In condominio, le porzioni di immobile come, il corridoio di accesso alle cantine, vano sottoscala e locale caldaia, costituiscono cose presuntivamente comuni ex art. 1117 c.c.
Incombe a chi rivendichi l’acquisto uti singuli di dette porzioni di immobili l’onere di provare che queste ultime furono avocate a se dal venditore col primo atto di frazionamento.

 

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 marzo – 30 aprile 2014, n. 9523
Presidente Triola – Relatore Oricchio

Considerato in fatto

Con atto di citazione notificato il 31 marzo 2005 P.A. e G.M. convenivano in giudizio innanzi alla Corte di Appello di Milano il Condominio di via (omissis) , A.G. , Ba.Ro. , Be.Gi. , B.A. , C.v. , C.R.G. , N.G. , P.F. , Pe.Ve. e S.M. così proponendo impugnazione avverso la sentenza n. 1251/2005, con la quale il Tribunale di Milano aveva dichiarato la proprietà comune del sottoscala di arrivo alle cantine nel piano interrato, dei relativi anditi e corridoio, nonché del locale caldaia e ritenuto, altresì, l’idoneità delle tabelle millesimali approntate dal CTU nominato in corso di causa.
Le parti appellate deducevano l’infondatezza dell’avversa impugnazione, di cui chiedevano il rigetto ed, in via incidentale, appellavano anch’esse la sentenza del Giudice di prime cure chiedendo la condanna delle parti appellanti al pagamento delle intere spese di lite.
Con sentenza n. 318/2008 la Corte di Appello di Milano, in riforma dell’appellata decisione, accertava e dichiarava che le tabelle millesimali di cui alla C.T.U. erano inidonee a rappresentare le quote millesimali di proprietà privata e delle corrispondenti parti comuni, dichiarava tenuto e condannava il Condominio di via (omissis) a rimuovere ed eliminare gli impianti tecnologici nel locale caldaia, autorizzando gli appellanti, in difetto di spontanea tempestiva esecuzione, a provvedervi a propria cura ed a spese del condominio e condannava le parti appellate, in solido, al pagamento in favore degli appellanti delle spese del doppio grado del giudizio.
Per la cassazione della detta sentenza della Corte di Appello territoriale ricorrono il Condominio di via (omissis) , nonché i suddetti A. , Ba. , Be. , B. , C. , C.R. , N. , P. , Pe. e S. con atto affidato a due articolati motivi assistiti dalla formulazione di quesiti ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.. Resistono con controricorso P.A. e G.M. .

