In caso di vendita dell’unità immobiliare, deve sostenere le spese straordinarie chi è proprietario nel momento in cui queste sono approvate dall’assemblea e non quando, in precedenza, sono diventate necessarie.

In particolare, in relazione alle spese relative agli interventi di straordinaria amministrazione, l’insorgenza dell’obbligo in capo ai singoli condomini deve considerarsi quale conseguenza diretta della correlata delibera assembleare (avente valore costitutivo e, quindi, direttamente impegnativa per i condomini rivestenti tale qualita all’atto della sua adozione) con la quale siano disposti i predetti interventi, evidenziandosi che la delibera giuridicamente rilevante a tal fine è solo quella con la quale tali interventi siano effettivamente approvati in via definitiva, con la previsione della commissione del relativo appalto e l’individuazione dell’inerente piano di riparto dei corrispondenti oneri, non sortendo alcuna incidenza al riguardo l’adozione di una precedente delibera assembleare meramente preparatoria od interlocutoria, che non sia propriamente impegnativa per il condominio e che non assuma, perciò, carattere vincolante e definitivo per l’approvazione dei predetti interventi. Pertanto, qualora sia intervenuta la vendita di un immobile facente parte del complesso immobiliare antecedentemente all’approvazione della seconda delibera pienamente efficace e – per l’appunto – definitiva, l’obbligo di corrispondere i relativi oneri condominiali incombera sull’acquirente, non producendo alcuna influenza al riguardo l’adozione di una delibera precedente, meramente programmatica e preparatoria di quella finale e definitiva, che risulti anteriore alla conclusione della predetta vendita.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile – Sentenza 2 maggio 2013, n. 10235

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente

Dott. MATERA Lina – Consigliere

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 9018/07) proposto da:

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso la Dott.ssa (OMISSIS), in (OMISSIS);

– ricorrente-

contro

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), nella qualita’ di eredi della genitrice (OMISSIS) ved. (OMISSIS), rappresentati e difesi, in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. (OMISSIS) nonche’ dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) in virtu’ di procura speciale autenticata dal notaio (OMISSIS) del 25 febbraio 2013 (rep. 29310), ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in (OMISSIS);

– controricorrenti –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2525/2006, depositata il 14 ottobre 2006 (e notificata il 15 gennaio 2007);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13 marzo 2013 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrata;

udito l’Avv. (OMISSIS) per controricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso, in via principale, per l’inammissibilita’ del ricorso e, in via subordinata, per il suo rigetto, con condanna aggravata alle spese del ricorrente ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 4.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del giugno 2000 il sig. (OMISSIS), quale procuratore della madre (OMISSIS), conveniva, dinanzi al Tribunale di Milano, il sig. (OMISSIS), esponendo di aver prima (nell’ottobre 1999) affidato per la vendita all’agenzia immobiliare del (OMISSIS) e, poi (con stipula del preliminare nel febbraio 2000 e del contratto definitivo nell’aprile successivo), venduto direttamente al mediatore un negozio con pertinenze sito nello stabile di v. (OMISSIS). Poiche’, in sede di stipula della compravendita, era insorta controversia tra le parti sulla titolarita’ dell’obbligazione nei confronti del Condominio per la quota di spese di manutenzione straordinaria della facciata e di altre parti dello stabile (i cui lavori si assumeva che erano stati gia’ previsti in una delibera condominiale del mese di dicembre 1999 ma ancora da eseguirsi), il suddetto (OMISSIS) chiedeva all’adito Tribunale di porre a carico dell’acquirente le predette spese condominiali, liberando a proprio favore la somma di lire 15.000.000 versata a mani del notaio rogante a titolo di garanzia. Nella costituzione del convenuto, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1656 del 2004, accoglieva integralmente la domanda proposta dall’attore, con la conseguente condanna del convenuto anche alla rifusione delle spese giudiziali.

