. 281 sexies del codice di rito civile. Questi i fatti di causa. Il Giudice ritiene che il deliberato assembleare censurato dalla difesa di parte attrice – nella parte in cui i condomini non hanno, al punto numero quattro dell’ordine del giorno, autorizzato l’attore ad installare sul tetto condominiale otto pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica ad uso personale secondo lo schema allegato negli atti – risulti viziato da entrambe le illegittimità sopra evidenziate per i motivi di seguito indicati.

La delibera censurata ha indicato i millesimi dei condomini che hanno votato a favore del diniego di autorizzazione (295,70), contra il diniego di autorizzazione (117,23) (…) nonché i millesimi dei soggetti che si sono astenuti a riguardo (201,22), ma non ha (…) indicato i nominativi dei votanti si da non permettere la verifica né della sussistenza, all’esito della votazione, della necessaria maggioranza per teste né dell’esistenza di eventuali conflitti di interessi: ciò comporta di per se la invalidità delle statuizioni in essa contenute (vedi sullo specifico punto la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 810 del 29 gennaio 1999 a mente della quale “In tema di condominio degli edifici, ai fini della validità delle deliberazioni assembleari devono essere individuati, e riprodotti nel relativo verbale i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, ed i valori delle rispettive quote millesimali, pur in assenza di una espressa disposizione in tal senso. Tale individuazione è, infatti, indispensabile per la verifica della esistenza della maggioranza prescritta dall’art. 1136, secondo, terzo e quarto comma, c.c., ai fini della validità dell’approvazione delle deliberazioni con riferimento all’elemento reale (quota proporzionale dell’edificio espressa in millesimi). Inoltre essendo in potere di impugnazione riservato ai condomini dissenzienti (oltre che agli assenti), e necessario indicare fin dal momento della espressione del voto i partecipanti al condominio legittimati ad impugnare la deliberazione.

Né mancano altre ragioni per le quali si rende necessaria la identificazione dei condomini consenzienti e di quelli dissenzienti, soprattutto ove si consideri l’interesse dei partecipanti a valutare l’esistenza di un eventuale conflitto di interessi. Dalla non conformità a legge della omissione della indicazione nominativa dei singoli condomini favorevoli e di quelli contrari e delle loro quote di partecipazione al condominio e della riproduzione di tali elementi “al relativo verbale discende la esclusione della presunzione di validità della delibera assembleare (…) priva di quegli elementi, indispensabili ai fini della verifica della legittima approvazione della delibera stessa”; conforme sul punto la sentenza delle sezioni unite della Suprema Corte n. 4806 del 7 marzo 2005).

Ma la delibera censurata si palesa viepiù illegittima per avere l’assemblea condominiale esercitato una facoltà non consentita dal testo del nuovo art. 1121 bis c.c. – norma introdotta dal Legislatore con la recente legge n. 220 del 2012 di riforma dell’istituto giuridico del Condominio negli edifici al fine di facilitare l’uso del singolo condomino di parti comuni del Condominio per la installazione di impianti fotovoltaici volti alla produzione di energia da fonti rinnovabili non inquinanti ed al contenimento dei consumi energetici – nella misura in cui i condomini hanno negato (…) l’autorizzazione all’attore (…) con riguardo all’installazione sul tetto di atto pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica ad uso personale, non prevedendo il testo dell’art. 1122 bis c.c. una simile possibilità a favore dell’assemblea.

L’art. 1122 bis c.c. infatti consente l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unita del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuali di chi ne richiede la realizzazione a condizione che l’interessato, ove gli interventi da effettuare importino modificazioni delle parti comuni, ne dia comunicazione all’amministrazione indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi; l’assemblea, una volta intavolata la discussione tra i condomini, può prescrivere con l’elevata maggioranza di cui all’art. 1136, quinto comma, c.c. modalità alternative di esecuzione, può imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio, oppure può provvedere a richiesta a ripartire l’uso del lastrico solare o delle altre superfici comuni salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o le forme di utilizzo comunque in atto: in ogni caso l’assemblea dei condomini può, come la medesima predetta maggioranza, subordinare l’esecuzione dei lavori alla prestazione, da parte dell’interessato, di idonea garanzia per gli eventuali danni.

