Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile.
Il condominio è esente da responsabilità in considerazione del fatto che i fenomeni di condensa di cui è causa erano dovuti alla mancanza di isolamento termico della copertura, di idoneo isolamento termico delle pareti nonché alla mancanza di areazione dei locali che, nella loro pregressa destinazione non richiedevano gli stessi accorgimenti di un locale abitato; il che spiega perché non fosse presente né un isolamento termico né l’impermeabilizzazione sulla copertura e se pure la dimensione ridotta della gronda può aver determinato ma solo in concomitanza con eventi eccezionali qualche fenomeno di infiltrazione, la causa principale e determinante viene fatta risalir alla condensa cui sono dovuti il degrado delle condizioni igieniche dei locali e delle finiture interne dell’appartamento. Di qui l’obbligo del condomino a provvedere personalmente o comunque a subire le conseguenze delle infiltrazioni.
Corte di Appello di Firenze 28 febbraio 2013, n. 369
Con atto di citazione notificato il 28 settembre 2006 ….. conveniva davanti alla Corte di Appello
di Firenze il Condominio di via … n. … ,d’ora in poi più semplicemente Condominio,
proponendo appello avverso la sentenza 21 marzo 2006 n. 53/06, con la quale il Tribunale di
Pistoia – Sezione distaccata di Monsummano Terme aveva respinto la domanda di risarcimento
dei danni subiti dal suo quartiere in conseguenza di infiltrazioni e muffe per assenza di
responsabilità del Condominio avendo lo stesso …. alterato lo stato dei luoghi per avere adibito
a civile abitazione una soffitta, praticando altresì aperture nel tetto. Esponeva l’appellante che
la sentenza impugnata era ingiusta in quanto le infiltrazioni esistevano già prima dell’acquisto,
erano state poste all’ordine del giorno di varie assemblee, ne era stata deliberata l’eliminazione
ma i lavori non erano stati eseguiti; alla specie sarebbe applicabile il disposto di cui all’art.
2051 c.c. e non, come ritenuto dal primo giudice, l’art. 2043 c.c.; la C.T.U. aveva evidenziato
quale causa principale la cattiva realizzazione della gronda; non era stata adeguatamente
motivata la compensazione per 1/3 delle spese legali. Radicatosi il contraddittorio, il
Condominio contestava le censure mosse dalla parte appellante nei confronti della sentenza
impugnata, della quale chiedeva la conferma tranne per il capo della condanna alle spese,
spiegando appello incidentale relativamente alla compensazione parziale. Acquisito il fascicolo
di ufficio del procedimento di primo grado, la causa veniva trattenuta in decisione all’udienza
collegiale del 10 gennaio 2013, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe
trascritte e decisa nella camera di consiglio del 24/1/2013.
Motivi della decisione
Sull’applicabilità dell’art. 2051 c.c. in materia di danni verificatisi in regime condominiale non
sembra possa dubitarsi, dato il costante e ripetuto insegnamento della giurisprudenza di
legittimità e di merito, che è ricorrente l’affermazione secondo cui il condominio di un edificio,
quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie
affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051
c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini,
ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile (Cass. civ. sez. II 12 luglio
2011 n. 15291; Tribunale Potenza 2 aprile 2009 n. 276 in Guida al diritto 2009, 36, 70). Si
tratta di una forma di responsabilità che viene anche qualificata oggettiva, prevista per far
fronte alle molteplici fonti di pericolo ravvisabili in particolari situazioni di fatto, determina,
sulla base dell’esistenza del solo effettivo nesso causale, la responsabilità del danneggiante per
il danno cagionato (rectius, verificatosi) come conseguenza immediata e diretta della propria
condotta. L’unica possibilità per liberarsi dalla responsabilità è dimostrare l’assenza del
rapporto di causalità tra la condotta e l’evento ovvero provare positivamente il fatto estraneo
alla propria sfera di controllo avente impulso causale autonomo: si configura, invece, la
responsabilità qualora persista l’incertezza sull’individuazione della causa concreta.
Segnatamente, il semplice rapporto con la cosa in custodia ed il nesso causale tra la res ed il
nocumento arrecato si pone, in via genetica, a carico di chi si trova in una relazione di fatto
con la medesima cosa che gli consenta di prevedere e controllare i rischi ad essa inerenti.