Interposto appello da parte del (OMISSIS) e nella resistenza dell’appellato (nella spesa qualita’), la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 2525 del 2006 (depositata il 14 ottobre 2006), rigettava il gravame e, nel confermare la sentenza impugnata, condannava l’appellante al pagamento anche delle spese del giudizio di secondo grado. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale, escluso che la mancata menzione della delibera programmatica condominiale adottata nel dicembre 1999 potesse costituire propriamente un vizio della vendita, rilevava l’esattezza della pronuncia impugnata in ordine alla natura ed ai limiti della suddetta delibera, che non aveva, invero, implicato propriamente l’approvazione di una delibera di esecuzione dei lavori di straordinaria manutenzione, sopravvenuta, invero, soltanto successivamente alla stipula della vendita (nel maggio 2000, con la conseguente esecuzione delle opere tra la fine del 2000 ed il 2001), ragion per cui l’obbligo del pagamento delle relative quote condominiali doveva incombere sull’acquirente.

Nei confronti della suddetta sentenza di secondo grado (notificata il 15 gennaio 2007) ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), basato su due complessi motivi, al quale hanno resistito con controricorso i sigg. (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita’ di eredi della genitrice (OMISSIS) (nelle more deceduta). I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli articoli 1490 e segg. c.c., nonche’ la nullita’ della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti ed atti di parte decisivi per il giudizio, inerenti all’eccezione di sussistenza di grave vizio della cosa offerta per la consegna al momento della stipula del rogito notarile di compravendita.

A corredo di tale complessa doglianza il ricorrente ha indicato – ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 14 ottobre 2006) – i seguenti quesiti di diritti ed esplicato i supposti vizi motivazionali:

a) dica la Corte se non sia vero che la sentenza impugnata abbia travisato il contenuto degli atti di parte ed il contenuto delle difese del convenuto, il quale ha incentrato le proprie difese sulla sussistenza del vizio della cosa venduta e se tale vizio non comporti violazione di congrua e compiuta motivazione;

b) dica la Corte se non sia vero che la sentenza impugnata abbia travisato il contenuto degli atti di parte ed il contenuto delle difese del convenuto, il quale ha sempre affermato e dimostrato documentalmente che l’attore fosse a conoscenza del vizio a lui ignoto e se tale vizio non comporti violazione di congrua e compiuta motivazione;

c) dica la Corte se non sia vero che la sentenza impugnata abbia travisato le difese del convenuto e le acquisizioni processuali, inerenti alla valorizzazione delle risultanze dei documenti che comprovano le situazioni di fatto appena ricordate e se tale vizio non comporti violazione di congrua e compiuta motivazione;

d) dica la Corte se non sia vero che la Corte abbia omesso di motivare le proprie affermazioni secondo le quali “lo stato di degrado delle facciate (e di altre parti comuni) dello stabile nel quale si trova il negozio in questione non costituisce, infatti, un “vizio” del bene compravenduto, ma, se mai, un’evidente, visibilissima caratteristica o qualita’ negativa del bene, che ha indubbiamente influito sulla libera determinazione delle parti circa il prezzo di vendita” e se tale vizio non comporti violazione di congrua e compiuta motivazione;

e) dica la Corte se non sia vero che il giudice di secondo grado abbia omesso di motivare le proprie affermazioni secondo le quali il convenuto conosceva lo stato dell’immobile, in evidente connessione con la conoscenza delle carenze delle facciate;

f) dica la Corte se non sia vero che la Corte di appello abbia falsamente applicato e, quindi, abbia violato il precetto contenuto nell’ultima parte dell’articolo 1490 e nell’articolo 1495 c.c., per i quali la responsabilita’ del venditore per i vizi della cosa venduta non puo’ essere esclusa quando egli fosse a conoscenza dei vizi e non sia dimostrato che ne abbia data comunicazione all’acquirente.

