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In sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, il giudice, al fine di determinare l’assegno dì mantenimento, ai sensi dell’art. 5, comma 9, della L. n. 898 del 1970, può disporre, d’ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, derogando alle regole generali sull’onere della prova. Orbene, l’esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova. Siffatto potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, con la conseguenza che la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati.

 

 

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Divorzio – Determinazione dell’assegno dì mantenimento – Giudice – Potere di disporre indagini patrimoniali – Finalità – Modalità di esercizio

Corte d’Appello Palermo, Sezione 1 civile
Sentenza 14 giugno 2017, n. 1143

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO i

La Corte di Appello di Palermo – Sezione Prima Civile – riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati:

1) Dott. Antonio Novara Presidente

2) Dott. Guido Librino Consigliere

3) Dott. Cintia Emanuela Nicoletti Consigliere

di cui il terzo relatore ed estensore, riunita in Camera di Consiglio, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 299/2016 del R.G. di questa Corte di Appello, promossa in questo grado

da

IN.AN., nato il (…) ad AGRIGENTO, rappresentato e difeso dall’Avv. Li.Tr. del Foro di Milano ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato Gi.Ma., ubicato in Palermo, via (…)

APPELLANTE

contro

BA.SA., (…) nata ad (…), rappresentata e difesa dall’Avv. El.De. ed elettivamente domiciliata nello studio dell’Avv. Mc.Di., ubicato in Palermo, via (…)

APPELLATA

con l’intervento di PROCURATORE GENERALE

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 775/2015 dei giorni 3/14.07.2015, Il Tribunale di Trapani ha emesso le seguenti statuizioni (per quanto in questa sede interessa):

– ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto l’11 giugno 1994 tra Ba.Sa. e In.Gr.;

– ha affidato, in via condivisa, ad entrambi i genitori la figlia Ma.In., indicando la madre quale collocataria e disciplinando il regime di incontri con il padre, in modo articolato;

– ha posto a carico dell’IN. l’obbligo di corrispondere, entro il giorno cinque di ogni mese, a titolo di contributo al mantenimento dei figli Al., nato il (…) aprile 1995, studente, e Ma., nata il (…) agosto 1999, studentessa ancora minorenne, un assegno mensile di Euro 1.000,00 – rivalutabile annualmente secondo indici ISTAT – da corrispondere, per la parte dovuta al figlio Al., pari a Euro 600,00, direttamente a quest’ultimo, e, per la restante parte, alla BA. con la quale la figlia Ma. convive, oltre il 50% delle spese straordinarie affrontate e concordate – salvo casi indifferibili -, come previsto in sede di separazione;

– ha fatto altresì obbligo all’IN. di corrispondere alla BA. un assegno divorzile di Euro 200.00, con i termini e le modalità degli altri assegni.

In.An., proponendo appello, con ricorso depositato il giorno 12 febbraio 2016, ha chiesto la riforma della decisione articolando tre diversi motivi di gravame appresso evidenziati.

Costituendosi in giudizio, Ba.Sa. ha invocato il rigetto dell’appello chiedendo, in via incidentale, elevarsi la misura dell’assegno di mantenimento per la prole e porsi a caarico dell’appellante le spes straordinarie, nella misura del 75%, nonché rideterminarsi in aumento l’assegno divorzile.

Autorizzato lo scambio di memorie, dopo un rinvio dovuto al carico di ruolo, all’udienza camerale del 28 aprile 2017, il procedimento è stato assunto in deliberazione sulle conclusioni trascritte in epigrafe.

1. L’impugnazione principale e, al contempo, quella incidentale vanno respinte.

la. Con il primo motivo di impugnazione, l’IN. ha eccepito la nullità della sentenza di primo grado e la conseguente nullità del procedimento n. 1662/20009 per violazione del diritto d’ascolto dei minori, dell’obbligo di audizione e assenza di motivazione sul punto.

A sostegno del motivo, la Difesa dell’appellante ha allegato che, all’udienza del 9 febbraio 2012, aveva chiesto al Giudice di prime cure che fosse disposta l’audizione dei figli cui l’altra parte si era opposta ed il Giudice non vi aveva dato seguito omettendo di motivare a riguardo, in aperta violazione dell’art. 12 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989, dell’art. 6 CEDU, dell’art. 23 Reg. Ce n. 2001/2003, degli artt. 155 sexies, 315 bis comma III e 336 bis c.c., nonché 3, 21 e 111 Co. rilievo non merita accoglimento.

