Solo quando i rimedi ripristinatori (riparazione o sostituzione) sono entrambi possibili e non eccessivamente gravosi, il compratore può scegliere liberamente l’uno o l’altro e, se del caso, agire per ottenere l’esecuzione del rimedio prescelto stragiudizialmente, mentre, se uno dei due rimedi comporti oggettivamente dei costi irragionevoli a carico del venditore, il consumatore deve obbligatoriamente, sia per disposizione della norma speciale che per il principio di buona fede, orientarsi verso l’altro rimedio, potendo – in ultima analisi – procedere immediatamente con l’esercizio dell’azione edilizia (riduzione del prezzo o risoluzione del contratto) solo se i rimedi tanto della sostituzione del bene quanto della riparazione siano oggettivamente impossibili o eccessivamente onerosi ovvero se il rimedio ripristinatorio richiesto, nel caso in cui entrambi fossero possibili e non eccessivamente onerosi, non sia stato eseguito nel congruo termine di legge ovvero ancora se la sostituzione o la riparazione, precedentemente effettuata, abbia causato notevoli inconvenienti al consumatore.

 

 

Tribunale Roma, Sezione 3 civile – Sentenza 3 agosto 2012, n. 15829

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
TERZA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Roma – Sezione Terza Civile, in persona del dott. Francesco Remo Scenata, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 38938 Ruolo Generale dell’anno 2009 e trattenuta in decisione all’udienza del 30 gennaio 2012, vertente
Tra
Ce.Ad., elettivamente domiciliata a Roma, via (…), presso lo studio dell’avv.to Gi.Fe. e dell’avv.to Vi.De., che la rappresentano e difendono in forza di procura speciale a margine dell’atto di citazione,
Attrice
E
Fi. S.p.A., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a Roma, in via (…), presso lo studio dell’avv.to Pa.Me., che la rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce alla copia notificata dell’atto di citazione,
E
Fi. S.p.A. (attualmente Fi. S.p.A.), in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata a Roma, in via (…), presso lo studio dell’avv.to Pa.Me., che la rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce alla copia notificata dell’atto di citazione,
Convenute
Oggetto: risoluzione di contratto di vendita e risarcimento danni.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, ritualmente notificato alle convenute Fi. S.p.A. (venditrice) ed alla Fi. S.p.A. (produttrice), l’attrice Ce.Ad. allegava che in data 12/12/08 aveva acquistato presso la convenuta Fi. S.p.A. una autovettura nuova modello (…) al prezzo di 17.500,00 euro; che l’autovettura, peraltro consegnata con ritardo rispetto ai tempi pattuiti, aveva presentato fin da subiti problemi al cambio automatico, tanto da dover essere ricoverata per ben tre volte in officina per le necessarie riparazioni; che, in mancanza di adeguate risposte da parte della venditrice nonostante le sollecitazioni, aveva comunicato la volontà di risolvere il contratto; che pertanto era suo interesse agire, tanto nei confronti della venditrice quanto nei confronti della produttrice nel caso di vizi di produzione, per la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo pagato ed il risarcimento del danno.
Si costituivano in giudizio, con distinte comparse di risposta, le due società convenute, che concludevano come in epigrafe riportato.
Previa sostituzione del precedente giudice a partire dall’udienza del 12/7/10, la causa era istruita documentalmente e con ammissione di ctu, su richiesta della convenuta Fi. S.p.A.
Alla successiva udienza del 30/1/12, fissata per la precisazione delle conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali (60 giorni) e di eventuali repliche (ulteriori 20 giorni): i termini ex artt. 190 e 281 quinquies c.p.c. sono scaduti il 19/4/12.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda attrice è infondata e va rigettata.
Iniziando dalla domanda di risoluzione, è processualmente emerso che l’autovettura (…) è stata acquistata dall’attrice presso la Fi. S.p.A.: si tratta di circostanza pacifica fra le parti e comunque risultante per tabulas; quindi pacificamente il compratore ha azione contrattuale solo ed esclusivamente nei confronti del proprio dante causa diretto, cioè del proprio venditore, e non può agire, a livello contrattuale, nei confronti degli altri anelli della catena di vendita (produttore e/o importatore): sul punto la giurisprudenza è consolidata (cfr. Cass. 11612/05: “Nelle cosiddette vendite “a catena “spettano all’acquirente due azioni: quella contrattuale, che sorge solo nei confronti del diretto venditore, in quanto l’autonomia di ciascun trasferimento non gli consente di rivolgersi contro i precedenti venditori (restando salva l’azione di rivalsa del rivenditore nei confronti del venditore intermedio); quella extracontrattuale, che e’ esperibile dal compratore contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa, anche quando tale danno si sia verificato dopo il passaggio della cosa nell’altrui sfera giuridica”; Cass. 26514/09).