1.1. Il motivo, cosi’ come complessivamente svolto (il cui ultimo quesito si rivolge effettivamente all’assunto vizio di violazione e falsa applicazione di legge), e’ infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

In sostanza, con la dedotta doglianza, il ricorrente ha inteso censurare il percorso logico delineato dalla Corte di appello meneghina prospettando che, con la sentenza impugnata, erano state travisate le sue difese, non considerandosi adeguatamente le sue contestazioni concernenti i vizi dell’appartamento venduto, ma incentrando la motivazione essenzialmente sulla questione dell’attribuzione delle spese condominiali di straordinaria manutenzione, ritenendo, essenzialmente, come pacifica la conoscenza dei vizi da parte dello stesso acquirente dell’immobile sulla scorta della regola di esperienza in virtu’ della quale i vizi dedotti in controversia – che interessavano le facciate dell’edificio condominiale – erano chiaramente visibili e, quindi, univocamente, apprezzabili. Inoltre, con la medesima censura, il (OMISSIS) ha denunciato la suddetta violazione di legge in ordine all’inesatta interpretazione compiuta dalla Corte territoriale con riferimento alle condizioni di applicabilita’ degli articoli 1490 e 1495 c.c., in materia di vizi della cosa venduta. Rileva, tuttavia, il collegio che la Corte distrettuale non e’ incorsa nel prospettato vizio motivazionale poiche’ la stessa, in modo adeguato e logico ha, per un verso, escluso che lo stato di degrado delle facciate del fabbricato condominiale (cosi’ come di altre parti comuni, in generale), nel quale era ubicato l’immobile oggetto della compravendita, potesse costituire propriamente un vizio del bene di tale contratto, risolvendosi, piuttosto, in una caratteristica o qualita’ dell’immobile che, pacificamente, non era di recente costruzione e, quindi, non si sarebbe potuto considerare nuovo, e, per altro verso, in base ad accertamento di fatto congruamente apprezzato (e, percio’, incensurabile nella presente sede di legittimita’: cfr. Cass. n. 15395 del 2000; Cass. n. 5251 del 2004 e Cass. n. 3644 del 2007), ha evidenziato come tale situazione (caratterizzante l’edificio condominiale e, come tale, implicante la necessita’ di interventi di manutenzione straordinaria) fosse evidente e palesemente visibile, onde non poteva qualificarsi ne’ come occulta ne’ come sconosciuta all’acquirente (che, peraltro, rivestiva la qualifica, particolarmente idonea allo scopo, di mediatore professionale di compravendite immobiliari), il quale aveva stimato il valore del negozio (oggetto della vendita, unitamente alle sue pertinenze e alla quota di parti comuni) nella “situazione di fatto in cui si trovava”, che, oltretutto, aveva indubbiamente influito sulla determinazione del prezzo da corrispondere per l’alienazione dell’immobile.

Alla stregua di tali argomentazioni la Corte lombarda ha motivatamente ritenuto che, trattandosi della vendita di un bene appartenente ad un edificio condominiale certamente non nuovo (ed anzi di costruzione molto risalente nel tempo), il concreto (ed accertato) stato di vetusta’ (“evidente e visibilissimo”) integrasse una caratteristica o qualita’ negativa del bene stesso (v. Cass. n. 5251 del 2004 e Cass. n. 23346 del 2009) che non era propriamente riconducibile al concetto di vizio come enucleato nell’articolo 1490 c.c. (la cui garanzia, in ogni caso, si sarebbe dovuta considerare esclusa, ai sensi dell’articolo 1491 c.c., stante la conoscenza di tale stato di degrado nella sua manifestazione esteriore o, comunque, la facile riconoscibilita’ di tale condizione, per come adeguatamente accertato in fatto dalla stessa Corte territoriale: cfr. Cass. n. 38 del 1979 e, da ultimo, Cass. n. 1258 del 2013), senza che, percio’, nella fattispecie, si fossero venuti a configurare i presupposti per l’applicabilita’ della disciplina prevista dall’articolo 1495 c.c..

2. Con il secondo complesso motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1118 c.c. e articolo 63 disp. att. c.c., nonche’ la nullita’ della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti ed atti di parte decisivi per il giudizio, inerenti all’eccezione di sussistenza di grave vizio della cosa offerta per la consegna al momento della stipula del rogito notarile di compravendita.

