L’art. 1138, comma 4, cod. civ. dichiara espressamente non derogabile da parte del regolamento condominiale la disposizione posta dall’art. 1129, la quale riserva alla sola assemblea la nomina dell’amministratore e stabilisce la durata del suo incarico in un anno. Ne deriva la nullità della clausola del regolamento condominiale che riserva ad un determinato soggetto, per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio, sottraendo il relativo potere di nomina e di revoca all’assemblea.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 marzo – 24 maggio 2013, n. 13011
Presidente Oddo – Relatore Bertuzzi
Svolgimento del processo
Con distinti atti di citazione del 1993 la s.r.l. Garden, premesso che, in forza di quanto previsto da un apposito regolamento contrattuale, gestiva il complesso immobiliare alberghiero denominato Residence (omissis) , composto da unità immobiliari in parte di sua proprietà ed in parte di terzi, con l’incarico di provvedere, con riguardo a questi ultimi, alla loro locazione a fine alberghiero, e che essa aveva altresì il compito di sostenere le spese e di redigere alla fine di ogni esercizio un rendiconto delle spese e dei ricavi, imputando le une e gli altri ai titolari delle singole porzioni immobiliari in relazione alle rispettive quote, convenne dinanzi al Tribunale di San Remo G.R. , la s.r.l. Itifin e la s.s. Paluro chiedendone la condanna al pagamento delle somme maturate a loro debito in relazione ad alcuni anni di gestione.
I convenuti si opposero alla domanda, sostenendo la nullità delle delibere di approvazione dei rendiconti in quanto approvate con il voto determinante della Garden, che doveva considerarsi invalido in quanto espresso in palese conflitto di interessi con gli altri proprietari, sommando detta società i compiti sia di gestione dell’attività alberghiera che di amministrazione del condominio, di cui, vantando la proprietà per 617 millesimi, decideva autoritariamente ogni spesa. Chiesero inoltre, in via riconvenzionale, che fosse dichiarata la nullità di alcune clausole del regolamento per contrasto a norme inderogabili di legge e l’illegittimità delle tabelle millesimali in base alle quali i rendiconti erano stati approvati, domande in relazione alle quali provvidero ad integrare il contraddittorio nei confronti degli altri condomini Gh.Au. , s.n.c. Fraba di Milanese Osvaldo, R.M. , s.r.l. Immobiliare Vial, s.r.l. Immobiliare Dealma, C.G. e N.P. , che rimasero contumaci.
Con distinto atto di citazione la società Garden agì in giudizio verso i medesimi convenuti chiedendo il pagamento di somme relative ad altri anni di gestione e lamentando inoltre che essi avessero adottato comportamenti che di fatto impedivano alla istante di destinare, come convenzionalmente convenuto, i loro appartamenti all’attività alberghiera.
Riunite le cause ed espletata l’istruttoria anche mediante una consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza non definitiva del 2002 il giudice di primo grado respinse le domande della società attrice e, in accoglimento delle domande dei convenuti, dichiarò la nullità delle delibere assembleari di approvazione dei rendiconti condominiali ed alberghieri, l’illegittimità delle tabelle millesimali, la nullità di alcune clausole del regolamento condominiale, tra cui quella che riservava alla società Garden la nomina dell’amministratore, revocò l’amministratore in carica e rimise la causa in istruttoria per la predisposizione di nuove tabelle millesimali e di nuovi rendiconti.
Con successiva sentenza del 2006 il Tribunale dispose, tra l’altro, la sostituzione delle tabelle esistenti dichiarate illegittime con quelle allegate alla relazione del consulente tecnico d’ufficio.
Le due pronunce furono tempestivamente impugnate dalla società Garden dinanzi alla Corte di appello di Genova che, riuniti i gravami, li decise accogliendoli, con sentenza n. 927 del 23 settembre 2009. In particolare, il giudice di secondo grado dichiarò valide e vincolanti sia le delibere assembleari di approvazione dei rendiconti condominiali e alberghieri, che le clausole del regolamento annullate dalla decisione di primo grado, che le tabelle millesimali impugnate dai convenuti, che condannò a pagare all’attrice le spese condominiali e quelle alberghiere ordinarie per i periodi di effettiva occupazione del loro immobile, nonché all’osservanza del regolamento contrattuale con particolare riguardo alla messa a disposizione dei loro appartamenti per la destinazione alberghiera.