Del resto ciò trova indiretta conferma nella previsione di cui all’art. 131 D.Lgs. 206/05 (TU Consumo) in materia di regresso del venditore finale nei confronti del produttore o di altro soggetto intermedio della filiera.
In conclusione va dichiarato il difetto di legittimazione passiva della convenuta Fi. S.p.A. (attualmente Fi. S.p.A.), rispetto alla domanda di risoluzione del contratto di vendita, in quanto quest’ultima non è stata dante causa immediata dell’attrice e quindi non può essere inadempiente in relazione ad un contratto di compravendita, di cui non era stata parte.
Non rileva che la convenuta si è costituita solo il 19/10/09 per l’udienza del 20/10/09, in quanto il difetto di legittimazione passiva, desumibile dalle stesse prospettazioni contenute nella domanda attorea in cui è palese l’estraneità della produttrice rispetto al contratto di vendita, è rilevabile anche d’ufficio.
Al riguardo si osserva che la verifica sull’esistenza della legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione dell’azione, si fonda sull’allegazione fatta nella domanda introduttiva, con la conseguenza che una questione di difetto di legittimazione attiva o passiva si pone quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto, pur prospettandone la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso.
Nel caso di specie fin dalla stessa prospettazione attorea emerge l’assoluta estraneità della convenuta Fi. S.p.A. al contratto di vendita, della cui risoluzione si tratta.
Di nessun rilievo, a confutazione delle superiori conclusioni, sarebbe l’eventuale richiamo alla disciplina di cui agli artt. 114 e ss del D.Lgs. 206/05 – il precedente D.P.R. 224/88 è stato abrogato dall’art. 146 del citato D.Lgs. 206/05 -; infatti detta disciplina si riferisce alla mancanza di sicurezza ed alle conseguenze di tale mancanza e non tout court alla mancanza di qualità o all’inidoneità all’uso cui è destinato il bene venduto, così da poter far rientrare il discorso sulla mancanza di conformità.
Dunque di alcun ausilio ai fini della decisione sarebbe l’astratta possibilità di ipotizzare una qualche responsabilità (di natura extracontrattuale) per danni da prodotto difettoso: nel caso di specie anche la responsabilità della Fi. S.p.A., accumunata in parte qua alla responsabilità della venditrice Fi. S.p.A., è stata ricollegata ad una vendita ed al preteso inadempimento contrattuale, ma nessun tipo di rapporto di natura contrattuale è possibile individuare nei riguardi della Fi. S.p.A. né tanto meno il Giudice, pena il vizio di extrapetizione, può ricondurre la domanda in una fattispecie differente (responsabilità aquiliana) da quella oggetto di causa (responsabilità contrattuale).
Il rapporto fra l’attrice e la Fi. S.p.A. sarà preso nuovamente in considerazione, parlando della distinta domanda risarcitoria da inadempimento contrattuale, proposta specificatamente anche nei confronti della predetta Fi. S.p.A.
Orbene, come dedotto da parte attrice, senza alcuna contestazione da parte della venditrice Fi. S.p.A., si ritiene applicabile la normativa di cui al D.Lgs. 206/05 (TU sulla Tutela del Consumatore), che, benché in generale richiamata in citazione dall’attrice, risulta di fatto sostituita con il concreto richiamo a norme del codice civile in materia di vendita in generale.
Al riguardo si osserva peraltro che l’art. 135, 1 comma, D.Lgs. 206/05 prevede, come già l’abrogato art. 1519 nonies c.c., che “le disposizioni del presente capo non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico”, mentre al secondo comma, non contemplato dall’abrogato art. 1519 nonies c.c., il citato articolo prevede che “per quanto non previsto dal presente titolo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita”.
Alla luce del dato normativo si deve ritenere che, ricorrendone ì presupposti – ossia contratto di compravendita fra venditore – professionista e consumatore, avente ad oggetto un bene di consumo -, deve essere sempre applicata la disciplina speciale contenuta negli artt. 129 e ss. TU Consumo, a meno che non siano previste ulteriori norme a tutela del consumatore, e che possono applicarsi le disposizioni del codice civile in materia di contratto di vendita in generale solo ad integrazione di eventuali lacune nella regolamentazione di specifiche ipotesi.