A corredo di tale doglianza il ricorrente ha riportato – ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. – i seguenti quesiti di diritti e prospettato i relativi supposti vizi motivazionali:

a) dica la Corte se non sia vero che la Corte di appello abbia omesso di considerare che vi e’ in atti la prova (verbale assemblea dicembre 1999) che dimostra la positiva decisione dell’assemblea di dare corso ai lavori di manutenzione “nella loro globalita’” e se tale vizio non comporti violazione di congrua e compiuta motivazione;

b) dica la Corte se non sia vera la contraddittorieta’ della motivazione della Corte di appello, che ha ricordato che era stato deciso di “effettuare i lavori nella globalita’” per poi sostenere che si sarebbe trattato di semplice “prima e non concludente deliberazione di un procedimento decisionale appena iniziato e tutto da definire” e se tale vizio non comporti violazione di congrua e compiuta motivazione;

c) se non sia contraddittoria e carente la motivazione della Corte di appello che ha evocato le successive delibere, senza considerare che la decisione di fare i lavori era stata gia’ presa e, soprattutto, che la necessita’ di provvedervi era gia’ stata conosciuta e acquisita e se tale vizio non comporti violazione di congrua e compiuta motivazione;

d) dica la Corte se non sia vero che, a norma dell’articolo 1118 c.c. e articolo 63 disp. att. c.c., nel caso di vendita di un’unita’ immobiliare sita in un edificio soggetto al regime del condominio, al contributo delle spese per la conservazione e’ tenuto il condomino che risulti proprietario al momento in cui si rende necessario eseguire i lavori per la conservazione, venendo cosi’ adottata la delibera di approvazione degli stessi.

2.1. Anche questa ulteriore complessa censura si profila destituita di fondamento e deve, percio’, essere respinta.

Con essa, in effetti, il ricorrente si duole dell’erroneo rigetto, da parte della Corte di secondo grado, delle argomentazioni dedotte con il gravame a mezzo delle quali esso (OMISSIS) aveva fatto presente che, comunque, ai sensi dell’articolo 1118 c.c. e articolo 63 disp. att. c.c., gli oneri condominiali per cui era controversia avrebbero dovuto essere corrisposti dall’alienante venditore, poiche’ si trattava di spese per la conservazione di cose comuni e perche’ l’obbligo di sostenere detti oneri era insorto nel momento in cui si era evidenziata la necessita’ di provvedere alla manutenzione straordinaria dell’edificio condominiale e, quindi, fin dall’approvazione della delibera dell’assemblea del condominio sull’argomento del dicembre 1999 (anteriore al momento della vendita).

Preliminarmente e’ opportuno osservare, in linea generale, che la determinazione del momento di maturazione dell’obbligo di contribuzione alle spese condominiali e’ importante sia con riferimento ai rapporti interni tra l’alienante e l’acquirente della singola unita’ immobiliare, sia avuto riguardo ai rapporti esterni con il condominio, tenendo conto, in special modo, della puntuale disciplina dettata dall’articolo 63 disp. att. c.c. (che, in quanto tale, prevale su quella generale in tema di comunione prevista dall’articolo 1104 c.c.: cfr. Cass. 18 agosto 2005, n. 16975). In proposito, si rileva come gli indirizzi giurisprudenziali piu’ incisivi (v. Cass. 22 febbraio 2000, n. 1956) abbiano avuto modo di chiarire che il principio dell’ambulatorieta’ passiva in ambito condominiale trova riscontro proprio nel citato articolo 63 disp. att. c.c., comma 2, in virtu’ del quale l’acquirente di un’unita’ immobiliare condominiale puo’ essere chiamato a rispondere dei debiti condominiali del suo dante causa, solidalmente con lui, ma non al suo posto, ed opera nel rapporto tra il condominio ed i soggetti che si succedono nella proprieta’ di una singola unita’ immobiliare, non anche nel rapporto tra questi ultimi. In questo secondo rapporto, salvo che non sia diversamente convenuto tra le parti, e’ invece operante il principio generale della personalita’ delle obbligazioni, con la conseguenza che l’acquirente dell’unita’ immobiliare risponde soltanto delle obbligazioni condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui, acquistandola, e’ divenuto condomino e se, in virtu’ del principio dell’ambulatorieta’ passiva di tali obbligazioni sia stato chiamato a rispondere delle obbligazioni condominiali sorte in epoca anteriore, ha diritto a rivalersi nei confronti del suo dante causa. In altri termini, il menzionato articolo 63 disp. att. c.c. (che individua un logico corollario della natura “propter rem” dell’obbligo di contribuire alle spese afferenti le cose e i servizi comuni) costituisce, per certi aspetti, un’applicazione specifica dell’articolo 1104 c.c., comma 3, relativo alla comunione in generale, con la previsione della limitazione in base alla quale l’obbligazione del cessionario, caratterizzata dal vincolo di solidarieta’ con quella del condomino cedente, investe soltanto i contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente (intendendosi il riferimento all’anno come relativo all’annualita’ condominiale).