La norma in esame in sostanza prevede che, una volta assolto l’obbligo di informativa del condomino interessato alla realizzazione degli interventi nei riguardi dell’amministratore al quale va comunicato “il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi” ove questi ultimi importino modificazioni delle parti comuni ed una volta instaurato il dibattito tra i condomini a seguito di apposita convocazione assembleare chiamata a deliberare sul punto, quest’ultima possa effettuare unicamente le attività di cui all’art. 1122 bis, terzo comma, c.c. ma non possa, come è avvenuto nella fattispecie al vaglio del presente giudizio, denegare al condomino interessato un autorizzazione che, per la verità, non è neppure richiesta in tutti i casi in cui il singolo condomino abbia deciso di utilizzare uno dei beni comuni annoverati dall’art. 1117 c.c. sia pure rimanendo nei limiti di cui all’art. 1102 del codice civile e della legge in generale.

Nella fattispecie al vaglio del presente giudizio risulta ex actis che il condomino odierno attore (…) abbia notiziato l’amministratori dell’intenzione di installare gli otto pannelli solari sul tetto avendo allegato a corredo della richiesta un schema attestante l’ubicazione della posa e l’indicazione della forma dei pannelli oggetto di intervento: verificata tale circostanza, l’assemblea non avrebbe potuto negare l’intervento ma, se del caso, individuare ed imporre modalità alternative di esecuzione, prescrivere adeguate cautele a salvaguardia della stabilita, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio, ovvero, a richiesta, ripartire l’uso del lastrico solare salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio od eventuali utilizzi in atto salvo, in ogni caso, potere subordinare l’esecuzione dei lavori oggetto della richiesta del condomino alla prestazione di una garanzia per eventuali danni cagionati a parsone e/o cose; l’avere al contrario semplicemente negato l’autorizzazione ad espletare i lavori ha fatto si che l’assemblea si sia posta in contrasto con la legge avendo esorbitato dalle proprie attribuzioni, con ogni conseguenza in tema di invalidità della relativa delibera che abbia negato la realizzazione dei lavori per cui è lite.

Ad avviso di chi scrive inoltre l’intervento del condomino (…) odierno attore soggetto di causa non si pone del pari in contrasto con alcuno dei divieti prospettati dalla difesa di parte convenuta relativi all’art. 5 del regolamento di condominio e/o con la tutela del decoro architettonico dell’edificio, rientrando al contrario tale intervento pienamente nei limiti che l’art. 1102 c.c. – di cui l’art. 1122 bis c.c. costituisce speciale ipotesi applicativa – ha previsto al fine di consentire al singolo condomino l’uso più intenso delle parti comuni.

L’art. 1102 c.c., applicabile al regime giuridico del Condominio in base al richiamo di cui all’art. 1139 c.c., regola tre diverse situazioni: la prima relativa al diritto di ciascun compartecipe di servirsi della cosa comune senza portare modificazioni alla stessa e nel rispetto de diritto di godimento spettante agli altri, la seconda disciplinante l’ipotesi delle modifiche delta cosa comune effettuate dal singolo partecipante a proprie spese per il proprio maggior godimento e la terza, prevista nel comma secondo del predetto art. 1102 c.c., regola la diversa ipotesi della natura e dell’estensione del compossesso: la citata norma persegue lo scopo di assicurare al singolo partecipante, quanto all’esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della cosa e pertanto legittima quest’ultimo, entro i suddetti limiti, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi la nozione di “uso paritetico” intendersi in termini di assoluta identità di utilizzazione della cosa comune, poiché una lettura in tal senso, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio iella cosa comune.

