Cass. civ. Sez. II, 10/02/2010, n. 3001

In tema di condominio di edifici, i valori delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell’edificio vanno individuati con riferimento al momento dell’adozione del regolamento e la tabella che li esprime é soggetta ad emenda solo in relazione ad errori, di fatto e di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari ovvero a circostanze sopravvenute relative alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori. Pertanto, in ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati nelle tabelle millesimali, non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, nè i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell’edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l’edificio. (Rigetta, App. Torino, 28/06/2004)

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Torino con sentenza 3 giugno 2002 rigetto’ la domanda proposta da A.M., condomino dell’edificio al (OMISSIS), nei confronti degli altri condomini del medesimo edificio per l’accertamento dell’erroneita’ delle tabelle millesimali di riparto delle spese condominiali e la condanna dei convenuti alla restituzione delle somme che in conseguenza dell’errore egli aveva indebitamente versato al condominio dal 1988.

La decisione, gravata dall’ A., venne confermata il 28 giugno 2004 dalla Corte di appello di Torino, la quale, premesso che l’errore rilevante ai fini dell’art. 69, disp. att. c.c. deve avere carattere oggettivo ed essere causa di un’apprezzabile divergenza tra il valore attribuito nelle tabelle alle unita’ immobiliari e quello effettivo, rigetto’ l’impugnazione, osservando che l’attore non aveva indicato, ne’ tanto meno dimostrato, con la dovuta specificita’ l’errore o gli errori oggettivamente verificabili dai quali erano affette le tabelle e l’erroneita’ di esse non poteva trarsi dalla loro divergenza da quelle formate nel giudizio dal c.t.u. in base a criteri e coefficienti di valutazione e di calcolo utilizzati nell’attualita’; aggiunse che “quand’anche l’errore rilevante potesse essere costituito dalla scelta o valorizzazione di parametri di valutazione, difformi da quelli comunemente utilizzati”, e non solo dalla loro inesatta o disomogenea applicazione alle singole unita’ immobiliari, la parte non aveva fornito la prova “di quali fossero stati i criteri di calcolo e di valutazione concretamente utilizzati per la formazione delle tabelle originarie” e la loro coincidenza con quelli utilizzati dal c.t.u. per giungere alla formazione di tabelle difformi.

L’ A. e’ ricorso con due motivi per la cassazione della sentenza ed i condomini C.B., + ALTRI OMESSI hanno resistito con controricorso.

Non hanno svolto attivita’ in giudizio i condomini R. P., + ALTRI OMESSI .

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso, denunciando in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 69 disp. att. c.c. e degli artt. 1123 e 2697, c.c. deduce che la nullita’ della sentenza impugnata in quanto, ritenendo che:

a) l’esattezza delle tabelle millesimali andava verificata con riferimento agli elementi oggettivi ed ai criteri di calcolo e di valutazione scelti per la stima delle unita’ immobiliari, e non gia’ ai criteri correnti nel momento della verifica, ha eluso la funzione delle tabelle di esprimere un valore proporzionale della proprieta’ di ciascun condomino rapportato a quello di mercato;

b) l’attore, anziche’ i convenuti, era gravato della dimostrazione che la divergenza delle tabelle redatte dal c.t.u. non era dovuta ad una diversita’ dei criteri soggettivi utilizzati, ha fatto applicazione inversa del principio dell’onere della prova.

Il secondo motivo, lamentando in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, l’insufficiente e contraddittoria motivazione, si duole che la sentenza abbia ritenuto inesistenti e non dimostrati fatti pacifici, costituiti dalla:

a) specifica indicazione nell’atto di citazione delle ragioni e degli errori che caratterizzavano le tabelle impugnate;

b) attribuzione nelle tabelle ai singoli piani dell’edificio di valori decrescenti in relazione all’altezza, risultante dalla c.t.u. e ammessa dai convenuti;

c) vigenza gia’ negli anni ‘70 – ai quali risalivano le tabelle – del criterio del valore crescente dei piani in relazione all’altezza, documentato dalla circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 12480/1966;

d) omessa considerazione nella formazione delle tabelle delle cantine e delle soffitte, riconosciuta anche dai convenuti. Il primo motivo e’ infondato. A norma degli artt. 68 e 69 disp. att. c.c. il regolamento di condominio deve precisare i valori proporzionali di ciascun piano o delle porzioni di piano spettanti in proprieta’ esclusiva ai singoli condomini e detti valori, che devono essere ragguagliati in millesimi a quello dell’intero edificio ed espressi in una apposita tabella allegata al regolamento, possono essere riveduti e modificati, anche nell’interesse di un solo condomino:

a) quando risulta che sono conseguenza di un errore;

b) quando per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, e’ notevolmente alterato il rapporto originario tra i loro valori.