A sostegno della propria decisione la Corte di merito affermò, con riguardo alle impugnative delle delibere, che nel caso di specie non ricorreva alcuna causa di nullità per conflitto di interesse a carico della società Garden, tenuto conto che il regolamento che affidava ad essa la gestione dell’attività alberghiera aveva natura contrattuale, risultando richiamato nei singoli atti di vendita delle unità immobiliari, con l’effetto che il ruolo assegnato alla predetta società era stato accettato previamente dai contraenti, che non vi avevano ravvisato alcuna situazione di conflitto di interessi, che comunque è situazione da valutarsi caso per caso e non in astratto; che risultava legittima la limitazione che vincolava alla destinazione alberghiera i singoli appartamenti introdotta dal predetto regolamento, che faceva comunque salvo il diritto di ciascun titolare al godimento diretto, regolandolo in forza di un contratto di somministrazione per l’utilizzazione dei servizi ordinari offerti dalla struttura alberghiera; che, invece, meritava di essere disattesa l’eccezione di cessazione della materia del contendere sollevata dalla appellante, per essere state le delibere impugnate sostituite con la nuova deliberazione del 29 aprile 1997; che, con riguardo alla richiesta di annullamento delle tabelle millesimali, essa andava respinta risultando esperibile nei loro confronti non l’azione prevista dall’art. 69 disp. att. cod. civ., ma l’ordinaria azione di annullamento del contratto per errore determinante un vizio del consenso; che il criterio da esse utilizzato ai fini delle ripartizione dei millesimi, fondato sul parametro della potenzialità locativa dell’appartamento in luogo che su quello della loro ubicazione altimetrica, appariva coerente con la destinazione alberghiera dell’immobile; che il criterio legale di ripartizione delle spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino stabilito dall’art. 1123 cod. civ. è liberamente derogabile tramite il regolamento contrattuale di condominio; che, con riguardo a quest’ultimo, era da considerarsi legittima la clausola che sovrapponeva il ruolo di amministratore del condominio con quello di amministratore della società di gestione, in considerazione dell’atipicità del rapporto esistente tra le parti, caratterizzato dal vincolo di destinazione alberghiera dell’intero immobile; che, infine, stante il contenuto specifico del regolamento contrattuale, andava dichiarato l’obbligo dei convenuti di porre a disposizione della società di gestione le unità immobiliari di loro proprietà al fine di consentire la loro utilizzazione alberghiera e di rimuovere ogni ostacolo all’utilizzo da parte della Garden dei loro immobili.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 19 ottobre 2010, ricorrono la Itifin e la società semplice Paluro, affidandosi a sette motivi.
Resiste con controricorso la società Garden, che propone anche ricorso incidentale condizionato, sulla base di un unico motivo, cui hanno replicato le ricorrenti con controricorso.
Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
Le parti costituite hanno depositato memoria.
Con ordinanza del 24 agosto 2012 questa Corte ordinava la rinnovazione della notifica dei ricorsi agli eredi di G.U.M. , adempimento eseguito nei confronti di S.A. e U.P. .
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso principale, nel denunciare violazione e falsa applicazione dell’art. 2373 cod. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamenta che la Corte di appello abbia disatteso l’impugnativa avanzata dalle ricorrenti avverso le delibere assembleari di approvazione dei rendiconti non ravvisando nella situazione dedotta in giudizio una posizione di conflitto di interessi a carico della società Garden, in forza del mero rilievo che il ruolo da essa rivestito troverebbe la sua legittimazione nel regolamento condominiale di natura contrattuale, accettato, come tale, da tutti i proprietari.
