Nel caso di infissi posti a filo del muro primetrale e ad altazza di transito delle autovetture in corrispondenza di un passo carraio, la necessaria e temporanea invasione dello spazio comune da parte di detti infissi in fase di apertura o chiusura è vietata solo se idonea a determinare delle manovre difficoltose o non usuali qualora il transito coincida con detta apertura o chiusura.

Cassazione Civile, Sez. II Sent. 22.02.2013, n. 4625

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Mi.Im. citò C.V. innanzi al Tribunale di Frattamaggiore chiedendo che lo stesso fosse condannato a rimuovere il cancello che le precludeva il passaggio carrabile attraverso un cortile – o in subordine di consegnarle il relativo telecomando – nonchè ad eliminare le lamiere che foderavano altro cancello che adduceva alla pubblica via.

Il convenuto contestò che dagli atti di provenienza della Mi. potesse sorgere un diritto di passaggio quale quello preteso dalla medesima e sostenne che, se lo fosse stato, esso si sarebbe prescritto per non uso; negò che l’apposizione di lamiere sul secondo cancello potesse ledere un qualsiasi diritto dell’attrice; in via riconvenzionale – per quello che ancora conserva interesse nel giudizio di legittimità- chiese che la stessa fosse condannata a rimuovere gli infissi in alluminio che, posti a chiusura dei vani posti al piano terra, prospettanti sul cortile comune, in fase di apertura avrebbero ostacolato la piena fruibilità dello stesso.

2- Il Tribunale respinse le domande della Mi. e delle domande riconvenzionali accolse solo quella attinente alle chiusure, ordinando che fossero rimosse o che fossero sostituite da altre che non ingombrassero il cortile.

3 – La Corte di Appello di Napoli, decidendo sul gravame proposto da F. e M.S., rispettivamente marito e figlio della Mi. e suoi unici eredi, dopo il decesso della stessa avvenuto nel corso del giudizio di primo grado, riformò la indicata decisione e condannò il C.: ad eliminare il cancello principale o a consegnare ai M. il telecomando e la chiave dello stesso; ad eliminare le lamiere sull’altra chiusura; a pagare agli appellanti Euro 100,00 a titolo di indennità per il, temporalmente limitato, ostacolo al transito delle vetture degli appellanti attraverso il cortile comune; respinse invece la domanda del C. per la condanna della sostituzione degli infissi aggettanti sulla corte comune.

4 – A sostegno della decisione la Corte territoriale osservò: che dagli atti prodotti sarebbe rimasto provato che la defunta Mi. aveva diritto, in quanto comproprietaria, a transitare attraverso il cortile e che non era specificato, in detti titoli, che il passaggio fosse solo pedonale; che l’azione esercitata dalla originaria attrice, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, non sarebbe stata diretta solo all’accertamento dell’illegittima apposizione di una chiusura automatica al cancello, quanto piuttosto a far cessare una turbativa del proprio diritto a passare liberamente attraverso lo stesso, diritto ostacolato dalla mancata messa a disposizione dei dispositivi di apertura; che l’iniziativa di apporre lamiere al cancello secondario sarebbe stata arbitraria ed inutile, dal momento che con ciò, da un lato, non si sarebbe garantita la privacy e, dall’altro, si sarebbe ostacolato il controllo visivo del carico e scarico delle merci nel proprio locale commerciale; che il pregiudizio al transito di mezzi sarebbe stato in re ipsa, rendendo pertanto necessaria una liquidazione equitativa del danno.

5 – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il C., notificato il 26 luglio 2006, sulla base di tre motivi; essendo lo stesso deceduto il 17 giugno 2007, sono intervenuti i suoi eredi – la moglie D.P.A. e le figlie C. R. e N. – a sostenerne l’impugnativa; si è costituito M.S., unico erede superstite della Mi. e del padre F., deceduto nelle more del giudizio, proponendo controricorso.

6 – La causa, chiamata una prima volta all’udienza del 5 luglio 2012, è stata quindi rinviata per consentire la notifica del ricorso personalmente alle parti intervenute, non essendo all’epoca stata depositata dalle medesime idonea procura speciale – ma solo procura marginale al ricorso – e non essendo ratione temporis applicabile il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., conseguente alla modifica introdotta con L. n. 69 del 2009.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo, dell’originario ricorso e della comparsa di intervento, viene fatta valere la nullità del procedimento per difetto di integrità del contraddicono, assumendosi che la causa, sin dall’inizio, avrebbe dovuto esser proposta anche nei confronti della D.P., come visto, coniugo del defunto C. V., in regime di comunione dei beni, atteso che avendo la Mi. proposto un’azione negatoria servitutis, tutti i comproprietari avrebbero dovuto esser chiamati in giudizio; evidenziano sul punto le parti ricorrenti che per la suddetta ragione la D.P. aveva iniziato un’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., comma 1, nell’ambito del cui procedimento era stata sospesa l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata in sede di legittimità.

1.a – La censura non è fondata in quanto non è stata fornita dimostrazione del fatto che la D.P. fosse in regime di comunione di beni con il C.: gli atti dai quali il C., nell’originario ricorso, intendeva trarre tale prova, costituiti:

a – da un atto di citazione in diverso giudizio dei coniugi C. da parte di M.F. nella dichiarata qualità di comproprietari – fol 8 del ricorso -;

b – dall’enunciazione, nella consulenza tecnica di primo grado, che la “famiglia C.” avrebbe “detenuto” il 91,81% della proprietà dell’immobile, rispetto all’8,13% dell’allora attrice – fol 9 del ricorso -;

c – da un non meglio specificato “titolo di comproprietà” prodotto nel giudizio di appello – ibidem), non costituiscono mezzi idonei allo scopo: perchè tardivi quanto a produzione – quanto all’atto sub a – allegato per la prima volta al ricorso -, e, in genere, in quanto non direttamente concludenti per l’esistenza del regime di comunione legale tra i coniugi C..

