Deve essere dimostrato in giudizio che  le immissioni di calore e di fumo possono essere ritenute  intollerabili e l’onere di tale prova grava sull’attore.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 luglio – 3 ottobre 2013, n. 22635
Presidente Goldoni – Relatore Nuzzo

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 2.2.1989 M.M. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Tempio Pausania, A..L. esponendo: di essere proprietaria dell’appartamento al primo piano del fabbricato in (omissis) , sovrastante l’immobile adibito ad esercizio commerciale di ristorazione, di proprietà del convenuto; questi, a seguito di lavori di ristrutturazione, aveva danneggiato detto appartamento cagionando lesioni alle pareti ed, a causa del forte calore proveniente dal forno per la cottura delle pizze, il dissesto della pavimentazione, oltre ad immissioni intollerabili di odori, fumo e calore.
Aggiungeva che il convenuto aveva realizzato all’interno del suo cortile, confinante, per un lato, con un locale di proprietà di essa attrice, adibito a discoteca, due alloggiamenti appoggiati, abusivamente al muro perimetrale di tale locale, collocando, in uno, un’autoclave con le relative condutture idriche, in violazione della distanza legale, e, nell’altro, una centralina di gas liquido con tubazioni, costituente un pericolo per persone e cose.
Tanto esposto, l’attrice chiedeva la condanna del convenuto ad eseguire i lavori necessari per riparare i danni suddetti ed eliminare le immissioni, nonché a demolire i due alloggiamenti in muratura con gli impianti ivi sistemati. Il L. si costituiva in giudizio contestando la fondatezza delle domande ed, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna della M. alla eliminazione delle infiltrazioni di acqua provenienti dal suo appartamento oltre al risarcimento dei danni. Con sentenza 11.7.2002 il Tribunale accoglieva la domanda principale e quella riconvenzionale, condannando il L. ad eseguire, a sue spese, le opere necessarie per riparare i danni causati alle strutture dell’edificio ed all’appartamento dell’attrice, secondo le indicazioni della C.T.U. nonché quelle occorrenti per eliminare le immissioni moleste e gli alloggiamenti con gli impianti ivi collocati; condannava la M. ad eliminare le infiltrazioni d’acqua nei servizi del ristorante del convenuto, oltre al risarcimento dei danni per Euro 232,40; compensava interamente fra le parti le spese di lite. Avverso tale sentenza il L. proponeva appello cui resisteva la M. . Espletata nuova C.T.U., con sentenza depositata il 1.4.2008, la Corte d’Appello di Cagliari accoglieva l’appello del L. per quanto di ragione ed, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata la condanna dell’appellante all’eliminazione dell’alloggiamento contenente l’impianto di autoclave, rigettava le altre domande della M. che condannava al pagamento delle spese processuali del grado.
La Corte territoriale, sulla base di quanto emerso dalla rinnovata C.T.U., escludeva che il calore del forno nell’immobile del convento avesse provocato il lamentato dissesto statico ed il deterioramento del pavimento del sovrastante appartamento, osservando, fra l’altro, che, al momento dell’ispezione, il nuovo C.T.U., aveva accertato il rifacimento del pavimento stesso, avvenuto nel maggio 2004, subito dopo il deposito dell’ordinanza di rinnovo della C.T.U.; quanto alle immissioni, rilevava il giudice di appello che il primo C.T.U. aveva dato atto dell’intollerabilità solo delle immissioni di calore “dal forno e dalla cucina sottostanti” e che, quindi, immotivatamente, il primo giudice aveva condannato il L. ad eseguire “tutte le opere necessarie per evitare le immissioni moleste a carico dell’appartamento dell’attrice”, senza distinguere fra immissioni tollerabili ed intollerabili, non tenendo conto dell’eccezione del convenuto in ordine alla eliminazione del forno in questione sin dal 1986; quanto alla centralina del gas in bombole riteneva applicabile non l’art. 889 co. 2 c.c. ma l’art. 890 c.c. con conseguente necessità della prova della concreta pericolosità di tale manufatto; affermava,poi, che l’alloggiamento ove era collocata la centralina stessa non violava la distanza legale, posto che si trovava (come accertato dal primo C.T.U.) a circa due metri di distanza dal muro della discoteca; solo l’altro alloggiamento ove era sistemata l’autoclave risultava, invece, costruito a ridosso del muro di proprietà dell’attrice sicché ne andava disposta la demolizione per violazione delle distanze legali anche delle relative tubazioni in quanto collocate ad una distanza, dal confine con la proprietà M. , inferiore a quella stabilita dall’art. 889 c.c..
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso M.M. formulando due motivi con i relativi quesiti, illustrati da memoria. Resiste con controricorso L.A. .