Nella pratica giudiziaria, al di la’ degli aspetti generali affrontati e della specifica disciplina racchiusa nell’articolo 63 disp. att. c.c., si e’ posto il quesito di come ci si debba porre di fronte al problema riguardante il caso di vendita di un’unita’ immobiliare posta in un condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di manutenzione o di ristrutturazione (o altri interventi equiparabili). Ci si e’ chiesto, in altri termini, chi sia tenuto, tra alienante ed acquirente, a sopportare le relative spese, in mancanza di accordo fra le parti e quale sia il momento determinante da individuare per la concreta insorgenza del relativo obbligo.

Sulla questione, in effetti, si erano, in precedenza, formati essenzialmente due contrapposti orientamenti: – per l’uno (maggiormente risalente nel tempo), nel caso di alienazione di un appartamento ricompreso in condominio, obbligato al pagamento dei contributi condominiali deve ritenersi il proprietario nel momento in cui la spesa viene deliberata (cfr. Cass. 5 novembre 1992, n. 11981; Cass. 26 ottobre 1996, n. 9366, e Cass. 2 febbraio 1997, n. 4393); – per l’altro (ribadito anche in tempi piu’ recenti), l’obbligazione di ciascun condomino di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni nasce nel momento in cui e’ necessario eseguire le relative opere, mentre la delibera dell’assemblea di approvazione della spesa, che ha la funzione di autorizzarla, rende liquido il debito di cui in sede di ripartizione viene determinata la quota a carico di ciascun condomino, sicche’, in caso di compravendita di un’unita’ immobiliare sita in edificio soggetto al regime del condominio, e’ tenuto alla spesa colui che e’ condomino al momento in cui si rende necessario effettuare la spesa (cfr. la cit. Cass. 17 maggio 1997, n. 4393; Cass. 18 aprile 2003, n. 6323, e Cass. 1 luglio 2004, n. 12013).

Con la piu’ recente sentenza n. 24654 del 2010 di questa Sezione, e’ stata prospettata una soluzione della problematica piu’ articolata e fondata su principi logici di ordine sistematico, che appare a questo collegio convincente.

Infatti, in quest’ultima sentenza, pur partendosi dalla natura “propter rem” delle obbligazioni condominiali, si e’ affermato che la risoluzione alla “quaestio iuris” proposta risulta dipendente dalla diversa origine della spesa al quale il singolo condomino e’ tenuto a contribuire, dovendosi distinguere tra spese necessarie relative alla manutenzione ordinaria e spese attinenti ad interventi comportanti innovazioni o, comunque, di straordinaria amministrazione.

