App. Ancona, 27/02/2010

In materia di condominio, l’art. 1117 c.c., propone un elenco esemplificativo e non tassativo delle parti cd. comuni, ovvero destinate al servizio comune dei condomini. Ne deriva che potranno considerarsi parti comuni anche quelle parti che, pur non rientrando nell’elenco di cui al succitato articolo, presentino una collocazione nell’ambito dell’edificio condominiale nonché una funzione da cui possa desumersi la loro natura condominiale, salvo che non sussista un titolo specifico, inevitabilmente in forma scritta, che escluda tale natura.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 14 – 21 ottobre 1997 (omissis) convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Ancona (omissis) nonché il Condominio di via (omissis), chiedendo a) la condanna di quest’ultimo, in persona dell’amministratore pro tempore, al ripristino dello stato dei luoghi precedente ai lavori illegittimamente eseguiti dalle citate convenute, mediante il rifacimento del cosiddetto “camminamento”, sito all’ultimo piano dell’immobile di cui gli attori erano condomini, secondo le modalità previste dal contratto di appalto stipulato il 26 maggio 1997 tra l’amministrazione condominiale e la ditta appaltatrice; b) l’accertamento della responsabilità delle (omissis) per aver effettuato i suddetti lavori con conseguente condanna delle stesse al risarcimento dei danni patiti dagli istanti da determinare in un importo quanto meno “corrispondente al costo dei lavori che dovranno essere eseguiti per l’abbattimento della terrazza illecitamente costruita ed il rifacimento del camminamento, oltre il pregiudizio subito per il ritardo nel completamento dei lavori di cui all’appalto”.

(Omissis) nel costituirsi, sostenevano che il “camminamento” in questione non era di proprietà condominiale bensì di loro esclusiva pertinenza; chiedevano, comunque, il rigetto delle avverse pretese “perché pretestuose ed infondate in fatto e di diritto”.

Si costituiva, altresì, il Condominio di via (omissis) di (omissis) eccependo preliminarmente l’incompetenza per valore del giudice adito nonché la propria carenza di legittimazione passiva d invocando, in ogni caso, la reiezione delle domande attoree.

Svolta l’attività richiesta dalle esigenze istruttorie, che si sostanziava nell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, l’adito Tribunale, in composizione monocratica, con sentenza in data 13 – 24 novembre 2003, condannava il convenuto Condominio al ripristino dello stato dei luoghi preesistente ai lavori illecitamente eseguiti dalle convenute, tramite il rifacimento del camminamento condominiale secondo le apposite modalità previste dal contratto di appalto del 26 maggio 1997; dichiarava le convenute medesime responsabili per le opere illecitamente poste in essere, dei danni arrecati agli attori e le condannava, in solido, al risarcimento degli stessi in misura “corrispondente al costo dei lavori per l’abbattimento della illegittimamente costruita terrazza e per il rifacimento del camminamento condominiale” ed alla rifusione delle spese di lite.

Avverso tale decisione proponevano appello, con citazione notificata il 22 aprile 2004, (omissis) affidandosi a quattro motivi e concludendo, previo rinnovo dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio, affinché fosse accertata la natura non condominiale del terrazzo, compresa la porzione individuata come “camminamento” in quanto di proprietà di esse appellanti e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata pronuncia, affinché fossero respinte le avverse richieste così come formulate nell’atto introduttivo della pregressa fase processuale.

Si costituivano (omissis) e (omissis) che contestavano il fondamento del proposto gravame di cui domandavano l’integrale rigetto ribadendo le ragioni già prospettate nei precedenti scritti difensivi.

Nessuno si costituiva per il Condominio di via (omissis) di (omissis).

Precisate dalle parti le conclusioni come in epigrafe trascritte, disposto lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la causa, decorsi i prescritti termini, passava in decisione.

Motivi della decisione

Va premessa la declaratoria di contumacia del Condominio di via (omissis) il quale, malgrado la rituale notifica dell’atto introduttivo del presente grado non si è costituito in giudizio.

Venendo all’esame dei motivi di gravame gli stessi possono essere trattati unitamente in considerazione della loro connessione.