Invero, come è dato desumere dagli atti e, segnatamente, dall’esame dei verbali del giudizio di primo grado, l’IN., nei propri atti difensivi, non aveva mai chiesto che il Giudice disponesse l’audizione dei figli Al. e Ma., salvo poi insistere nella relativa istanza all’udienza istruttoria del 9 febbraio 2012, nel corso della quale la BA. non si era opposta all’ascolto del figlio allora diciassettenne, ma a quello della figlia dodicenne; alla richiesta, invero, non veniva dato corso ma, senza

ulteriori interlocuzioni sul punto delle parti, si era continuato l’espletamento della prova testimoniale.

Nella citata richiesta, l’IN. non aveva insistito, ancora, nelle successive udienze, in particolare in quella destinata alla precisazione delle conclusioni, né negli atti difensivi riepilogativi delle sue difese, facendo implicitamente acquiescenza alle conclusioni cui era implicitamente giunto il primo Giudice in ragione della manifesta superfluità dell’attività, avuto. riguardo alla concorde richiesta delle parti che avevano entrambe invocato l’affido congiunto dei minori, incentrandosi la contesa, piuttosto, esclusivamente sulle questioni economiche.

Va poi rilevato, anche avuto riguardo al carattere determinativo proprio della statuizione in oggetto, che, nelle more dell’espletamento del giudizio di prime cure e della fissazione del presente, il figlio delle parti, Al., è divenuto maggiorenne, mentre Ma. compirà diciotto anni il 15 agosto p.v.

Tanto precisato in punto di fatto, non ignora la Corte che l’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardano ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003, nonché dell’art. 315-bis cod. civ. (introdotto dalla legge n. 219 del 2012) e degli arti. 336-bis e 337-octies cod. civ. (inseriti dal D.Lgs. n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l’art. 155-sexies cod. civ.).

Ne consegue che l’ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse – Cass. civ. sez. 1, n. 6129 del 26/03/2015 (Rv. 634881-01).

In particolare l’art. 336-bis c.c. – introdotto dall’art. 53, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, ai sensi di quanto disposto dall’art. 108, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 154/2013, vigente all’epoca della decisione (si badi bene, epoca successiva alle pronunzie evocate dalla Difesa dell’appellante, emesse in costanza della precedente normativa) -, che disciplina l’ascolto del minore, dispone che: “Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato…

Nel caso in esame, non v’è dubbio che la manifesta superfluità dell’adempimento in questione – se non il contrasto con l’interesse dei minori – constatata direttamente dal Giudice di prime cure, è emersa proprio sulla scorta della richiamata condotta dell’IN., registrata a verbale, che ha avanzato la richiesta senza insistervi dopo che la controparte aveva evidenziato la potenziale compromissione dell’interesse della figlia Ma., in età preadolescenziale, ove fosse stata coinvolta in prima persona nella contesa fra i genitori, soprattutto tenuto conto che non era stato posto in discussione, in alcun modo, l’affido condiviso della prole e che si trattava, dunque, di disciplinare più dettagliatamente le modalità di incontri condizionate dai diversi impegni, scolastici e non, dei figli e di lavoro del genitore non collocatario.

Deve poi osservarsi che di tale concreta situazione, il Tribunale (cfr. pag. 3 della decisione) ha dato puntualmente atto nella sentenza, evidenziando che, in merito all’affido, non era emerso “alcun contrasto fra le parti”.

Per altro verso, non ha mancato, di soffermarsi a disciplinare, in maniera articolata, il regime di incontri con il genitore non collocatario richiamando le condizioni adottate in sede di separazione consensuale, integrandole con altre disposizioni ed esortando i genitori ad un “agire atto a perseguire la ripartizione dei compiti derivanti da tale forma di affidamento” al fine di favorire, in buona sostanza, in particolare, il rapporto fra il padre e la figlia.

il motivo, pertanto, non é fondato non potendo ritenersi integrata alcuna nullità della pronunzia.

1. b-c. Con il secondo e il terzo motivo di gravame che, per comodità espositiva, vanno congiuntamente esaminati, implicando entrambi il vaglio delle condizioni economiche dei contendenti, l’impugnante ha lamentato la erroneità delle statuizioni economiche relative al contributo al mantenimento della prole, stabilito in Euro 1.000,00, nonché all’assegno divorzile, stabilito in Euro 200,00, chiedendo la riduzione del primo quanto meno fino alla concorrenza di Euro 600,00 e l’esonero dal versamento dell’altro.