Con riferimento alla prima ipotesi si e’ rilevato che l’insorgenza dell’obbligazione deve essere individuata con il compimento effettivo dell’attivita’ gestionale relativa alla manutenzione, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi, sul presupposto che l’erogazione delle inerenti spese non richiede la preventiva approvazione dell’assemblea condominiale (ma soltanto l’approvazione in sede di consuntivo), trattandosi di esborsi dovuti a scadenze fisse e rientranti nei poteri attribuiti all’amministratore in quanto tale (ai sensi dell’articolo 1130 c.c., comma, n. 3), e non come esecutore delle delibere assembleari riguardanti l’approvazione del bilancio preventivo, che hanno valore meramente dichiarativo e non costitutivo (v., in questo senso, gia’ Cass. 21 maggio 1964, n. 1251, nonche’ Cass. 26 gennaio 2000, n. 857, e Cass. 22 febbraio 2000, n. 1956).

Con riguardo alla seconda ipotesi si e’ sostenuto che l’obbligo in capo ai singoli condomini non puo’ essere ricollegato all’esercizio della funzione gestionale demandata all’amministratore in relazione alla somme indicate nel bilancio preventivo ma deve considerarsi quale conseguenza diretta della correlata delibera assembleare (avente valore costitutivo e, quindi, direttamente impegnativa per i condomini che l’adottano) con la quale siano disposti gli interventi di straordinaria amministrazione ovvero implicanti l’apporto di innovazioni condominiali. Per giungere a tale conclusione la sentenza n. 24654 del 2010 ha valorizzato il coordinamento sistematico di una serie di indici normativi imprescindibili, quali: – l’articolo 1104 c.c., in base al quale, in materia di comunione in generale, gli obblighi dei partecipanti ad essa per le spese necessarie alla conservazione e al godimento del bene comune devono essere fondati sulle spese “deliberate” dalla maggioranza secondo le specifiche disposizioni; – l’articolo 1121 c.c., comma 2, ad avviso del quale, in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, qualora l’utilizzazione separata non sia possibile, l’innovazione puo’ ritenersi consentita a condizione che la maggioranza dei condomini che l’ha “deliberata” o accettata intenda sopportarne integralmente le spese; – l’articolo 1123 c.c., comma 1, in virtu’ del quale anche la ripartizione delle spese necessarie per le innovazioni (che i condomini devono sostenere in misura proporzionale al valore della proprieta’ di ciascuno) deve avvenire in base alla deliberazione della maggioranza. Alla stregua di queste argomentazioni la sentenza in questione e’ approdata all’affermazione del seguente principio di diritto: “in caso di vendita di una unita’ immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, qualora venditore e compratore non si siano diversamente accordati in ordine alla ripartizione delle relative spese, e’ tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione; di conseguenza, ove le spese in questione siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha diritto di rivalersi, nei confronti del medesimo, di quanto pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarieta’ passiva di cui all’articolo 63 disp. att. c.c.”.

Orbene, alla luce di tale impostazione, deve evidenziarsi che, nel caso specifico, la Corte territoriale, con motivazione logica e sufficientemente congrua (oltre che rispondente al principio giuridico appena richiamato) in relazione agli accertamenti di fatto compiuti, ha ritenuto, con riferimento alla natura ed ai limiti propriamente riferibili alla delibera assembleare del dicembre 1999, che quest’ultima ebbe, in sostanza, a rappresentare una sola manifestazione di massima della volonta’ assembleare di voler eseguire i lavori di manutenzione straordinaria del rifacimento delle facciate dell’edificio condominiale (non essendo ancora stati richiesti i preventivi e non essendo stata acquisita una stima, nemmeno meramente indicativa, dell’entita’ dei lavori stessi e dell’importo effettivo occorrente per la loro realizzazione). E fu soltanto con la successiva delibera assembleare del 12 maggio 2000 (successiva al momento della stipula del contratto di vendita tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), nella dichiara qualita’) – celebrata proprio con riguardo all’oggetto specifico (inserito come l’unico all’ordine del giorno, oltre alle varie ed eventuali) del “ripristino facciata interna, tetto e frontespizi verso stabili confinanti – confronto preventivi ed appalto lavori” – che la volonta’ dell’assemblea condominiale si formo’ in modo effettivo, definitivo e compiuto al fine di commissionare i lavori e di approvare il relativo piano di distribuzione dei relativi oneri condominiali nell’ambito della collettivita’ condominiale. Da cio’ consegue – come ha ritenuto esattamente la Corte milanese – che fu, con riferimento all’approvazione di quest’ultima delibera, che ebbe a concretizzarsi l’obbligazione “propter rem” prevista dalla legge della cui titolarita’ si era dibattuto nella controversia in questione e, quindi, l’insorgenza dell’obbligo in capo a ciascun condomino (rivestente, per l’appunto, tale qualita’ in quel momento) di contribuire proporzionalmente alla spesa cosi’ deliberata.