Deducono gli appellanti, in primis, che il Tribunale dorico non ha tenuto nella debita considerazione l’atto di divisione del 23 luglio 1970 a rogito del notaio (omissis) stipulato tra (omissis) (quest’ultimo dante causa delle attuali appellanti in virtù dell’atto di donazione datato 8 gennaio 1980) dal quale si evince la natura non condominiale del camminamento per cui è causa essendo ivi ben distintamente richiamate le parti di proprietà esclusiva e quelle in comune – precisamente l’ingresso, la scala e il corridoio che dal vano ingresso conduce ai locali del piano terreno – senza che fra queste ultime fosse menzionato il predetto camminamento; inoltre le schede planimetriche allegate al menzionato atto divisorio, dove viene individuata l’esatta consistenza delle unità immobiliari di cui trattasi, evidenziano che “nella parte relativa alla rappresentazione del piano terzo è possibile osservare che il c.d. camminamento reca nella sua metà una chiara e netta linea di divisione che, se il segmento in questione fosse stato in comproprietà, non avrebbe avuto ragione di esistere”; a ciò aggiungasi che né il consulente tecnico d’ufficio né il Tribunale hanno rilevato che il camminamento in questione altro non è se non il risultato dell’arretramento (di metri 1,50) del parapetto del terrazzo di proprietà esclusiva di esse (omissis) attuato non per volontà di rinuncia alla sezione di terrazzo risultante dal detto arretramento (trattasi di terrazzo a livello del terzo piano strutturalmente e funzionalmente destinato non tanto e non solo alla copertura del sottostante edificio quanto e soprattutto a permettere un affaccio all’appartamento cui esso è collegato e “del quale costituisce una proiezione verso l’esterno compressa… dal diniego del proprietario finitimo signor (omissis) alla costruzione del parapetto a filo con il muro sottostante costruito sul confine delle due proprietà”) per destinarla all’uso ed al godimento comune ma per la necessità di mantenere le distanze legali rispetto alla proprietà confinante; neppure la prospettata “condominialità” poteva essere desunta dalla circostanza di aver avanzato al Condominio la richiesta di poter ampliare il proprio balcone dovendo i relativi lavori essere, comunque, autorizzati in sede di assemblea condominiale comportando modifica della sagoma dell’immobile e riguardando un terrazzo che assolveva anche alla funzione di copertura dell’edificio; d’altronde le suddette richieste non fanno venir meno in alcun modo l’animus possidendi da parte di esse appellanti “le quali hanno sempre avuto l’intimo convincimento di poter esercitare il potere di fatto sulla cosa oggetto di contestazione”; ci si duole, infine, del fatto che il giudice di prima istanza si è limitato a riportare pedissequamente alcuni passi della relazione di c.t.u. senza formulare una propria motivazione che avesse tenuto conto delle contrarie deduzioni “tradotte in rilievi ed osservazioni specifiche concrete” dovendosi, in ogni caso, ritenere apodittica l’affermazione del giudicante secondo cui “la condominialità del camminamento sarebbe in re ipsa”, nella “stessa natura strutturale” della porzione di fabbricato in considerazione.

I motivi sono infondati.

L’articolo 1117 c.c. elenca, tra le parti comuni dell’edificio, tutte quelle necessarie all’uso comune precisando che le stesse “sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo”; tale norma, con riferimento ai beni indicati ed agli altri che assolvono in vario modo alle medesime funzioni, atteso il carattere non tassativo dell’elencazione (cfr. ex plurimis, Cass. 4787/2007), non sancisce una mera presunzione di condominialità, ma afferma in modo positivo tale natura, che può essere esclusa non già con qualsiasi mezzo di prova, come nell’ipotesi di presunzione, ma solo in forza di un titolo specifico, inevitabilmente in forma scritta, riguardando beni immobili (così Cass. 6005/2008).

Appare corretto, quindi, il criterio di giudizio che, trascurando possibili elementi desumibili da meri comportamenti o convincimenti degli interessati, o, comunque, dalla singola situazione di fatto, ha concentrato l’indagine sull’esistenza o meno di un titolo che riservasse la proprietà dell’area in argomento, separata dalle singole unità immobiliari e costituente copertura della parte di edificio sottostante, a chi l’ha invocata in questa sede a proprio esclusivo favore.

Orbene non risulta alcun titolo (segnatamente atto di acquisto o negozio costitutivo del diritto) che consenta di ritenere che l’area in questione sia di spettanza esclusiva delle (omissis) per quanto riguarda, in particolare, l’interpretazione delle clausole dell’atto di divisione del 23 luglio 1970, richiamato dalle appellanti al fine di sostenere la proprietà del “camminamento”, è sufficiente osservare che in esse non si fa riferimento alcuno a quest’ultimo né alla relativa porzione di edificio (così come confermato dal c.t.u. nella relazione a pagina XXXII in cui, correttamente, si evidenzia che nell’atto medesimo se pure non è dato riscontrare il camminamento – malgrado si proceda ad un dettagliato elenco delle parti di pertinenza esclusiva – nel definire ciò che resta in comune vengono richiamati espressamente alcuni vani – locali premettendo, tuttavia, in maniera significativa, l’espressione “tra l’altro”).

Ciò posto, appaiono corrette le conclusioni a cui è pervenuto il Tribunale dato che, essendo destinata detta superficie, esterna ai balconi di proprietà delle singole unità immobiliari (e, dunque, non di uso esclusivo delle stesse), a copertura della parte sottostante del fabbricato, deve ritenersi la natura condominiale dell’area occupata dalle (omissis) mediante l’abbattimento del muro che delimitava la loro terrazza e la ricostruzione del parapetto di delimitazione inglobando la parte costituente il cosiddetto camminamento.

Inoltre, a ulteriore riscontro di quanto esposto, dalle planimetrie catastali acquisite dal c.t.u. presso l’Ufficio del territorio risulta “ben evidente la separazione fisica tra i singoli terrazzi e il cosiddetto camminamento” che ha sempre svolto esclusivamente la funzione di copertura dell’edificio e, prima dell’occupazione da parte delle (omissis), neppure poteva considerarsi superficie di calpestio essendo almeno in parte occupato da tegole e ricoperto di bitume (cfr. pagina XXXIV della relazione in atti); lo stesso “c.t.u. dopo avere esaminato le planimetrie prodotte agli atti ed aver verificato, tramite l’accesso all’Ufficio del territorio, la precisa corrispondenza di questo con quelle conservate al catasto, ha potuto constatare che le scritte “terrazzo” ivi riportate coprono esclusivamente le superfici rettangolari comprese tra i muri in elevazione del III piano ed i parapetti laterali e non riguardano il cosiddetto camminamento dal quale sono inoltre fisicamente separate da un muro continuo senza varchi alto 1,50 m.” (v. pagina XXXVIII della relazione).

Dunque, in definitiva, la natura condominiale del camminamento in questione è desumibile dalla sua collocazione nell’ambito dell’edificio (esterna ai balconi delle singole unità immobiliari) e dalla sua funzione (copertura di parte dell’edificio) così come dall’assoluta carenza di titoli legittimanti la proprietà esclusiva a favore delle attuali appellanti che, fra l’altro, non vi è prova alcuna che abbiano occupato detta area e in capo alle quali non è possibile riscontrare, per carenza assoluta di elementi idonei a costituirne dimostrazione, l’invocato animus possidendi a fondamento della loro pretesa.

In ordine alla richiesta istruttoria avanzata da parte appellante relativa alla rinnovazione della espletata consulenza tecnica d’ufficio, la stessa non può che essere disattesa essendo già stati acquisiti sufficienti elementi per addivenire alla decisione della controversia e considerato che la relazione redatta dal nominato c.t.u. si presenta priva di lacune o incongruenze che ne legittimino il rinnovo.

In conclusione il primo giudice ha ricostruito i fatti nei termini essenziali attinenti ai presupposti dell’azione proposta facendo riferimento alle acquisite risultanze processuali; in proposito appare opportuno osservare che, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la pronuncia adottata.

Le spese del grado, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta l’appello;

condanna le appellanti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del grado che liquida in Euro 1.144,50 per diritti ed Euro 3.500,00 per onorari oltre spese generali, c.a.p. ed i.v.a. sulle componenti imponibili, come per legge.

Così deciso in Ancona il 5 gennaio 2010.

Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2010.

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