Se si passa ad analizzare la disciplina delle limitazioni all’uso dei beni comuni ad opera del singolo condomino, il disposto dell’art. 1102 c.c., ne subordina l’uso a due fondamentali limitazioni: il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e l’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini; a rendere illecito l’uso (…) basta il mancato rispetto dell’una o dell’altra delle due condizioni, cosi che anche l’alterazione della cosa comune, determinata non soltanto dal mutamento della funzione ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore, ricade sotto il divieto stabilito dall’art. 1102 del codice civile. Deve invece ritenersi legittima l’utilizzazione della cosa comune da parte del singoli condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini. E’ altresì legittimi l’uso più intenso della cosa purché non sia in ogni caso alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine sempre avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.

Dall’art. 1102 c.c. si evince il criterio per cui l’uso della cosa comune avviene di regola finché ciò sia possibile e ragionevole – in maniera promiscua, di modo che ciascun partecipane abbia il diritto di utilizzare il bene come può e non già in qualunque modo voglia, dato il duplice limite derivante dal rispetto della destinazione d’uso e dalla pari facoltà di godimento spettante agli altri comunisti: il limite concernente il divieto di alterare la destinazione, da intendersi come quella specifica funzione che la cosa ha avuto sin dal suo inizio ovvero che i condomini gli hanno impressa con la pratica, va inteso nel senso di impedire che il singole condomino modifichi l’utilità che gli altri partecipanti al condominio hanno diritto di ricavare dal bene comune e comunque impedire che il valore oggettivamente apprezzabile del bene subisca una trasformazione non e pertanto consentito alterare la destinazione per iniziativa del singolo condomino in quanto la modifica impedisce agli altri condomini di continuare a godere delle cose secondo il loro diritto.

Il divieto di alterare la destinazione del bene condominiale, posto dall’art. 1102 c.c.. deve essere letto anche in relazione alla disciplina di cui al successivo art. 1120 c.c., laddove preclude al condomino qualsiasi intervento che determini alterazione dell’entità sostanziali- del bene comune, mutandone la destinazione di fatto e di diritto, ovvero eccedendone il limite della conservazione o dell’ordinaria utilizzazione e del normale godimento: ciò si collega anche con la possibilità concessa al singolo condomino di apportare al beni comune, a proprie spese, le modificazioni necessarie per il miglior godimento. Le modificazioni della cosa comune o di sue parti eseguite dal singolo condomino ai fini di un suo uso particolare diretto ad in migliore e più intenso godimento del bene stesso costituiscono una consentita esplicazione del diritto di comproprietà ex art. 1102 c.c. qualora non implichi alterazione della consistenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i diritti d’uso e di godimento degli altri condomini: diversamente si risolvono in una innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c. che, in quanto tale, può essere disposta dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio. Restano comunque sempre vietate ex art. 1120, comma terzo, c.c., così come modulato dalla riforma, le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterano il decoro architettonico o che rendono talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.

Questi i limiti entro cui è consentito al singolo condomino l’uso più intenso della cosa comune, spetta al Condominio od ai singoli condomini che vogliano contrastare le modificazioni delle parti comuni consequenziali all’uso più intenso che qualcuno voglia di volta in volta perseguire dimostrare in concreto l’esistenza di un elemento ostativo rientrante tra quelli menzionati nell’ultimo comma dell’art. 1120 c.c. o nell’art. 1102 c.c. e tra quelli specifici previsti nel regolamento di condominio pena, in mancanza, la declaratoria di nullità della delibera assembleare che ne abbia rigettato la fattibilità.

Nel caso in esame non è stata fornita prova del fatto che la posa degli otto pararci li solari ad opera del condomino attore (…) possa comportare lesione al decoro architettonico dell’edificio c/o compromissione della stabilità e della sicurezza del fabbricato e/o alcun pregiudizio agli altri condomini: del pari l’installazione dei predetti pannelli solari non determina alcuna alterazione della destinazione della cosa comune su cui vengono posati posto che il tetto condominiali interessato dai lavori continua a svolgere il naturale funzione di copertura dello stabile, il che porta tranquillamente a ritenere che l’intervento oggetto di diniego di autorizzazione assembleare per cui è causa rispetta tutti i parametri previsti dall’art. 5 del regolamento di condominio e dagli artt. 1102, 1120 e 1122 bis del codice civile.