La ricorrente deduce:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia,laddove la Corte d’Appello, sulla base della seconda C.T.U., aveva affermato, in contrasto con la prima C.T.U., che il solaio dell’appartamento M. non era stato abbattuto e ricostruito in corso di causa né presentava alcun “imbarcamento”, ma solo un sollevamento di mm. 20 al centro della stanza, non in corrispondenza del forno; oltre a un lieve abbassamento di livello in prossimità dei lati del soffitto, dipendente da “difetti di imposta del solaio in fase di costruzione e dallo spessore dell’intonaco non distribuito uniformemente sul solaio”; la Corte di merito aveva erroneamente tratto argomento per la decisione dal fatto che i lavori di rifacimento del solaio e del pavimento erano stati eseguiti autonomamente dalla M. nel maggio 2004, prima dell’ispezione da parte del nuovo C.T.U., non considerando che lo stesso aveva omesso di prendere in esame gli atti del giudizio di esecuzione dell’obbligo di fare, disposto dalla sentenza di primo grado, compresi i verbali dell’Ufficiale Giudiziario e la perizia 14.4.1988 per Geom. G..B. ; i lavori in sede esecutiva erano stati eseguiti su incarico dell’ufficiale giudiziario e sotto la direzione dei lavori del geom. A..U. , nominato il 3.5.2004 ed erano stati liquidati dal giudice dell’esecuzione, su istanza della M. , con ingiunzione n. 120/2005, depositata in cancelleria in data 8.4.2005;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c. e degli artt. 115 – 110 c.p.c.; contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, la persistenza delle lamentate immissioni di calore, al momento della proposizione dell’atto introduttivo del giudizio, risultava dalla relazione di perizia 14.4.1988 del Geom. B.G. , dalla lettera racc. 26.7.88 dell’avv. Paolo Secchi al L. e dalla deposizione del teste S..M. il quale aveva riferito “che il pavimento scottava dopo l’inizio del giudizio”; costituiva,inoltre, nozione di fatto rientrante nella comune esperienza, la pericolosità della centralina di gas liquido, sottostante l’abitazione della M. , sia pure collocata a distanza di circa due metri e mezzo dal muro perimetrale del fabbricato, tenuto conto che essa rimaneva esposta al calore della cucina del ristorante ed alla temperatura esterna della stagione estiva, in assenza di isolamento termico; la distanza di circa due metri e mezzo dal confine costituiva,quindi, violazione della distanza di tre metri dal confine prevista dall’art. 873 c.c..
Il ricorso è infondato.
Con riferimento al primo motivo viene sottoposto all’esame di questa Corte il seguente quesito di diritto: “se il giudice ed il C.T.U., nominato nel giudizio di appello, dopo che sia stata esecuzione all’obbligo di fare i lavori statuiti nella sentenza appellata,… ai fini della valutazione delle prove debbano tener conto delle prove orali, delle relazione tecniche di parte delle lettere di parte,… degli atti di esecuzione dell’obblighi di fare…”. Trattasi, evidentemente, di quesito inconferente rispetto alle argomentazioni poste a fondamento della decisione e non rispondente, quindi, ai requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., risolvendosi, al pari di quanto dedotto con la relativa censura, nella prospettazione di una lettura dei fatti e delle prove diversa da quella del giudice di appello cui è riservato individuare tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti di causa, dando prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Nella specie la Corte di merito ha evidenziato i motivi dell’adesione alle conclusioni del secondo C.T.U. specificando, in particolare, che lo stesso non aveva accertato lo “imbarcamento del solaio” cui aveva accennato il primo C.T.U. La seconda censura è infondata.
La Corte territoriale ha correttamente rilevato che, a fronte dell’eccezione del L. sulla eliminazione del forno fin dal 1986, l’attrice non aveva provato la “persistenza delle lamentate immissioni di calore al momento della proposizione della domanda diretta a farle cessare né tale rilievo può essere contraddetto dalla C.T.U. espletata in primo grado in quanto disattesa dal primo giudice con argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, laddove è stato precisato che le immissioni di fumo e di odori non eccedevano la normale tollerabilità. La doglianza inerente alla violazione della distanza legale della centralina di gas,per una presunta pericolosità “in re ipsa” del manufatto stesso, è pure priva di fondamento, posto che, trattandosi di gas in bombole per uso domestico, è stato correttamente applicato il disposto dell’art. 890 c.c. e non dell’art. 889 co. 2 c.c. riguardante la diversa ipotesi di tubazioni destinate al flusso costante di sostanze liquide o gassose per le quali soltanto è configurabile un pericolo permanente per il fondo del vicino. La Corte territoriale ha ritenuto che, non ricorrendo la presunzione assoluta di danno, fosse necessario accertare in concreto le ragioni della potenziale pericolosità delle bombole e,con appezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità in quanto congruamente motivato, ha escluso la pericolosità di dette bombole, avuto riguardo alla loro ubicazione nel cortile esterno del ristorante, in un alloggiamento arieggiato e ad una distanza di circa due metri e mezzo dal confine. Tale valutazione è conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. n. 7152/95; n. 145/93; n. 3070/74) secondo cui è ravvisabile un pericolo continuo per il fondo del vicino in relazione alla naturale possibilità di infiltrazioni o ” fughe” gassose con riguardo a dette tubazioni.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo. Non ricorrendo, peraltro, i presupposti della lite temeraria, va esclusa l’applicazione dell’art. 96 c.p.c. come richiesta dal controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

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