Premesso ciò e ritenuta l’applicabilità della disposizione dianzi richiamata, si rileva che il caso
in esame verte in tema di infiltrazioni in appartamento di proprietà esclusiva e dei conseguenti
danni da cose in custodia e bisogna stabilire, sotto il profilo sostanziale, se e quali delle
situazioni giuridiche soggettive relative al condominio ed al condomino sussistano e, cioè,
rispettivamente il dovere del primo di effettuare le opere ed il correlativo diritto del secondo a
chiederne ed ottenere l’intervento del medesimo o, viceversa, il diritto del condominio ad
andare esente da responsabilità e l’obbligo del condomino a provvedere personalmente o
comunque a subire le conseguenze delle infiltrazioni: ciò, quindi, al fine di valutare se sia
configurabile l’obbligo, a carico del condominio, di eseguire le opere necessarie ed, altresì se
sussista il diritto del condomino ad ottenere il risarcimento dei danni subìti. Dedotto
dall’appellante il fatto posto a fondamento del proprio diritto e dati per accertati i fatti, in
quanto non è stato seriamente messo in dubbio che le infiltrazioni fossero sussistenti, il nesso
di causalità è stato demandato all’espletamento di una C.T.U. disposta in primo grado che, ad
avviso della Corte, ha portato a far ritenere provato il caso fortuito dovuto al comportamento
dello stesso danneggiato e a mandare esente il Condominio da qualsivoglia responsabilità, in
ciò confermandosi, con altra motivazione, la sentenza impugnata. È risultato dall’attività
istruttoria svolta (ed è pacifico in causa) che il C. acquistò la porzione di immobile ubicata nel
Condominio e destinata a soffitta e la trasformò in abitazione, procedendo all’apertura di due finestre e alla sistemazione interna, tra l’altro, applicando alle pareti carta da parati e, poi,
concedendola in locazione. Il consulente, quale ausiliario tecnico, nel campo della propria
particolare esperienza, del magistrato ha ricevuto l’incarico di accertare e valutare i fatti
peraltro già acquisiti e in tale ottica la consulenza può costituire fonte oggettiva di prova
dell’esistenza del fortuito. Diversamente da quel che sostiene in atto d’appello il C., il
consulente non ha categoricamente attribuito ad una cattiva realizzazione della gronda la
causa delle infiltrazioni (tale aspetto essendo marginale e, comunque, inserito in un ben
diverso contesto costruttivo dell’immobile, preesistente alla trasformazione della soffitta in
quartiere ad uso abitativo), ma ha affermato, anche in sede di chiarimenti, che “il modesto
aggetto della gronda del tetto può aver, solo ed esclusivamente nei casi di precipitazioni
meteoriche eccezionali, provocato qualche locale e temporanea infiltrazione, ma ciò non può
aver costituito la causa di quanto lamentato da controparte (muffe diffuse). Si ribadisce che la
responsabilità dei fenomeni di condensa è da imputare totalmente alla proprietà o comunque a
chi ha effettuato il cambio di destinazione d’uso senza apportare tutte le misure necessarie a
consentire l’abitabilità dei locali”. In casi siffatti, la giurisprudenza ha avuto modo di escludere
la responsabilità del condominio, come evidenziato dal Trib. Salerno sez. II 10 settembre 2010
n. 1997 in Redazione Giuffrè 2010 (“la domanda di risarcimento dei danni avanzata dal
proprietario dell’immobile per danneggiamento da infiltrazioni di acqua provenienti dalla
terrazza condominiale soprastante, non viene accolta dal giudice allorquando si accerti che
dette infiltrazioni sono dovute, non ad un difetto di manutenzione o vizio del sistema di
smaltimento delle acque, bensì ad abbondanti precipitazioni che hanno comportato il deflusso
delle acque dal terrazzo verso la zona sottostante entrando dalla finestra del danneggiato priva
di chiusura e protetta solo da inferriata”) e dal Trib Milano sez. X 15 aprile 2009 n. 5002 in
Giustizia a Milano 2009, 4, 28 (che fa risalire il caso fortuito al profilo causale dell’evento,
riconducibile ad un elemento esterno recante il carattere dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità,
tale da interrompere il nesso eziologico con la cosa in custodia). Ebbene, con riguardo a tale
profilo, come si è detto, il C.T.U. non sembra nutrire dubbi di sorta, affermando più volte che
la responsabilità delle muffe e delle tracce di umidità deve farsi risalire alla condotta
dell’appellante, che trasformando i locali in civile abitazione da soffitta che era, ha causato
“fenomeni di condensa dovuti alla mancanza di isolamento termico della copertura, di idoneo