Ne consegue che momento normativo di individuazione dei valori delle unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva ai singoli condomini, e del loro proporzionale ragguaglio in millesimi a quello dell’edificio, e’ quello di adozione del regolamento e che la tabella che li esprime e’ soggetta ad emenda soltanto in relazione ad errori, di fatto o di diritto, che attengano alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unita’ immobiliari, ovvero a circostanze sopravvenute attinenti alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori.

In ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati dalle tabelle millesimali, sono escluse, dunque, sia la revisione che la modifica delle tabelle tanto per errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, quanto per mutamenti successivi dei criteri di stima della proprieta’ immobiliare, quand’anche abbiano comportato una rivalutazione disomogenea delle singole unita’ dell’edificio od alterato, comunque, il rapporto originario tra il valore delle singole unita’ del condominio e tra queste e l’edificio. Nel caso in cui venga chiesta la revisione delle tabelle, l’errore o gli errori lamentati devono, dunque, oltre che essere causa di una divergenza apprezzabile tra i valori posti a base della redazione delle tabelle e quello allora effettivo, risultare anche oggettivamente verificabili in base agli elementi sui quali il valore in quel momento doveva essere calcolato (cfr.: Cass. civ., sez. un., sent. 24 gennaio 1997, n. 6222).

A tali principi si e’ adeguata la sentenza impugnata, in quanto, precisato che momento rilevante ai fini della verifica di un errore nelle tabelle era quello della loro formazione e dato anche per ammesso che un errore nella valutazione delle singole unita’ immobiliari poteva derivare dalla scelta o valorizzazione di parametri di valutazione difformi da quelli all’epoca comunemente utilizzati, ha escluso, con un apprezzamento in fatto non sindacabile per violazione di legge, la sussistenza della denunciata “perversione del criterio del piano” in ragione della mancanza di prova che:

a) il coefficiente del piano fosse stato applicato con le modalita’ affermate dall’attore;

b) all’epoca della formazione delle tabelle il valore degli immobili fosse direttamente proporzionale al piano;

c) la divergenza fra i valori indicati nelle tabelle quelli rilevati dal c.t.u. non fosse da imputare al concorrente utilizzo nella loro formazione di ulteriori criteri e coefficienti soggettivi di valutazione.

Non diversamente e’ da escludere un’inversione del principio dell’onere della prova, giacche’ la Corte di appello ha collegato la soccombenza dell’attore all’esatta considerazione che egli doveva dimostrare l’esistenza dell’errore, o degli errori, costituenti fondamento della sua pretesa e che i criteri in base ai quali erano state formate le tabelle non erano stati accertati dalla c.t.u. e non potevano essere di per se’ presunti dalla discordanza dei valori attuali delle unita’ immobiliari in essa indicati.

Il secondo motivo e’ in parte inammissibile ed in altra infondato. E’ inammissibile laddove denuncia l’omessa valutazione:

a) di una circolare del Ministero dei Lavori pubblici, senza soddisfare l’onere imposto dal principio di autosufficienza del ricorso di indicare in quale fase processuale il documento era stato prodotto, di trascriverne nell’atto d’impugnazione il contenuto, o la parte significativa di essa, onde consentire il vaglio della decisivita’ dell’omissione, e di specificare se il suo esame fosse stato sollecitato al giudice di appello, che di esso non hai fatto menzione nella sentenza;

b) della circostanza che nella formazione delle tabelle non erano state considerate le cantine e le soffitte, senza specificare se ed in quali termini la questione fosse stata riproposta nel giudizio di appello.

E’ infondato nella parte in cui concerne la “perversione del criterio del piano”, perche’ attinge un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e che e’ sorretto da una adeguata e logica motivazione sull’assenza di prova tanto dell’esistenza al momento della formazione delle tabelle di un criterio di diretta proporzionalita’ del valore dei piani alla loro altezza quanto della sua violazione, mentre nel resto sollecita una rivalutazione degli elementi acquisiti e degli atti processuali che e’ preclusa al giudice di legittimita’.

All’infondatezza od inammissibilita’ dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali, iva, cpa ed altri accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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