Ritenuto in diritto

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il processo – violazione o falsa applicazione di norme di diritto artt. 158 in relazione agli artt. 101-115-116-161-174 c.p.c. nonché 2728 c.c. in tema di nullità”.
Al riguardo si sottopongono al vaglio di questa Corte i seguenti testuali multipli quesito di diritto:
“se il giudice di merito possa pronunciare la nullità in difformità degli artt. 115/116 c.p.c.; se la sostituzione del giudice istruttore con altro davanti al quale si tenga la discussione finale e che emetta la sentenza, possa considerarsi motivo di nullità insanabile; se gli elementi qualificante la sentenza e dalla stessa emergenti siano assistiti da presunzioni di rispondenza; se la nullità della sentenza possa, ex art. 161 c.p.c., essere pronunciata d’ufficio dal giudice dell’appello e/o per motivi rinvenuti negli scritti conclusivi diversi da quelli posti ad oggetto del gravame ribaditi in conclusioni finali e se la disamina dei motivi tardivamente prospettati negli scritti difensivi, leda il principio del contraddittorio”.
Il motivo è infondato e va rigettato.
Con corretta decisione, facendo buon governo delle norme di legge ed esatta applicazione dei principi giurisprudenziali più volte enunciati da questa stessa Corte, il Giudice di appello ha giustamente ritenuto la nullità dell’appellata sentenza di primo grado.
Ribadito il noto “principio generale che informa l’attuale processo civile relativo all’immutabilità del giudice investito dell’istruzione e della decisione della Causa” (Cass. 14 marzo 2001, n. 3677), la Corte territoriale non poteva che ritenere l’invalidità della decisione appellata risultante redatta e sottoscritta da giudice monocratico che non aveva partecipato alla discussione “e non si era trattenuto in decisione alcunché”.
Ciò posto deve ritenersi che, come correttamente statuito dalla Corte distrettuale, la causa non doveva retrocedere al giudice di primo grado, essendo quest’ultima ipotesi sottesa solo alla ricorrenza di ipotesi tassativamente previste dalla legge e differenti da quella esaminata.
Pertanto, correttamente, la medesima Corte territoriale ha proceduto alla delibazione nel merito della questione per cui è causa.
2.- Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il processo – violazione o falsa applicazione di norme di diritto nella delibazione della sentenza”.
Il relativo proposto pluriarticolato quesito di diritto è così, testualmente, formulato:
“se sia consentito alla parte di avanzare censure alla C.T.U. in sede di comparsa conclusionale e se il giudice possa basare la propria pronuncia nella condivisione delle stesse o se di converso siffatte circostanze costituiscano violazione del principio del contraddittorio; se in un edificio condominiale costituiscano cose presuntivamente comuni ex art. 1117 c.c. il corridoio di accesso alle cantine, il vano sottoscale e il locale caldaia;
se chi rivendichi l’acquisto di cose presuntivamente comuni ex art. 1117 c.c. sia onerato di provare che dette cose furono avocate dal suo venditore col primo atto di frazionamento o se la disattenzione di detta prova costituisca violazione degli artt. 1117/2697 c.c.; se una scheda catastale indicata in atto di vendita ma in esso non richiamata come sua parte integrante ad identificazione dei beni compravenduti non venendo all’uopo sottoscritta dai contraenti, sia di per sé idonea ad attestare il trasferimento di tutti gli enti ivi raffigurati e anche di beni che non coincidano per tipologia con quelli indicati in rogito;
se la scheda catastale, costituisca semplice indizio purché in concorso con altri, per la identificazione di bei compravenduti di assoluta incertezza o se la determinante valenza ad essa attribuita in relazione a beni definiti, costituisca violazione degli artt. 1407/1346/1362 c.c.”.
Il motivo, per quanto di ragione, è fondato e va – per l’effetto – accolto.
In particolare deve affermarsi che, in un edificio condominiale, le porzioni di immobile come quelle per cui è causa (corridoio di accesso alle cantine, vano sottoscala e locale caldaia) costituiscono cose presuntivamente comuni ex art. 1117 c.c..
Incombe a chi rivendichi l’acquisto uti singuli di dette porzioni di immobili l’onere di provare che queste ultime furono avocate a se dal venditore col primo atto di frazionamento.
La sola scheda catastale (costituente mero indizio, ma non prova di proprietà), neppure – peraltro – richiamata in un singolo atto di acquisto, né debitamente sottoscritta, non è di per sé idonea ad affermare l’esistenza di un diritto individuale di proprietà rispetto a beni, quali quelli per cui è causa, in ordine ai quali è sancita la presunzione di condominialità.
La decisione per cui è ricorso ha, tuttavia, ritenuto di poter affermare la proprietà individuale dei detti beni sulla scorta di quanto, come da atti, esaminato ed – in particolare – dell’atto notarile di compravendita per notaio Lupinacci del 10 dicembre 1980.
Si tratta dell’atto con cui sarebbero pervenuti alle odierne parti resistenti – fra l’altro – le suddette parti dell’immobile condominiale.
La sentenza della Corte territoriale, in punto, è errata.
Al fine dell’esatta individuazione della condominialità o meno dei detti beni non andava considerato il suddetto atto ed il titolo di acquisto dei resistenti, ma – al contrario – l’atto costitutivo del condominio al fine precipuo di considerare l’esclusione o meno di determinati beni da quelli per i quali vi è presunzione di legge di appartenenza al condominio medesimo.
E, quindi, andava valutato – differentemente – l’atto con la trascrizione del regolamento condominiale.
3.- La fondatezza, per i motivi esposti ed i principi affermati, del suddetto secondo motivo del ricorso in esame ne comporta l’accoglimento in punto.
4.- La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio della causa ad altra sezione Corte di Appello di Milano, affinché la stessa decida la controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigettato il primo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

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