Va pertanto esclusa la possibilità per il consumatore di scegliere di volta in volta la disciplina da applicare, secondo le convenienze del caso concreto, dovendo sempre trovare applicazione la disciplina speciale in materia di contratti di vendita di beni di consumo, salva la possibile integrazione con le norme del codice civile in caso in cui manchi su un punto particolare una specifica regolamentazione.
Dunque non appare pertinente il richiamo in citazione e nelle rassegnate conclusioni agli artt. 1490 e 1497 c.c. in quanto il TU Consumo, peraltro richiamato nella stessa citazione, fa riferimento al distinto concetto di non conformità del bene al contratto e deve applicarsi detta normativa speciale.
A questo punto è necessario aprire una breve parentesi.
In base all’art. 129 TU Consumo è previsto che “il venditore ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita” (1 comma) ed accanto all’affermazione di detta specifica obbligazione, derivante direttamente dal contratto, è stata prevista una serie di presunzioni di conformità del bene al contratto, da intendere come regole minime di integrazione della volontà contrattuale, ferma rimanendo la possibilità per le parti di individuare altri specifici elementi.
Dando per richiamate le singole ipotesi da cui si presume la conformità del bene al contratto (art. 129, 2 comma, TU Consumo), si può affermare che il bene venduto presenta un difetto di conformità in tutti i casi in cui il bene stesso non presenti anche una sola delle caratteristiche, delle qualità o dei requisiti previsti dal contratto, a prescindere dalla gravita e dall’entità della violazione nonché da ogni profilo soggettivo quanto alla condotta del venditore, che in ipotesi potrebbe anche essere esente da colpa; quindi assume rilievo il solo fatto oggettivo dell’esistenza di una non conformità al contratto, cioè di una problematica che fin dal D.Lgs. 24/02, con cui sono stati introdotti gli artt. 1519 bis e ss. (ormai abrogati), non era più codificata e classificata a livello dogmatico in termini di vizio o di mancanza delle qualità promesse o essenziali, a differenza di quanto invece era – ed è – previsto nelle corrispondenti disposizioni del codice civile in tema di vendita in generale.
Il successivo art. 130 D.Lgs. 206/05, di contenuto identico all’abrogato art. 1519 quater c.c., che aveva introdotto tale nuovo tipo di obbligazione a carico del venditore relativamente alla conformità del bene al contratto, prevede che “il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene” (1 comma) e che “in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma dei commi terzo, quarto, quinto e sesto, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto conformemente ai commi settimo, ottavo e nono” (2 comma); quindi il legislatore nazionale, in conformità alla direttiva europea, aveva introdotto, confermandola poi nell’attuale TU, una gerarchia dei rimedi esperibili a tutela del consumatore quindi il legislatore nazionale, in conformità alla direttiva europea, aveva introdotto, confermandola poi nell’attuale TU, una gerarchia dei rimedi esperibili a tutela del consumatore nel caso di presenza di un “…. qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene”: il rimedio principale per il ripristino della conformità del bene al contratto è costituito dalla richiesta del consumatore al venditore di riparazione e sostituzione gratuita (c.d. rimedi primari), mentre la riduzione del prezzo e la risoluzione del contratto (ed rimedi secondari) assumono appunto una funzione secondaria, nel caso in cui i rimedi di tipo satisfattivo non siano possibili ovvero soddisfacenti.
Dunque, una volta che il consumatore abbia effettuato la denuncia di non conformità, sorgono precisi obblighi di fare o di dare a carico del venditore, per provvedere, senza oneri a carico del consumatore, alla riparazione o alla sostituzione del bene: sul punto il comma 9 del medesimo art. 130 TU Consumo (già 1519 quater c.c.) provvede a disciplinare i rapporti fra eventuale richiesta e rimedio offerto.
In particolare il compratore può chiedere, a sua scelta, al venditore la sostituzione o la riparazione del bene, sempre che il rimedio espressamente richiesto non sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto ali1 altro, con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, il consumatore dovrà necessariamente orientarsi verso l’altro rimedio ripristinatorio e, solo in caso di insussistenza dei presupposti anche per questo rimedio alternativo, potrà usufruire dei rimedi secondari della risoluzione del contratto o della riduzione del prezzo, il tutto nei limiti di cui all’8 comma del medesimo art. 130 TU Consumo (già comma 8 art. 1519 quater c.c.).
Dal contesto normativo appare infatti evidente la residualità del rimedio costituito dalle tipiche azioni edilizie (quanti minoris e redibitoria) rispetto al rimedio di tipo ripristinatorio, attuabile attraverso la riparazione o la sostituzione che il consumatore può chiedere, senza alcuna spesa, al venditore, il tutto come si desume dal combinato disposto del citato art. 130, commi 3 e 7, TU (già art. 1519 quater, 3 e 7 commi, c.c.).