Il predetto intervento non viola inoltre l’ulteriore requisito del non impedimento agli altri condomini di utilizzare parimenti il tetto dell’edificio secondo il rispettivo diritto, atteso che per la nozione di uso della cosa comune indicata dall’art. 1102 c.c. deve intendersi l’uso che in concreto ciascun condomino può fare della cosa comune e non l’uso ritraibile in astratto al pari degli altri condomini: nel presente caso è ovvio che il titolare della proprietà dell’ultimo piano dello stabile condominiale, quale risulta essere l’odierno attive abbia maggiori possibilità rispetto agli altri compartecipanti al Condominio ad utilizzare il tetto al fine della posa dei pannelli per la produzione di energia elettrica ad uso personale, e ciò impregiudicato l’uso potenziale del tetto che può essere fatto dai rimanenti condomini e che non può intendersi quale uso necessariamente identico e contemporaneo a quello che intende effettuare l’attore (…) (si vedano le sentenze n. 11268 del 9 novembre 1998 secondo cui “La nozione di pari uso della cosa comune che ogni partecipante utilizzando la cosa medesima deve consentire agli altri non va intesa in senso di uso identico, perché l’identità nello spazio e nel tempo potrebbe importare un ingiustificato divieto per ogni condomino di fare un uso particolare o un uso a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che per stabilire se l’uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti e perciò sia da ritenere non consentito a norma dell’art. 1102 cod. civ., non deve aversi riguardo all’uso fatto in concreto dagli altri condomini in un determinati momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno”, e numero 12873 del 2005 a mente della quale “E’ giurisprudenza di questa Corte che il pari uso della cosa comune non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i partecipanti alla comunione, che resta affidata alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza; che la nozione di pari uso del bene comune non e da intendersi nel senso di uso necessariamente identico e contemporaneo, fruito cioè da tutti i condomini nell’unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la conseguenza della impossibilità per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine”).

In definitiva pare a questo Giudice che l’assemblea dei condomini il cui deliberato e stato censurato ad opera dell’odierno attore (…) nella parte in cui i condomini non hanno, al punto numero quattro dell’ordine del giorno, autorizzato l’attore (…) ad installare sul tetto condominiale otto pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica ad uso personale, abbia negato l’autorizzazione sulla base dell’esistenza di generiche problematiche relative all’asserita lesione del decoro architettonico, della stabilità e della sicurezza dello stabile che non sono. Emerse nella, presente sede, esercitando in tal modo una facoltà non consentita dalla legge: tale comportamento ha determinato la violazione del diritto soggettivo del condomino all’utilizzo delle parti comuni e la nullità della statuizione assembleare che tale violazione ha concretizzato. Ne discende l’accoglimento dell’impugnazione spiegata dall’attore (…) e la declaratoria di invalidità della delibera assembleare assunta dal Condominio novembre 2013 nella parte in cui il consesso assembleare non ha, al punto numero quattro dell’ ordine del giorno, autorizzato il condomino ad installare sul tetto condominiale otto pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica ad uso personale secondo lo schema allegato al verbale assembleare. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, XIII Sezione Civile, definitivamente pronunciando nella causa tra le parti di cui in epigrafe, ogni altra istanza, comanda ed eccezione disattesa, cosi provvede: Dichiara l’Invalidità, nei termini di cui in motivazione, della delibera assembleare assunta dal in data nella parte in cui la predetta delibera non ha, al punto numero quattro dell’ordine del giorno, autorizzato il condomino (…) ad installare sul tetto condominiale otto pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica ad uso personale:

al pagamento, a favore di (…) in delle spese del giudizio liquidate in Euro (…) per spese ed Euro (…) per compenso di avvocato, oltre rimborso forfettario spese generali 15%, iva e epa come per legge.

Così deciso in Milano, il 6 ottobre 2014.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *