Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio condominiale quando siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè quando l’applicazione di quest’ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto prevalgono le norme sulle cose comuni con la conseguente inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che nel condominio degli edifici e nei rapporti fra singolo condomino e condominio, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime.

CHIEDI UNA CONSULENZA

 

Tribunale Amministrativo Regionale CAMPANIA – Napoli, Sezione 8
Sentenza 29 dicembre 2016, n. 6005

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

Sezione Ottava

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1130 dell’anno 2016, proposto da:

Ro. Ma., rappresentata e difesa dagli avvocati Ka. Ve. (C.F. (omissis)), ed altri, con costoro elettivamente domiciliata in Napoli, alla via (…), presso Gi. Un.;

contro

Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Se. Be. (C.F. (omissis)), con cui è elettivamente domiciliato in Napoli, alla via (…), presso lo studio dell’avv. Sa. Ma.;

nei confronti di

Mo. An. e Ru. Or., rappresentati e difesi dall’avvocato Da. De. Nu. (C.F. (omissis)), unitamente al quale sono legalmente domiciliati in Napoli, presso la Segreteria del TAR Campania;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

A) del provvedimento n. 24/2015 del Comune di (omissis), con cui è stato rilasciato il permesso di costruire in sanatoria per l’ampliamento del vano cucina e realizzazione scala esterna e locale deposito già posti in essere, oltre che per la realizzazione ex novo di una parete in vetrocemento e di una barriera con vetrata opaca ubicate al confine tra la proprietà della ricorrente e quella dei controinteressati;

B) del verbale della commissione edilizia n. 6 del 22.10.2015 del Comune di (omissis), con cui è stato dato parere favorevole per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria:

C) di tutti gli atti, compresi i verbali della commissione edilizia, presupposti, conseguenti e comunque finalizzati al rilascio del permesso di costruire in sanatoria;

nonché per il risarcimento dei danni derivati dall’illegittima attività amministrativa posta in essere nell’occasione.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), nonché di Antonio Mo. e di Ornella Ru.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2016 il dott. Michelangelo Maria Liguori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il presente ricorso, notificato a mezzo posta tra il 17 e il 22 febbraio 2016, e depositato il successivo 11 marzo, Ro. Ma. ha esposto

– che era proprietaria dell’unità immobiliare sita nel Comune di (omissis), via (omissis), località (omissis) (censita in Cat. Urb. al Foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis)), facente parte del fabbricato, costituito da quattro unità a schiera definito “blocco A”, facente parte a sua volta del complesso edilizio denominato “Lottizzazione (omissis)”, situato in zona B1 del PRG;

– che detta sua unità era posta al confine con altra dei controinteressati, ovvero i coniugi Mo. An. e Ru. Or. (a sua volta risulta censita catastalmente al foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis));

– che, nello specifico, gli indicati immobili erano accostati l’uno all’altro, in quanto facenti parte di un complesso immobiliare, composto da quattro unità abitative poste a schiera, di identiche dimensioni, prospetto e caratteristiche strutturali;

– che nella proprietà (omissis) venivano realizzate, in assenza di titolo abilitativo, opere abusive contrastanti con gli strumenti urbanistici e con la normativa in materia di distanze, consistite nell’ampliamento del vano cucina (con la chiusura dell’esistente balcone mediante opere in muratura ed eliminazione della parete interna), oltre che nella costruzione di una scala a confine con la proprietà (omissis) (costituita da n. 8 gradini dimensione ml 1,96 di lunghezza x ml 1, 00 circa, collegata a un pianerottolo di accesso esterno alla detta cucina);

– che essa ricorrente segnalava tali lavori abusivi al Comune di (omissis), con nota depositata in data 1.9.2015;

– che, a seguito della segnalazione, il Comune di (omissis) avviava gli accertamenti relativi a tali lavori non autorizzati, e, all’esito del sopralluogo del 12.9.2015, acclarava che le opere eseguite sull’immobile in proprietà dei coniugi Mo. e Ru. non erano conformi al progetto assentito con il permesso di costruire n. 34/2011, oltre ad essere poste in violazione delle distanze legali, ragion per cui ordinava l’immediata sospensione dei lavori;

– che, dopo la sospensione dei lavori, i coniugi Mo. e Ru. presentavano al Comune di (omissis) richiesta di permesso di costruire (prot. n. 4633 dell’8.10.2015) finalizzata appunto alla sanatoria delle opere in parola;

– che il Comune di (omissis), con provvedimento n. 24 del 30.10.2015, pubblicato il 21.12.2015, valutata la richiesta dei coniugi Mo. – Ru. e la documentazione allegata, tenuto conto del parere favorevole della commissione edilizia, rilasciava il chiesto permesso di costruire, con il quale, non solo venivano sanati i lavori abusivi già realizzati (consistiti nell’ampliamento del vano cucina e realizzazione scala esterna e locale deposito), ma si autorizzavano anche ulteriori opere, ovvero l’edificazione di una parete in vetrocemento e di una barriera con vetrata opaca (entrambe poste sul confine tra la proprietà della ricorrente e quella dei controinteressati);