In tale quadro normativo è stato affermato che l’eventuale immediata proposizione dell’azione di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto, pur sussistendo i presupposti per l’esperibilità dei rimedi ripristinatori, porterebbe al rigetto della domanda stessa; sul punto è stato infatti condivisibilmente sostenuto che il legislatore, prima comunitario e poi italiano, ha privilegiato le azioni ripristinatone ex art. 130, comma 3, TU (con il rimedio della riparazione o della sostituzione) rispetto a quelle propriamente edilizie ex art. 130, comma 7, TU (con il rimedio della riduzione del prezzo o della risoluzione).
E’ vero che il 3 comma dell’art. 130 TU rimette al consumatore la scelta di uno dei due rimedi ripristinatori, ma si tratta di una scelta non meramente discrezionale in quanto, relativamente ai rapporti fra i due rimedi ripristinatori c.d. primari, va ricordato – si tratta di questione rilevante anche nell’ottica dell’eventuale passaggio dai rimedi ripristinatori a quelli edilizi (cfr. art. 130 TU, 7 comma, lett. a, c.c.) – che “ai fini di cui al comma 3 è da considerare eccessivamente oneroso uno dei due rimedi se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro, tenendo conto: a) del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità; b) dell’entità del difetto di conformità; c) dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore” (art. 130 TU, 4 comma, c.c.).
In relazione all’ipotesi dell’eccessiva onerosità del rimedio richiesto e della conseguente imposizione al venditore di spese irragionevoli alla luce dei superiori parametri di riferimento, è di tutta evidenza che debba essere scartato quel rimedio ripristinatorio prescelto dal consumatore che di fatto, in base ai suddetti criteri, comporti per il venditore l’onere di dover sopportare costi irragionevoli e non giustificabili.
Del resto, anche in mancanza di una norma del genere (comma 3, come integrato dal comma 4), si potrebbe arrivare ad una siffatta soluzione anche in base al principio generale della buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) e degli obblighi, previsti anche a carico del creditore in base ai principi di solidarietà che pervadono l’ordinamento giuridico, di fare quanto possibile, nei limiti di un proprio apprezzabile sacrificio, per consentire l’adempimento da parte del debitore.
In conclusione, aderendo a condivisa dottrina, si può ribadire che la facoltà di scelta del consumatore non è mai assoluta, ma è temperata dall’individuazione ex lege di criteri oggettivi, cui si deve far riferimento per non far ricadere sul venditore una eccessiva ed ingiustificata gravosità nell’adempimento, e deve sempre essere valutata nell’ottica dei principi di buona fede nell’esecuzione del contratto; quindi anche le conseguenze, connesse alla richiesta del consumatore ex art. 130, 9 comma, TU, con l’ivi previsto obbligo di fare o dare in congruo termine a carico del venditore a partire dalla richiesta del consumatore, devono sempre essere viste e valutate nell’ottica dell’esecuzione in buona fede del contratto.
Pertanto, solo quando i rimedi ripristinatori sono entrambi possibili e non eccessivamente gravosi, il compratore può scegliere liberamente l’uno o l’altro e, se del caso, agire per ottenere l’esecuzione del rimedio prescelto stragiudizialmente, mentre, se uno dei due rimedi comporti oggettivamente dei costi irragionevoli a carico del venditore, il consumatore deve obbligatoriamente, sia per disposizione della norma speciale che per il su richiamato principio di buona fede, orientarsi verso l’altro rimedio, potendo – in ultima analisi – procedere immediatamente con l’esercizio dell’azione edilizia (riduzione del prezzo o risoluzione del contratto) solo se i rimedi tanto della sostituzione del bene quanto della riparazione siano oggettivamente impossibili o eccessivamente onerosi (art. 130, 7 comma, lett. a), TU Consumo, già art. 1519 quater, 7 comma, lett. a), c.c.) ovvero se il rimedio ripristinatorio richiesto, nel caso in cui entrambi fossero possibili e non eccessivamente onerosi, non sia stato eseguito nel congruo termine di legge (art. 130, 7 comma, lett. b), TU Consumo, già art. 1519 quater, 7 comma, lett. b), c.c.) ovvero se la sostituzione o la riparazione, precedentemente effettuata, abbia causato notevoli inconvenienti al consumatore (art. 130, 7 comma, lett. c), TU Consumo, già art. 1519 quater, 7 comma, lett. c), c.c.).