2 – Con il secondo motivo è denunciata l’esistenza di un vizio nel ragionamento giudiziale -nella sua triplice espressione di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – in relazione alla prescrizione per non uso dell’accesso carrabile ed all’utilizzo del cortile come parcheggio; nella medesima prospettiva sindacatoria viene dedotta la mancata ammissione di un mezzo istruttorio diretto a dimostrare tale mancato utilizzo.

2.a – Il mezzo, così come proposto, difetta di specificità à sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, in quanto non chiarisce in qual punto la motivazione del giudice dell’impugnazione di merito sarebbe stata insufficiente a descrivere il percorso argomentativo seguito – da cui il vizio di insufficiente motivazione -; ove essa abbia del tutto omesso di chiarire il risultato interpretativo raggiunto – da cui l’omessa motivazione -; in qual punto del suo iter espositivo non sarebbe stata conseguente rispetto alle premesse logiche in precedenza poste – originando il vizio di contraddittorietà nella motivazione-.

2.b – In realtà con la censura in esame viene proposta una diversa interpretazione dei dati di causa; soprattutto viene indebitamente spostato l’onere probatorio dall’attrice al convenuto laddove si afferma che la Mi. avrebbe dovuto chiarire da quando avrebbe esercitato il transito con mezzi: in contrario va rilevato che l’utilizzo dell’apertura poi interclusa con cancello automatico, non costituiva un diritto autonomo bensì era l’esplicazione del diritto dominicale da parte del comproprietario, così che, essendo ad esso coessenziale, non abbisognava di specifica dimostrazione relativamente all’eventuale mancato esercizio; detto diritto, potendo venir meno solo a seguito di una condotta chiaramente preclusiva dell’esercizio di esso da parte dell’altro comproprietario, onerava l’eccipiente della dimostrazione dei propri assunti.

2.c – Da ciò deriva la irrilevanza dei mezzi di prova diretti a dimostrare il mancato utilizzo da parte della Mi. del passaggio carraio attraverso il portone principale.

3 – Con il terzo motivo – relativo al ritenuto ostacolo, in fase di apertura e chiusura, che gli infissi dei locali al piano terreni) avrebbero determinato per il pacifico utilizzo del cortile – si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. perchè controparte avrebbe, senza autorizzazione, depositato una consulenza di parte, allegate alla quale vi sarebbero state quattro foto rappresentanti i vecchi infissi, poi sostituiti da quelli oggetto di valutandone da parte dei giudici di merito – al fine di dimostrare che, sia gli uni che gli altri, avrebbero avuto il medesimo ingombro, che si assumeva essersi dispiegato verso l’esterno -: la Corte di Appello avrebbe ritenuto legittimo tale modus operandi in quanto le note contenenti la consulenza tecnica di parte dovevano ritenersi prodotte ben prima della udienza di precisazione delle conclusioni a corredo della consulenza di parte.

3.a – Con ulteriore articolazione del medesimo mezzo si denunzia la contraddittorietà della motivazione della Corte del merito laddove, da un lato non avrebbe consentito l’ingresso delle prove per testi – tese, come visto, a dimostrare la coincidenza dell’ingombro dei due tipi di infissi – e dall’altro avrebbe ritenuto non provato il disturbo alla libera fruizione del cortile comune che ne sarebbe derivato.

4 – La censura è infondata sotto entrambi gli aspetti.

4.a – La Corte di appello invero ha dato atto dell’obiettivo ingombro degli infissi – che si concretizzavano in doppi infissi, vale a dire posti con gli stipiti a filo della muratura esterna – se dispiegati all’esterno, così che diveniva irrilevante lo stabilire se tale situazione di fatto fosse o meno risalente nel tempo, atteso che l’apposizione degli stessi, come riconosciuto anche dal giudice dell’appello, concretizzava l’esplicazione del diritto dominicale, così che sarebbe stato inutile, come invece insistentemente hanno fatto le parti ricorrenti, pretendere che la Mi. dimostrasse di aver acquisito il diritto a posizionarli nella suddetta maniera e, di conseguenza, le dedotte prove – di cui neppure si dice ove sarebbero state riprodotte in sede di gravame – nulla avrebbero potuto aggiungere alla validità argomentativa della motivazione della Corte territoriale.

4.b – Il giudice dell’appello ha peraltro posto a base della sua decisione anche un’altra considerazione, e cioè che, ferma restando la necessaria e temporanea invasione dello spazio comune da parte di detti infissi in fase di apertura o chiusura – circostanza percepibile ictu oculi – sarebbe mancata però la prova che da tale ingombro, il transito di autovetture – per le caratteristiche del passaggio e dello spazio (residuo) – ne sarebbe stato oggettivamente ostacolato, con ciò significando che per ricevere la richiesta tutela non sarebbe stata sufficiente una qualunque – temporanea – sottrazione al transito per effetto dell’azionamento degli infissi ma solo quella – rimasta priva di riscontro – che fosse stata idonea a determinare delle manovre difficoltose o non usuali qualora il transito fosse per avventura coinciso con la ricordata apertura o chiusura.

5 – Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo a carico delle parti intervenute a sostegno del ricorso originariamente proposto da C.V..

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna D.P.A.; C. R. e C.N., intervenute quali eredi di C. V., a pagare in solido a M.S., le spese di lite che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA e GAP. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 9 gennaio 2013.

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