In altri termini, deve affermarsi che, con la delibera del dicembre 1999, l’assemblea condominiale adotto’ una decisione di massima (meramente preparatoria od interlocutoria) circa la necessita’ di esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria (in attesa di valutare i preventivi sulle spese che si sarebbero dovute sostenere), ma solo con quella del maggio 2000 (allorquando la vendita cui ineriva la controversia era stata gia’ conclusa e perfezionata) l’assemblea si determino’ a commissionare i lavori, individuando l’entita’ e la natura degli stessi e le spese conseguenti e, quindi, provvedendo ad adottare una delibera pienamente vincolante per il condominio e produttiva di effetti giuridici per i singoli condomini da individuare come tali al momento della sua approvazione, a cui era, poi, seguita l’esecuzione effettiva dei lavori.

In tal senso, quindi, la sentenza risulta sufficientemente e logicamente motivata oltre che rispondente ai principi giuridici in materia e, in particolare, a quelli affermati con la richiamata sentenza n. 24654 del 2010 di questa stessa Sezione, precisandosi, peraltro, che, in relazione alle spese relative agli interventi di straordinaria manutenzione, l’insorgenza dell’obbligo in capo ai singoli condomini deve considerarsi quale conseguenza diretta della correlata delibera assembleare (avente valore costitutivo e, quindi, direttamente impegnativa per i condomini rivestenti tale qualita’ all’atto della sua adozione) con la quale siano disposti i predetti interventi, evidenziandosi che la delibera giuridicamente rilevante a tal fine e’ solo quella con la quale tali interventi siano effettivamente approvati in via definitiva, con la previsione della commissione del relativo appalto e l’individuazione dell’inerente piano di riparto dei corrispondenti oneri, non sortendo alcuna incidenza al riguardo l’adozione di una precedente delibera assembleare meramente preparatoria od interlocutoria, che non sia propriamente impegnativa per il condominio e che non assuma, percio’, carattere vincolante e definitivo per l’approvazione dei predetti interventi. Pertanto, qualora sia intervenuta la vendita di un immobile facente parte del complesso condominiale antecedentemente all’approvazione della seconda delibera pienamente efficace e – per l’appunto – definitiva, l’obbligo di corrispondere i relativi oneri condominiali incombera’ sull’acquirente, non producendo alcuna influenza al riguardo l’adozione di una delibera precedente, meramente programmatica e preparatoria di quella finale e definitiva, che risulti anteriore alla conclusione della predetta vendita.

3. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimita’ dal Decreto Ministeriale Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtu’ dell’articolo 41 dello stesso Decreto Ministeriale: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012). Deve, peraltro, essere respinta anche la richiesta formulata dal P.G., nelle sue conclusioni, in ordine alla condanna del ricorrente – ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 4, (“ratione temporis” applicabile) – al pagamento di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, non sussistendo i presupposti di legge e, in particolare, non emergendo che il (OMISSIS) abbia proposto il ricorso agendo con colpa grave, in virtu’ della peculiarita’ della vicenda in fatto e della non univocita’ degli stessi orientamenti giurisprudenziali sulla questione giuridica controversa principale riportata nel secondo motivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 1.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge. Rigetta l’istanza ex articolo 385 c.p.c., comma 4, formulata dal P.G..

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