Sostiene in contrario il ricorso che il fatto che la Garden ricopra, in seno all’assemblea, il triplice ruolo di condomino di maggioranza, titolare di una quota di 617 millesimi, di gestore dell’attività alberghiera e di amministratore del condominio l’ha portata ad adottare decisioni che hanno penalizzato gli altri proprietari a suo vantaggio, imponendogli spese assolutamente inique. Il giudice di secondo grado non ha invero considerato che la compresenza del condominio e dell’impresa alberghiera avrebbe dovuto dar luogo ad amministrazioni autonome, in quanto quest’ultima, che ha finalità di lucro, finisce per limitare e condizionare i diritti dei condomini. È pertanto proprio lo scopo dell’attività alberghiera che è incompatibile con il fine del condominio, che è quello di consentire a tutti i proprietari il miglior godimento dei beni comuni. Ne deriva che nel caso di specie ha errato il giudice nel non ravvisare nel ruolo svolto dalla Garden di gestione dell’albergo una situazione di potenziale conflitto di interessi con gli altri condomini, considerato che essa imposta il proprio comportamento al fine di far conseguire un vantaggio all’impresa e non all’interesse collettivo dei condomini.
Il secondo motivo, che denunzia omessa, insufficiente motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., censura la decisione di appello per non avere debitamente valutato, ai fini della sussistenza del conflitto di interessi a carico della società Garden, una serie di elementi istruttori, quali: la delibera del 6 agosto 1984, che imponeva ai condomini di comunicare entro la fine dell’anno precedente l’eventuale utilizzazione diretta del loro immobile nell’anno successivo, che ha creato una nuova categoria di condomini utilizzatori in proprio non prevista dal regolamento, con tutti i conseguenti effetti in tema di gestione e di imputazione delle spese; il provvedimento della Giunta provinciale di Imperia del 29 dicembre 1994, che revocava la destinazione alberghiera per l’esistenza di utilizzatori in proprio; i rendiconti condominiali predisposti dalla controparte, da cui si evinceva l’imputazione arbitraria di spese di gestione alla società Itifin, che per tutto il 1992 non aveva occupato i propri immobili e quindi nemmeno goduto di servizi alberghieri; il rifiuto della Garden, con lettera del 22 dicembre 1990, di ricevere dalla Itifin la gestione dei suoi due appartamenti; la circostanza che la Garden prima affitta ai clienti le sue unità immobiliari e soltanto dopo quelle degli altri condomini; il fatto che la Garden non aveva mai comunicato i periodi in cui affittava agli utenti finale le proprie unità immobiliari né i periodi in cui affittava quelle dei condomini; le considerazioni critiche svolte dai consulenti tecnici d’ufficio con riguardo alla redazione dei rendiconti per la difficoltà di ricostruzione delle entrate e di altre voci. Si aggiunge che l’eventuale astensione della Garden non impedirebbe il formarsi di una maggioranza assembleare, possibile in seconda convocazione.
Si conclude che “Se la Corte di appello avesse esaminato i documenti richiamati, avrebbe ritenuto esistente il conflitto di interessi e quindi avrebbe inteso che la Garden non poteva esprimere un voto valido, in quanto deliberava su ricavi mai verificati da nessun organo di controllo e su spese per la maggior parte affrontate per i propri fini imprenditoriali e non per il bene collettivo dei condomini.
I reddito percepiti dalla Itifin rendono invendibili le unità di sua proprietà”. I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione obbiettiva, sono infondati.
Va premesso che la particolarità del caso di specie, dato dalla compresenza di un condominio e della destinazione dell’edificio e delle singole unità immobiliari a bene per l’esercizio dell’attività alberghiera, impone di tenere distinte e quindi di separare, anche ai fini della questione posta dai motivi, il rapporto che in forza delle clausole del regolamento si è costituito tra i proprietari delle unità immobiliari e la Garden per l’utilizzo da parte di quest’ultima di tali beni ai fini dell’attività imprenditoriale alberghiera, ed i loro diritti e doveri scaturenti dalla loro posizione di condomini dell’edifico di cui la medesima Garden è amministratrice, separazione che ovviamente va estesa anche ai concreti atti di gestione e di amministrazione e quindi ai successivi rendiconti.