Al riguardo è bene precisare, in relazione all’ipotesi sub b) e c) del comma 7 del citato art. 130 TU Consumo e quindi in relazione alla possibilità di richiedere la risoluzione del contratto, che la legge prevede che la riparazione o la sostituzione deve avvenire non in un termine prefissato, ma in un termine definito “congruo” in relazione alla data della richiesta, e che in sede esecutiva non devono essere arrecati al consumatore inconvenienti definiti “notevoli”, il tutto tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene; se il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione entro detto termine e/o sono stati causati notevoli inconvenienti, il consumatore può alternativamente chiedere la riduzione del prezzo o la risoluzione a sua scelta.
La valutazione della possibilità ovvero dell’eccessiva gravosità per il venditore ovvero ancora dell’equivalenza o meno dei due rimedi primari in relazione ai parametri di legge deve essere rimessa all’Autorità giudiziaria, in caso di mancato accordo in sede stragiudiziale, e deve essere fatta su basi oggettive in relazione al caso concreto con un giudizio necessariamente ex post, salva l’ipotesi di una immediata manifesta sproporzione fra il denunciato vizio di non conformità del bene ed il rimedio richiesto, che faccia apparire ictu oculi l’eccessiva onerosità per il venditore del rimedio stesso: si pensi all’ipotesi limite di una scheggiatura del parabrezza o di una semplice ammaccatura del cofano, emerse al momento della consegna dell’autovettura, con richiesta di integrale sostituzione del bene.
Orbene, rammentato che il venditore è responsabile della mancata conformità del bene al contratto al momento della consegna – si tratta, come detto, di una specifica ed autonoma obbligazione nascente dal contratto – e che la non conformità rileva in sé come inadempimento contrattuale – l’entità del vizio assume rilievo solo nella graduazione dei rimedi -, osserva il Giudice che il fatto storico, ossia la presenza della problematica al cambio robotizzato dell’autovettura comprata dall’attrice, si può ritenere processualmente emerso, anche alla luce delle deduzioni di parte convenuta, oltre che delle risultanze documentali.
Al riguardo, è sufficiente notare che, a seguito della denuncia dei difetti al cambio robotizzato, la venditrice ha provveduto alla riparazione dell’autovettura, mettendo a disposizione dell’attrice un’autovettura sostitutiva.
A seguito dell’ultimo e risolutivo intervento, come del resto confermato dal Ctu, l’attrice, pur avendo riconsegnato (sia pur con ritardo rispetto alla comunicazione della riparazione) l’auto sostitutiva, non ha inteso più riprendere l’autovettura (…) che, come processualmente emerso, era ormai stata definitivamente riparata (cfr. ctu in atti: “… le risultanze dei suddetti accertamenti, effettuati dal sottoscritto, hanno consentito di dedurre, a seguito della predetta prova su strada effettuata con il veicolo di proprietà dell’attrice per circa km. 17,00 su un circuito misto ed utilizzando il cambio in tutte le sue funzioni (automatica e manuale), le sui risultanze non hanno evidenziato alcuna problematica di funzionamento in ordine a quanto lamentato dalla parte attrice relativamente al cambio robotizzato del proprio veicolo, con riscontro, anche da parte dell’examiner smart (tester per la verifica di eventuali anomalie) utilizzato sul veicolo medesimo dal Responsabile dei servizi di officina, l’avvenuta riparazione del veicolo medesimo (con desunta eliminazione del difetto lamentato dalla parte attrice del cambio robotizzato del proprio veicolo”), il suo regolare funzionamento e la sua conseguente idoneità all’uso a cui è stato destinato (autovettura per trasporto di persone – uso proprio) …”).
Si deve a questo punto verificare se la domanda di risoluzione, avanzata giudizialmente a seguito della pretesa mancata riparazione dell’autovettura in un tempo congruo, sia ammissibile in relazione alla gerarchia dei rimedi di cui sopra e, in caso affermativo, se sia fondata alla luce del rinvio operato al 5 comma del medesimo art. 130 TU (come precisato dall’art. 15, 1 comma, D.Lgs. 221/07, in luogo del 6 comma); al riguardo il predetto 5 comma prevede che “le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene”.
