Non si può aprire una porta per mettere in comunicazione due appartamenti di proprietà situati in condomini diversi, anche se separati soltanto da un muro condiviso. L’alterazione del muro perimetrale, infatti, realizza un uso indebito delle parti comuni oltre a poter precostituire una servitù di passaggio.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 marzo – 15 maggio 2014, n. 10606
Presidente Triola – relatore Nuzzo

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato G.N. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Bologna, G.G. esponendo:
di essere proprietaria di una porzione immobiliare di un edificio sito in (omissis) ;
l comproprietario convenuto aveva aperto una porta sul muro condominiale al fine di mettere in comunicazione i propri locali con altri di sua proprietà, ubicati nell’immobile adiacente ed aveva eretto abusivamente una canna fumaria. Chiedeva, pertanto, la condanna del convenuto alla rimozione delle opere ed al ripristino della situazione preesistente nonché al risarcimento dei danni. Costituitosi in giudizio il G. assumeva che le opere in questione rientravano nel diritto del condomino all’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c. e chiedeva il rigetto della domanda.
Con sentenza 6.4.2003 il Tribunale adito ordinava la chiusura della porta di comunicazione tra i due stabili, rilevando che l’apertura costituiva un uso abnorme del muro condominiale.
Avverso la decisione proponevano appello S.R. , L.M.A. e R.P. , succeduti a titolo particolare, a seguito di atto di compravendita 11.3.2003, nella proprietà dell’immobile del convenuto.
Resistevano in giudizio B.M. e B.M. , eredi di G.N. , deceduta nelle more del giudizio, chiedendo, in via incidentale, la condanna degli appellanti al pagamento delle spese al giudizio di primo grado. Con sentenza depositata il 10.7.2008 la Corte di Appello di Bologna respingeva l’appello principale e quello incidentale condannando gli appellanti principali al pagamento delle spese del grado.
Osservava la Corte di merito che il motivo di gravame principale, fondato sull’asserita appartenenza dei locali posti in comunicazione alla medesima unità immobiliare, introduceva una “nuova difesa”, come tale inammissibile ex art. 345 c.p.c.; aggiungeva che la circostanza relativa alla comunione del muro maestro di divisione delle due unità immobiliari comportava solo la costruzione in aderenza dei due immobili e non costituiva titolo di comunione tra i due stabili, come pure desumibile dalla consulenza di parte appellante, per geom. Ga. , prodotta dalla stessa parte in appello.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso S.R. , L.M.A. e R.P. , formulando due motivi illustrati da memoria. Resistono con controricorso, depositato in cancelleria il 21.10.2010, Ba.Ma. e B.M. .

Motivi della decisione

I ricorrenti deducono:
1) carenza di motivazione in ordine alla mancata disposizione della C.T.U., richiesta dai ricorrenti per accertare il fatto controverso costituito dalla comunione del muro maestro che divideva le due porzioni immobiliari contigue su cui insisteva l’apertura in questione;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., posto che i due edifici confinanti costituivano un condominio ed erano sottoposti alla disciplina di detta norma.
Al riguardo viene formulato il seguente quesito di diritto: “se sia legittima l’apertura di un varco di passaggio nel muro portante comune fra i due edifici contigui che, ricostruiti assieme, tenendo quel muro di sostegno in comune, siano da ritenere attualmente formanti un condominio”.
Il ricorso è infondato.
Il ricorrente ripropone questioni già disattese dalla Corte territoriale con motivazione immune da vizi logici e giuridici e fondate su accertamenti in fatto riservati al giudice di merito. In particolare, la sentenza impugnata ha dato atto che, in base alla stessa C.T. di parte appellante, i locali messi in comunicazione appartenevano ad entità condominiali distinte e che la comunione del muro derivava dall’applicazione delle norme sulla costruzione in aderenza ex art. 874 c.c., e, come ritenuto dal giudice di primo grado, le aperture praticate dal condomino nel muro comune, per mettere in collegamento locali di sua proprietà poste nell’edifico condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, costituivano un uso indebito della cosa comune, alterando la destinazione del muro ed incidendo sulla sua funzione di recinzione, potendo, inoltre, dar luogo ad una servitù di passaggio a carico della proprietà condominiale.
Tale motivazione è del tutto corretta ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9036/2006; n. 2175/82). Va aggiunto che il mancato espletamento di C.T.U. risulta giustificata dalla ritenuta superfluità della stessa a fronte degli elementi di fatto già accertati.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, risolvendosi entrambe le censure in un diverso apprezzamento di questioni riservate al giudice di merito cui spetta valutare le prove, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno all’atro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui alla prova è assegnato un valore legale (Cass. n. 7394/2010; n. 6064/2008).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

 

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