Tanto precisato, la questione del conflitto di interessi, che appare sollevata dalle ricorrenti con riguardo alla gestione del condominio, appare correttamente risolta dalla Corte di appello alla luce del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, anche con riguardo alle delibere dell’assemblea del condominio, secondo cui tale situazione va accertata non in astratto, ma in concreto, richiedendo la verifica di una sicura divergenza tra l’interesse del singolo condomino e quello comune (Cass. n. 10754 del 2011; Cass. n. 3944 del 2002). Ne deriva che al fine di determinare l’invalidità del deliberato assembleare adottato con il voto determinante di colui che si assume persegua un interesse in conflitto con quello comune, non è sufficiente allegare che questi si trovi in una situazione astrattamente contrastante, ma è necessario dimostrare che egli abbia, in concreto, perseguito altro interesse, incompatibile con quello collettivo.
Nel caso di specie le parti convenute hanno dedotto che il conflitto di interessi deriverebbe dal fatto che la società Garden assommerebbe la posizione di condomino di maggioranza, amministratore del condominio e di gestione dell’impresa alberghiera. La situazione, come rappresentata, pecca tuttavia della specificità necessaria per poter ritenere sussistente, in concreto, un conflitto di interessi. Quanto alla qualità di condomino, essendo pacifico che questi possa svolgere l’attività di amministratore del condominio, sicché può escludersi agevolmente che tale dato dia luogo, di per sé, ad un conflitto di interessi. Con riguardo invece alla posizione di amministratore dell’impresa alberghiera, non potendo tale situazione rappresentare un sicuro conflitto con gli interessi degli altri condomini alla corretta amministrazione del condominio. Certamente questi ultimi sono diversi da quelli dell’impresa, ma si tratta di una diversità necessariamente connaturata alla compresenza dei due rapporti e che non necessariamente deve tradursi in divergenza o conflitto, potendo essi essere entrambi perseguiti e soddisfatti. Che ciò sia possibile, ed anzi rientri nell’ordine delle cose, è confermato del resto dalla volontaria destinazione dell’immobile condominiale all’esercizio dell’attività di impresa, destinazione che in alcun modo gli stessi convenuti hanno mai posto in discussione. Il ricorso tuttavia deduce che il conflitto di interessi sarebbe in concreto dimostrato anche da una serie di atti e comportamenti della società Garden, pregiudizievoli, a suo dire, delle ragioni e dei diritti del condominio, elementi che la Corte di appello avrebbe colpevolmente trascurato. La censura così formulata di vizio di motivazione non può però essere accolta. Il ricorso invero non precisa se le questioni che assume non esaminate dal giudice di secondo grado siano state ritualmente sollevate con l’atto di appello, né riproduce i documenti e gli atti istruttori da cui esse risulterebbero, come sarebbe stato suo onere in ragione del principio della specificità dei motivi, il quale, com’è noto, impone al ricorrente per cassazione che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di merito di risultanze istruttorie di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate, al fine di consentire alla Corte di valutare la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n.3004 del 2004). A ciò merita anche aggiungere che i dati suddetti, per come rappresentati, appaiono più il risultato di apprezzamenti e ricostruzioni soggettive delle parti, che elementi obiettivi e che essi non sembrano comunque rappresentare in modo decisivo che nelle deliberazioni concernenti la gestione del condominio la società Garden abbia perseguito un interesse divergente da quello comune.
Il terzo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1136, comma 2, cod. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, assume che la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere illegittime le deliberazioni impugnate in quanto approvate senza la maggioranza prescritta dal codice civile, che prevede che i rendiconti dei condomini siano approvati con delibere che rappresentino la maggioranza dei condomini intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. I rendiconti relativi all’anno 1990 ed a quelli successivi risultano infatti approvati in difetto di tale maggioranza.
Il mezzo va dichiarato inammissibile per novità, non risultando dalla sentenza impugnata né dall’esposizione dei fatti contenuta nel ricorso che la questione indicata nel motivo sia stata in precedenza sollevata nei giudizi di merito; in particolare, non risulta dagli atti né è stato comunque dedotto che le odierne ricorrenti abbiano impugnato le delibere entro il termine di legge previsto, a pena di decadenza, dall’art. 1137, comma 3, cod. civ., adempimento necessario tenuto conto che il vizio attinente alle maggioranze prescritte dalla legge si configura come causa di annullabilità e non di nullità delle delibere condominiale (Cass. S.U. n. 4806 del 2005).