In punto di fatto si osserva che l’autovettura (…), acquistata nuova dall’attrice, è stata ricoverata in officina il 4/3/09 per problemi al cambio robotizzato (cfr. doc. 2 della venditrice), con messa a disposizione di auto di cortesia, in comodato d’uso (cfr. doc. 3 della venditrice); che la (…) è stata riconsegnata in data 6/3/09, con contestuale restituzione dell’auto di cortesia; che il successivo 9/3/09 l’autovettura (…) è stata ricoverata nuovamente in officina, sempre per problemi al cambio (cfr. doc. 3 bis della venditrice), con consegna di auto di cortesia, in comodato d’uso (cfr. doc. 4 della venditrice); che in data 25/3/09 il veicolo (…) è stato riparato e riconsegnato alla proprietaria, con contestuale restituzione dell’auto di cortesia; che in data 6/4/09 l’autovettura è stata ricondotta in officina sempre per una anomalia al cambio con accensione di spia di controllo, con consegna anche in questo causo di un’autovettura sostitutiva; che con lettera 5/4/09, inviata via fax (anche) alla venditrice in pari data (doc. 8 di parte attrice), l’acquirente, lamentando i medesimi problemi al cambio dell’autovettura, ha preannunciato la riconsegna in officina dell’auto per il giorno seguente e di aver dato mandato ai propri legali di iniziare un’azione di risarcimento danni e di risoluzione del contratto, con richiesta di messa a disposizione di auto sostitutiva; che con lettera 8/4/09, inviata via fax all’attrice, (cfr. doc. 7 della venditrice), la convenuta Fi. S.p.A. aveva riscontrato la ricezione della lettera dell’attrice, aveva comunicato che si stavano attivando per la risoluzione dei problemi e che avevano consegnato al figlio della attrice come auto di cortesia, anziché una (…) come in precedenza, una (…); che con successiva raccomandata a/r del 14/4/09, anticipata via fax e ricevuta il 22/4/09, i procuratori dell’acquirente hanno intimato alla venditrice Fi. S.p.A. di “… provvedere alla immediata sostituzione del veicolo acquistato con altro del medesimo tipo e caratteristiche ovvero, in alternativa, alla restituzione del prezzo integrale corrisposto per l’acquisto …” con l’avvertimento che, in caso di silenzio, si sarebbe proceduto all’instaurazione di un giudizio di risoluzione del contratto; che con lettera 20/4/09, inviata (anche alla venditrice) via fax, l’attrice aveva comunicato di conferire mandato ai propri legali per chiedere la risoluzione giudiziale del contratto di vendita; che, riparata l’autovettura fin dal 19/5/09 (cfr. doc. 5 venditrice), la convenuta Fi. S.p.A. aveva dovuto provvedere con raccomandata 4/6/09, pervenuta il successivo 10 giugno, a sollecitare l’attrice per il ritiro della vettura riparata e la restituzione dell’auto a suo tempo ricevuta in comodato d’uso; che in data 24/8/09 è stata restituita l’auto di cortesia (cfr. doc. 9 della venditrice) e che viceversa l’auto (…), oggetto di causa, non è stata più ritirata (arg. ex verbale delle operazioni del Ctu).
Tanto premesso e portando a sintesi le superiori osservazioni in diritto e risultanze in fatto, osserva il Giudice che con la su indicata lettera 5/4/09 (cfr. doc. 8 di parte attrice), l’acquirente, pur avendo comunicato “… di aver dato mandato allo studio legale che mi legge in copia di intraprendere senza ulteriori esitazioni … un’azione volta al risarcimento dei danni stessi sin qui subiti e subendi, nonché l’instaurazione … di un’azione tesa alla risoluzione del contratto stesso …”, ha contestualmente avanzato richiesta di messa a disposizione di un’autovettura sostitutiva, diversa dalla Fi. ricevuta in precedenza (cfr. citata lettera).
Dunque si può ragionevolmente ritenere che, nonostante la preannunciata iniziativa legale per la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni, l’attrice abbia sostanzialmente instato per la riparazione dell’autovettura; infatti, diversamente opinando, non si capirebbe la richiesta di un’auto sostitutiva, addirittura richiesta diversa da quella in precedenza ricevuta: se si riteneva risolto il contratto, è evidente che non si sarebbe richiesta un’auto sostitutiva, che viene invero domandata – ed assegnata – proprio nell’attesa della riparazione.
Che si fosse ancora, in base alla richiesta dell’acquirente e dei propri legali, nell’ambito dei rimedi primari e che questa fosse la volontà dell’acquirente, così ragionevolmente e condivisibilmente interpretata e compresa dalla venditrice, emerge anche dal contenuto della lettera di risposta della venditrice del 8/4/09 (cfr. citato doc. 7 della venditrice), in cui la convenuta Fi. S.p.A. aveva comunicato all’attrice che si stavano attivando per la risoluzione dei problemi e che avevano consegnato al di lei figlio come auto di cortesia, anziché una (…) come in precedenza, una (…).