Dal canto suo, la BA. ha chiesto, in via incidentale, elevarsi i suddetti importi e modificarsi la misura della contribuzione alle spese straordinarie per la prole a carico dell’IN. dal 50% al 75%.

Reputa, invece, la Corte che la sentenza meriti conferma anche quanto alle statuizioni di carattere patrimoniale.

Come evidenziato sempre a pagina 3 delle motivazioni, lo stesso IN. già all’udienza del 27 gennaio 2011 si era dichiarato disponibile a versare alla BA., a titolo di contributo al mantenimento della prole, Euro 900.00, anche in considerazione dei redditi agrari ricavati da alcuni appezzamenti di terreno che aveva ereditato.

In sede di prima comparizione, invero, in data 29 ottobre 2009, il Presidente del Tribunale aveva elevato a Euro 700,00 il contributo per la prole stabilito in Euro 500,00, nel contesto della separazione consensuale, omologata nel 2005.

Muovendo da tali premesse e, sottolineando le maggiori esigenze dei figli correlate alla loro crescita e, soprattutto dello studente universitario Alfredo che studia fuori sede con conseguenti più elevati oneri di mantenimento comprendenti l’alloggio, il Tribunale ha correttamente posto a carico dell’IN., coniuge economicamente più solido, un assegno di Euro 1.000,00, da rivalutare annualmente secondo gli indici Istat, e versare quanto alla somma di Euro 600,00 direttamente al figlio Alfredo e per la restante parte all’altro genitore, con il quale la minore convive stabilmente; tanto oltre il 50% delle spese straordinarie, come previsto in sede di separazione.

Tale statuizione deve reputarsi in linea con il disposto dell’art. 316 bis c.c. secondo il quale “i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo….

Invero, la determinazione del contributo che per legge grava su ciascun coniuge per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione della prole, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell’assegno spettante al coniuge separato o divorziato, non si fonda su di una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun coniuge. Pertanto, le maggiori potenzialità economiche di uno dei genitori, quale quello affidatario, concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore – Cass. civ. sez. I, n. 18538 del 02/08/2013 (Rv. 628040 – 01).

Ora, dall’esame delle dichiarazioni dei redditi, acquisite agii atti, è emerso un oggettivo sensibile divario economico fra i contendenti e questo, sebbene, come allegato dall’IN., la BA. abbia conseguito la abilitazione all’esercizio della professione forense anche all’estero, con conseguente iscrizione all’albo dal 2013, cercando in tal modo di mettere a frutto la propria capacità lavorativa e impegnandosi anche nel conseguimento di un master in mediazione familiare, senza tuttavia esserci ancora concretamente riuscita (cfr. dichiarazioni dei redditi 2015 dell’IN. in cui figurano nel 2014 redditi complessivi pari a Euro 10.772.00 e dichiarazione dei redditi della BA. del 2014, in cui figura un reddito complessivo di Euro 1.320,00).

D’altra parte, l’aver ereditato, oltre a una cospicua somma in contanti, diversi immobili, come è incontestato (cfr. anche le visure immobiliari e le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale all’udienza del 27 gennaio 2011), anche a prescindere dal reddito figurativo catastale dei predetti, pone IN. nella condizione di poter sfruttare gli stessi e non soltanto a fini agricoli (avendo egli adibito diversi appezzamenti di terreno a vigneti e oliveti), come desumibile dalla ammissione del predetto relativa ai canoni di locazione riscossi e dalla documentazione prodotta dalla BA. (cfr. annunci pubblicitari che pongono in bella mostra case vacanze, appena ristrutturate).

Peraltro, le prove testimoniali raccolte in prime cure hanno fatto emergere il dato che le uve ricavate dai suoi vigneti sono state dall’IN. conferite in apposite cantine con conseguente percezione di altri redditi (cfr., esemplificativamente, deposizione del teste Gu., raccolta all’udienza del 30 novembre 2012).

Conseguentemente, anche se i fatti successori sono in larga parte risalenti, resta una complessiva condizione economica dell’appellante che può definirsi agiata, nonostante le esposizioni debitorie connesse alla necessaria gestione e manutenzione dei cespiti che, peraltro, potrebbero essere alienati e monetizzati anche al fine di ripianarla.

Ulteriore dato incontestato fra le parti è quello che la BA., dal marzo 2016 (cfr. pag. 10 delle note autorizzate dell’appellante, datate 28 settembre 2016), ha lasciato l’abitazione già adibita a residenza coniugale per trasferirsi in un immobile dei suoi genitori, con conseguente possibilità dell’IN., che ne è proprietario, di sfruttarla e percepire altri redditi.