Il quarto motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1129 e 1138 cod. civ. ed omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto, stante l’atipicità del rapporto intercorrente tra le parti, legittima la clausola del regolamento condominiale che, durante la permanenza della destinazione alberghiera dell’immobile, designava quale amministratore del condominio il soggetto titolare dell’azienda alberghiera. Tale conclusione, ad avviso dei ricorrenti, si pone in contrasto con il principio, affermato dalla giurisprudenza, della inderogabilità delle disposizioni di legge che pongono come obbligatoria la nomina dell’amministratore da parte dell’assemblea e stabiliscono in un anno il periodo massimo di durata del relativo incarico.
Il motivo è fondato.
L’art. 1138, comma 4, cod. civ. dichiara espressamente non derogabile da parte del regolamento condominiale la disposizione posta dall’art. 1129, la quale riserva alla sola assemblea la nomina dell’amministratore e stabilisce la durata del suo incarico in un anno. Ne deriva la nullità della clausola del regolamento condominiale che riserva ad un determinato soggetto, per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio, sottraendo il relativo potere di nomina e di revoca all’assemblea. Né appare condivisibile l’affermazione della Corte di merito che ha giustificato tale discostamento in ragione dell’atipicità del rapporto esistente tra le parti, tenuto conto che la possibilità di una diversa disciplina è espressamente esclusa dalla legge, nonché della necessità, già rilevata, di tenere distinta, nel caso concreto, la sfera dei rapporti attinenti al condominio dalla gestione dell’impresa alberghiera.
Il quinto motivo (erroneamente indicato come quarto), denunziando violazione dell’art. 69 disp. att. cod. civ., dell’art. 1123 cod. civ., delle norme e dei principi in materia negoziale (art. 1321 e seguenti, art. 1427 cod. civ.), dell’art. 2697 cod. civ., nonché omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la statuizione della decisione impugnata che ha ritenuto la legittimità delle tabelle millesimali, sulla base del rilievo che, avendo natura contrattuale, contro di esse non è esperibile l’azione prevista dall’art. 69 disp. att. cod. civ., ma l’azione di annullamento dei contratti per vizio del consenso e che i criteri da esse utilizzati appaiono in sintonia con la destinazione alberghiera dell’immobile.
Tale conclusione è criticata dai ricorrenti in quanto l’errore che giustifica la revisione delle tabelle millesimali va identificato, sulla base della giurisprudenza di legittimità, non con l’errore vizio del consenso, ma con la obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore ad esse attribuito dalle tabelle.
La Corte di merito non ha poi considerato alcuni elementi di fatto, in particolare che le tabelle millesimali per le spese alberghiere erano state inserite nel testo in tempi successivi, che vi erano discordanze tra i valori della tabella e quello indicato in contratto, che le tabelle non risultano predisposte sulla base della circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 12480 del 1966, che nella copia in calce al regolamento prodotto dalla Itifin il notaio aveva dichiarato che essa era composta di 11 fogli, mentre le pagine sono 37, e le risultanze critiche della consulenza tecnica d’ufficio, in forza delle quali il giudice di primo grado aveva disposto nuove tabelle.
Anche questo motivo è fondato.
La decisione impugnata ha invero giustificato la soluzione accolta sulla base del rilievo che, avendo le tabelle millesimali natura contrattuale, contro di esse è esperibile soltanto l’azione contrattuale di annullamento del contratto per errore, e non quella prevista dall’art. 69 disp. att. cod. civ..