Del resto, che parte attrice avesse intenzione di optare per i rimedi di tipo primario (riparazione o sostituzione), di cui si è detto, e che avesse ancora intenzione di mantenere in vita il contratto di vendita, emerge anche dalla su richiamata raccomandata 14/4/09 dei propri legali, ove infatti è stata richiesta – come detto – l’immediata sostituzione dell’autovettura ovvero, in alternativa, la restituzione del prezzo, con evidente ed implicita risoluzione del contratto.
Se questo è vero e se, come detto, è possibile invocare la risoluzione del contratto solo se i rimedi tanto della sostituzione del bene quanto della riparazione siano oggettivamente impossibili o eccessivamente onerosi (art. 130, 7 comma, lett. a), TU Consumo) ovvero se il rimedio ripristinatorio richiesto, nel caso in cui entrambi fossero possibili e non eccessivamente onerosi, non sia stato eseguito nel congruo termine di legge (art. 130, 7 comma, lett. b), TU Consumo) ovvero se la sostituzione o la riparazione, precedentemente effettuata, abbia causato notevoli inconvenienti al consumatore (art. 130, 7 comma, lett. c), TU Consumo), non va dimenticato che è processualmente emerso che la convenuta, ricevuta la denuncia con lettera del 5/4/09, si è attivata ed ha provveduto alla riparazione dell’automezzo in tempi ragionevolmente brevi, mettendo nel contempo a disposizione dell’attrice un’autovettura sostitutiva, delle medesime caratteristiche e modello di quella acquistata.
Dunque non ricorre alcuna delle ipotesi previste dalla legge per la risoluzione, né l’attrice, che ha addirittura continuato ad usare l’auto sostitutiva per altri due mesi dopo la comunicazione della riparazione della propria vettura, ha dato prova di aver subito notevoli inconvenienti dalla durata della riparazione, anzi la continuazione dell’uso dell’auto in comodato dimostra che l’aveva trovata di proprio gradimento e che alcun pregiudizio aveva subito in termini di mobilità.
Con riferimento a quest’ultimo profilo e ricordato che non è previsto dalla legge un termine massimo a priori valido per tutti i beni né un termine a discrezione del “consumatore”, va rilevato che, quanto alla congruità del termine per la riparazione, si è in presenza di una formula aperta, la cui portata deve essere individuata, in relazione al caso concreto, dal giudice, tenendo conto dei parametri normativi della natura del bene acquistato e dello scopo per ti quale il consumatore ha acquistato quel bene.
Appare pertanto intuitivo che il legislatore, prima quello comunitario e poi quello nazionale, abbia inteso contemperare le opposte esigenze e prevedere, accanto all’obbligo di una ragionevole solerte attivazione da parte del venditore, un dovere di sopportazione da parte del consumatore, nei limiti in cui il proprio sacrificio per la durata dell’intervento permanga nell’ambito di sopportabili disagi, il tutto nell’ottica di quei doveri di solidarietà che contraddistinguono i rapporti contrattuali.
Più in particolare è evidente che p. es. anche solo un paio di settimane per la riparazione o la sostituzione del bene con vizi di conformità possa essere non congruo, in quanto troppo lungo, nel caso di riparazione di un frigorifero, stanti le intuitive e pressanti esigenze sottese all’acquisto e connesse alla piena disponibilità e funzionalità di un tale elettrodomestico, mentre quello stesso termine potrebbe essere congruo, ossia non eccessivo, per la riparazione di una lavastoviglie o ancor di più per la riparazione di un aspirapolvere o di una caffettiera elettrica.
Trasferendo queste considerazione nell’ambito motoristico, è altrettanto evidente che un certo termine, anche di pochi giorni, possa apparire non congruo per la riparazione di una autovettura speciale, p. es. destinata alle esigenze di mobilità di un disabile, mentre lo stesso termine potrebbe in concreto non essere tale in relazione alle riparazioni di un mezzo acquistato per mero svago e per il piacere di guidare una certa moto o una certa autovettura.
Nel caso di specie la pacifica messa a disposizione di una autovettura sostitutiva dello stesso tipo e modello di quello sottoposto a riparazione – auto sostitutiva trovata di estremo gradimento, tanto da essere stata restituita solo a fine agosto 2009, nonostante la comunicazione di avvenuta riparazione fin dai primi di giugno – e la chiusura della pratica in una quarantina di giorni, con la definitiva riparazione dell’autovettura, confortano le superiori conclusioni sul rigetto della domanda di risoluzione.
Va poi ribadito, alla luce delle condivise risultanze della ctu svolta nel corso del giudizio, che l’autovettura è stata perfettamente riparata e che pertanto le doglianze di parte attrice circa il normale uso ed affidabilità dell’autovettura sembrano destituite di fondamento.