In definitiva, i dati fin qui evidenziati, oltre che indurre a confermare la misura della contribuzione ordinaria e straordinaria in favore della prole, militano altresì per ritenere sussistenti i presupposti per riconoscere, in favore della IN., l’assegno divorzile nella misura indicata dai primi Giudici, tenuto anche conto della potenziale capacità reddituale di quest’ultima.

Invero, anche in relazione al recentissimo arresto della 1 sezione della Suprema Corte di Cassazione, reputa il Collegio che sia innegabile il divario economico fra gli ex coniugi ed in particolare la mancanza di mezzi adeguati della appellata, considerato che in atto la BA. (classe 68) non si è utilmente inserita nel contesto lavorativo nel quale aspira di fare ingresso, pur avendo alacremente affrontato e portato a compimento gli studi per la sua qualificazione professionale, in particolare, da quando i figli sono divenuti più autonomi.

Secondo la Suprema Corte: “il giudice del divorzio, richiesto dell’assegno di cui all’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 10 della L. n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi: a) deve verificare, nella fase dell’”an debeatur”, se la domanda dell’ex coniuge richiedente soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di “mezzi adeguati” o, comunque, impossibilità “di procurarseli ver rasioni oggettive”), non con riguardo ad un “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”, ma con esclusivo riferimento all’”indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso, desunta dai principali “indici” – salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie – del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri “lato sensu” imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), della capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso e ai mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge; b) deve tener conto, nella fase del “quantum debeatur”, di tutti gli elementi indicati dalla norma (“condizioni dei coniugi”, “ragioni della decisione”, “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”, “reddito di entrambi”) e valutare “tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio” al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno divorzile, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova” – Cass. civ. sez. I -, n. 11504 del 10/05/2017 (Rv. 644019 – 02) -.

Diversamente rispetto a quanto opinato dall’IN. allora, nel caso in esame, il riconoscimento di contributo al suo mantenimento non si traduce affatto in una c.d. “rendita parassitaria”, imponendosi invece un riequilibrio della condizione economica della appellata che, avendo contratto matrimonio con il predetto nel giugno 1994 per poi separarsi consensualmente nel 2006, ha, in definitiva, concretamente contribuito alla strutturazione della famiglia cui ha dedicato, in via esclusiva, inizialmente le proprie energie per poi cercare, in un secondo tempo, una adeguata qualificazione professionale che, come noto, di per sé non è affatto sufficiente per ottenere un reddito.

Infine, inconferenti e ultronee (quanto alla relazione allacciata dalla BA.) rispetto al iberna decidendum risultano, poi, le richieste istruttorie formulate dalle parti in limine litis, anche avuto riguardo all’indirizzo della Suprema Corte, che si condivide, secondo cui in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice che, ai sensi dell’art. 5, comma 9, della l. n. 898 del 1970, può disporre – d’ufficio o su istanza di parte – indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova; l’esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su tatti specifici e circostanziati – Cass. civ. sez. 6 -1, Ordinanza n. 23263 del 15/11/2016 (Rv. 642677 – 01)

La sentenza impugnata, con la quale si è fatto buon governo dei principi di diritto vigenti in materia, va pertanto integralmente confermata con conseguente reiezione dell’impugnazione principale e di quella incidentale, proposta dalla BA.

2. La reciproca soccombenza e la natura della controversia lasciano ritenere opportuna la compensazione tra le parti anche delle spese del presente grado del giudizio.

Posto che l’impugnazione è stata proposta dopo l’entrata in vigore della legge 24 dicembre 2012 n. 228 (che ha integrato l’art. 13 del T.U. di cui al D.P.R. n. 115/2002), al rigetto dell’appello principale e di quello incidentale segue altresì l’obbligo di entrambe le parti, al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunziando, conferma la sentenza n. 775/2015 resa dal Tribunale di Trapani nei giorni 3/14.07.2015, appellata da In.An. nei confronti di Ba.Sa. e, in via incidentale, da quest’ultima.

Dichiara le spese del giudizio interamente compensate tra le parti.

Dà atto dell’obbligo di In.An. e Ba.Sa. del versamento di ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a. quello dovuto rispettivamente per l’impugnazione principale e incidentale.

Così deciso in Palermo il 12 maggio 2017.

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2017.

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