Questa motivazione non è condivisibile, apparendo in contrasto con l’orientamento di questa Corte, che invece ammette i singoli condomini, anche nel caso in cui l’approvazione delle tabelle avvenga mediante la sua predisposizione da parte dell’unico originario proprietario e l’accettazione da parte dei successivi acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante accordo unanime di tutti i condomini, ad esperire l’azione di revisione prevista dall’art. 69 disp. att. cod. civ. laddove essi intendano, come normalmente avviene, non già modificare la portata dei loro obblighi di partecipazione, ma determinarne quantitativamente la misura; ciò in quanto l’errore che giustifica la revisione non coincide in tal caso con l’errore quale vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 e seguenti cod. civ., ma si fonda sull’assunto della obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito, situazione emendabile con il rimedio previsto dall’art. 69 citato (Cass. n. 7300 del 2010). Il riconoscimento della stessa natura contrattuale dell’atto che approva le tabelle millesimali allegate al regolamento condominiale è stata del resto oggetto di ripensamento da parte di questa Corte, la quale ha avuto modo di precisare che le tabelle, in ragione della loro funzione, che è quella di stabilire i parametri degli obblighi di contribuzione dei singoli condomini alle spese, determinati sulla base di una valutazione tecnica delle singole quote di proprietà, trova il suo momento genetico non in un atto di natura negoziale, ma in un atto deliberativo dell’assemblea dei condomini, sottoposto alla maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 2, cod. civ. (Cass. S.U. n. 18477 del 2010). Il sesto motivo di ricorso (erroneamente indicato come quinto), denunziando violazione dell’art. 33, lett. l e/o dell’art. 36 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, lamenta che la Corte distrettuale non abbia affrontato la questione della nullità delle clausole regolamentari impugnate con le disposizioni a tutela dei consumatori, tenuto conto che esse erano vessatorie ed erano state predisposte unilateralmente dalla società Garden e che il regolamento, sebbene richiamato negli atti di acquisto delle singole unità immobiliari, non era mai stato ad essi allegato né esibito agli acquirenti.
Il mezzo appare inammissibile perché pone un questione nuova, implicante anche accertamenti di fatto, non consentiti in sede di giudizio di legittimità, non risultando dal ricorso né dalla sentenza impugnata che le attuali ricorrenti abbiano mai eccepito nei giudizi di merito la vessatorietà di alcune clausole del regolamento condominiale né la loro nullità.
Il settimo motivo di ricorso (erroneamente indicato come sesto), denunziando omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ed omessa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., lamenta che la sentenza impugnata abbia affermato, senza alcuna motivazione, che i convenuti non avevano messo a disposizione i propri appartamenti al fine di consentire alla società Garden di destinarli ai clienti dell’albergo, condannandoli all’osservanza delle disposizioni regolamentari, in contrasto con gli elementi di prova da cui risultava il contrario e che dimostravano che era stata la controparte ad appropriarsi delle unità immobiliari della Itifin e della G.R. eseguendo modifiche ritenute utili all’attività alberghiera e addossandone i costi ai convenuti. Il motivo appare fondato nei limiti di seguito precisati.
La Corte di appello ha invero condannato le società convenute all’osservanza del regolamento contrattuale per quanto concerne la messa a disposizione dei loro immobili ai fini della utilizzazione alberghiera ed a rimuovere ogni ostacolo a tale utilizzazione ed ha dichiarato altresì illegittime le modifiche interne ed esterne a tali immobili da esse apportate, ma nella parte motiva della sentenza manca qualsiasi indicazione ed accertamento sia in ordine all’oggetto e consistenza delle inadempienze che sarebbero state poste in essere dalle società appellate, che alla loro sussistenza in concreto.
La censura di carenza di motivazione merita pertanto accoglimento.
L’unico motivo del ricorso incidentale avanzato dalla società Garden denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2377 cod. civ. e dell’art. 1137 cod. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamenta che la Corte di appello abbia disatteso la propria eccezione di cessazione della materia del contendere, nonostante che le deliberazioni impugnate fossero state sostituite dalla nuova delibera assembleare del 29 aprile 1997, che, non essendo stata impugnata, era divenuta definitiva.
Il motivo, che risulta proposto in via condizionata, va dichiarato assorbito, investendo un capo della decisione – attinente alla legittimità delle delibere assembleari di approvazione dei rendiconti – nei cui confronti sono state disattese le censure avanzate con il ricorso principale.
In conclusione, vanno accolti il quarto, il quinto ed il settimo motivo del ricorso principale proposto dalle società Itifin e Paluro, rigettati gli altri motivi e dichiarato assorbito il ricorso incidentale; la sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Genova, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
accoglie il quarto, il quinto ed il settimo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi e dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Genova, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.