In conclusione non risulta correttamente richiesto in via giudiziale il rimedio edilizio della risoluzione contrattuale, in quanto non erano stati esauriti i rimedi ripristinatori, essendo in corso, come richiesto, la riparazione dell’automezzo.
Il rigetto della domanda di risoluzione, comporta evidentemente il rigetto della connessa domanda di restituzione del prezzo di acquisto.
Passando alla contestuale domanda di risarcimento danni, si evidenzia che la stessa, per come proposta, appare ugualmente connessa alla domanda di risoluzione, così che il rigetto di quest’ultima comporta automaticamente il rigetto della prima, come nel caso della domanda di restituzione del prezzo (cfr. Cass. 1664/05: “Nel caso di proposizione congiunta della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e di risarcimento dei danni il giudice è tenuto, in ogni caso, a pronunciare sulla prima domanda e, solo se la rigetta, può ritenersi esonerato dal pronunciare espressamente sull’altra, dovendosi la medesima considerare implicitamente rigettata”).
Si giunge a detta conclusione in quanto nel corpo della citazione (cfr. pag. 9) è stato espressamente richiamato l’art. 1493 c.c. con conseguente ricollegamento del risarcimento dei danni alla risoluzione del contratto (cfr. punto 3 della citazione: “… 3. diritto al maggior danno. A mente dell’art. 1493 c.c. il venditore, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento, è tenuto a risarcire altresì i danni derivanti dai vizi della cosa …”); quindi la domanda risarcitoria, svolta nei confronti della venditrice, va rigettata in conseguenza del rigetto della domanda di risoluzione, attesa la stretta connessione, per espressa volontà della parte attrice, fra domanda di risoluzione e domanda di risarcimento danni.
Manifestamente infondata è invece la domanda risarcitoria, connessa alla risoluzione del contratto, svolta nei confronti della convenuta Fi. S.p.A., che invero non è parte del contratto di vendita.
Per quanto riguarda il regime delle spese, valgono le seguenti osservazioni.
La totale infondatezza della domanda svolta nei confronti della convenuta Fi. S.p.A., assolutamente estranea al contratto di vendita, comporta la condanna dell’attrice ai pagamento delle spese di lite nei confronti della medesima.
Dato atto che, a seguito dell’art. 9, 1 comma, D.L. 1/12, convertito con modifiche con L. 24/3/12 n. 27, sono state abolite le tariffe professionali degli avvocati, rileva il Giudice che, in attesa del decreto del Ministero della Giustizia (art. 9, 2 comma, citato decreto, come modificato dalla richiamata legge), possono continuare ad essere utilizzate le previgenti tariffe professionali degli avvocati, così come previsto dal nuovo art. 9, 3 comma, della citata legge (modificato in sede di conversione).
Stante il suddetto regime transitorio è dovuto anche il rimborso forfettario (cfr. Cass. 4002/03; Cass. 10416/03; Cass. 23053/09; Cass. 4209/10; Cass. 9192/10; Cass. 5753/11).
Le risultanze di causa in punto di fatto e i tre ricoveri ammessi dalla venditrice impongono viceversa l’integrale compensazione delle spese di lite fra l’attrice e la convenuta Fi. S.p.A.
Per quanto invece riguarda te spese di ctu, già liquidate in corso di causa con decreto n. 22/11/10 e poste provvisoriamente a carico della convenuta Fi. S.p.A., le stesse vanno definitivamente poste a carico dell’attrice, comunque soccombente anche nei confronti della venditrice, non potendo le stesse gravare, neppure in parte, a carico della Fi. S.p.A., risultata vittoriosa.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando:
– rigetta le domande attrici proposte nei confronti di entrambe le convenute;
– compensa per intero le spese di lite fra l’attrice e la convenuta Fi. S.p.A. (venditrice);
– pone a carico dell’attrice Ce.Ad. ed in favore della convenuta Fi. S.p.A., attualmente Fi. S.p.A. (produttrice), le spese di lite che liquida in 1.350,00 Euro, di cui 500,00 Euro per diritti, 700,00 Euro per onorari e 150,00 per spese, oltre rimborso forfettario, Cp ed Iva come per legge;
– pone definitivamente a carico dell’attrice le spese di ctu, già liquidate in corso di causa con decreto n. 22/11/10 e poste provvisoriamente a carico della convenuta Fi. S.p.A.
Così deciso in Roma il 17 luglio 2012.
Depositata in Cancelleria il 3 agosto 2012.

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