isolamento termico delle pareti nonché alla mancanza di areazione dei locali” che, nella loro
pregressa destinazione non richiedevano “gli stessi accorgimenti di un locale abitato” il che
spiega “perché non sia presente né un isolamento termico né l’impermeabilizzazione sulla
copertura” e se pure la dimensione ridotta della gronda può aver determinato (ma solo in
concomitanza con eventi eccezionali) qualche fenomeno di infiltrazione, la causa principale e
determinante viene fatta risalir alla condensa cui sono dovuti il degrado delle condizioni
igieniche dei locali e delle finiture interne dell’appartamento. Conclude il C.T.U. nella relazione
datata 1°/12/2003 che per evitare i sopra indicati inconvenienti sarebbero stati necessari
accorgimenti “necessari al rispetto dei requisiti igienico – sanitari funzionali alla salubrità
dell’ambiente comprendendo in questa dizione anche la protezione del soffitto non solo con un
idoneo isolamento termico ma anche con un’impermeabilizzazione della copertura” e nella
relazione di chiarimenti 1° luglio 2004 ribadisce quanto in precedenza affermato. Con questo
non si vuol dire che al C. fosse inibito di trasformare i locali da soffitta a quartiere di civile
abitazione ma che ciò egli doveva fare con gli accorgimenti resi necessari dalla tecnica e
dall’arte costruttiva e le conseguenze del relativo mancato rispetto non possono che ridondare
in suo danno. Neppure può valere quale riconoscimento di responsabilità del Condominio aver
deliberato l’esecuzione di lavori di rifacimento del tetto, giacché un eventuale intervento in tal
senso non può sovrapporsi o eliminare la responsabilità dell’appellante nell’aver prodotto danni
prima di tutto alla sua proprietà se non a quella comune. Non resta, allora, che respingere
l’appello principale.
Deve, invece, essere accolto l’appello incidentale relativo alla parziale compensazione delle
spese del giudizio di primo grado. Come più volte sostenuto in giurisprudenza (si veda per
tutte Cass. civ. sez. II 17 maggio 2012 n. 7763, secondo cui “ai sensi dell’art. 92, comma 2,
c.p.c., pure nel testo applicabile ratione temporis prima della modifica introdotta dall’art. 2,
comma 1, lett. a, l. 28 dicembre 2005 n. 263, la scelta di compensare le spese processuali è
riservata al prudente, ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito, la cui
statuizione può essere censurata in sede di legittimità quando siano illogiche o contraddittorie
le ragioni poste alla base della motivazione e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il
processo decisionale”) anche il capo della sentenza che pronuncia sulle spese deve essere motivato mediante l’esplicita indicazione dei giusti motivi che hanno condotto a compensarle
tra le parti, in particolare quando, pur in presenza, come nella specie, di una totale
soccombenza, si sia proceduto a parziale compensazione. Di ciò è consapevole lo stesso
appellante, che proponendo l’appello affronta espressamente tale profilo, anche se non si
comprende bene quale sia la censura che egli intende rivolge avverso la decisione impugnata,
chiedendone la riforma nel merito. Nel caso di specie una compensazione anche solo parziale
si scontra, come detto, con la totale soccombenza del C., la cui domanda non è risultata in
primo grado (e non risulta in appello) fondata e la conseguenza non può che essere quella
della sua condanna al pagamento integrale delle spese del doppio grado di giudizio, ivi
comprese quelle di A.T.P. e di C.T.U., restando ferma la quantificazione delle spese come
determinata nella sentenza impugnata.
P.Q.M.
la Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando sull’appello proposto con di
citazione notificato il 28/9/2006 da …. nei confronti del Condominio di via … n. … e
sull’appello incidentale da quest’ultimo proposto avverso la sentenza 21/3/2006 n. 53/06, del
Tribunale di Pistoia – Sezione distaccata di Monsummano Terme, così provvede: 1) rigetta
l’appello proposto dal C.; 2) accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, condanna
l’appellante al pagamento in favore del Condominio delle spese del giudizio di primo grado,
come determinate nella sentenza impugnata, e delle spese di A.T.P. e di C.T.U.; 3) condanna
l’appellante a rimborsare al Condominio le spese processuali del presente grado del giudizio,
liquidate sulla base del compenso per gli avvocati in ambito civile come stabilito dagli artt. 1 –
11 D.M. 140/2012 in complessivi € 4.000,00 per compen-so tabellare ex art. 11 oltre C.AP. e
I.V.A. come per legge.