– che, tenuto conto del rilascio di detto permesso di costruire in sanatoria, essa ricorrente, con nota del 29.12.2015, presentava al Comune di (omissis) istanza di accesso agli atti, al fine di conoscere il contenuto della domanda presentata dai coniugi (omissis), con i relativi allegati, i verbali della commissione edilizia e ogni ulteriore atto relativo al permesso in sanatoria in questione;

– che l’accesso agli atti era consentito dall’amministrazione in data 4.2.2016, e, all’esito, essa ricorrente prendeva cognizione dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria avanzata e della documentazione a corredo della stessa, rilevando diversi profili di illegittimità del progetto assentito, anche sotto il profilo della violazione delle distanze;

– che, tenuto conto che il permesso di costruire in sanatoria aveva ad oggetto lavori sulla proprietà dei coniugi (omissis), confinante con quella di essa ricorrente, e rilevato che le opere autorizzate in sanatoria violavano gli obblighi inerenti le distanze tra i fabbricati, con susseguente pregiudizio per la posizione soggettiva di essa ricorrente, ne derivava evidente la sussistenza del proprio interesse a ricorrere.

Tanto esposto, la ricorrente ha impugnato gli atti indicati in epigrafe, e, segnatamente, il permesso di costruire rilasciato dal Comune di (omissis) ai controinteressati, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

I) VIOLAZIONE DELL’ART. 1117 C. C. – ECCESSO DI POTERE PER ERRONEA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI IN FATTO E IN DIRITTO, DIFETTO DI ISTRUTTORIA – MANIFESTA ILLOGICITA’, IRRAGIONEVOLEZZA, CONTRADDITTORI ETA’, PERPLESSITA’, SVIAMENTO: avendo il permesso di costruire in sanatoria ad oggetto lavori modificativi della facciata dell’unità immobiliare in proprietà dei controinteressati, nonché incidenti sui prospetti dell’intero fabbricato condominiale costituito da quattro costruzioni a schiera, la loro realizzazione avrebbe richiesto il consenso dei proprietari delle altre unità immobiliari appartenenti al medesimo fabbricato; nel caso in questione, sarebbe incontestabile la natura condominiale dell’edificio, costituito da quattro unità a schiera non distaccate tra di loro, censite al Comune di (omissis) al foglio 14, e insistenti tutte sulla particella 266, ma rispondenti a diversi subalterni; in particolare, le quattro unità avrebbero in comune la corte (cfr. in tal senso l’atto di acquisto della ricorrente, evidenziante che l’unità abitativa di costei confina con una corte comune alle restanti unità abitative); ancora dallo stesso atto di proprietà risulterebbe che l’immobile in proprietà della ricorrente rientra nel più ampio fabbricato denominato blocco A, del quale fa parte anche l’unità immobiliare dei controinteressati; anche dalle immagini fotografiche dei luoghi sarebbe evincibile la natura condominiale degli immobili in questione; sia l’unità immobiliare della ricorrente, sia quella dei controinteressati, sarebbero confinanti con la strada privata condominiale, come desumibile dalle immagini fotografiche e chiarito da apposita consulenza tecnica di parte; ai sensi dell’elaborato planimetrico riportato in catasto, la strada di accesso ai garage delle abitazioni facenti parte del complesso condominiale denominato “Blocco A” sarebbe univocamente determinata quale sub. (omissis) della particella (omissis) del foglio (omissis), sulla quale sorge l’edificio condominiale, tanto da risultare come bene comune non censibile, seppure qualificato come corte, anziché come strada di accesso; pure nell’estratto di mappa catastale, il sub (omissis), ovvero tale strada di accesso, sarebbe graffata alla particella (omissis) del foglio (omissis), il che renderebbe evidente la sua natura condominiale, in quanto posta al servizio delle quattro unità abitative insistenti sulla particella n. (omissis) del foglio (omissis); dai rilievi fotografici e planimetrici, si evincerebbe chiaramente che la strada in questione rappresenta l’unico passaggio comune ai condomini per l’accesso ai garage di proprietà, così come chiarito dal consulente di parte; stante la presenza di una corte e/o strada di accesso e di una facciata comuni, risulterebbe evidente l’assetto condominiale dell’edificio in questione, costituito dalla proprietà della ricorrente, da quella dei controinteressati, nonché da ulteriori due unità abitative; avendo ricevuto la segnalazione della ricorrente circa l’illegittimità dei lavori non autorizzati, ma comunque avviati su costruzioni a schiera, e avendo verificato lo stato dei luoghi con l’accesso del 12.9.2015, all’atto del rilascio del permesso di costruire in sanatoria il Comune di (omissis) sarebbe stato ben a conoscenza della natura condominiale della struttura, del dissenso della ricorrente circa la realizzazione delle opere de quibus, oltre che dell’incidenza delle opere sulle parti comuni, per cui avrebbe dovuto negare la concessione del titolo abilitativo (essendo, peraltro, ben identificabile una violazione dell’art. 1117 c.c., che individua le facciate tra le parti ricomprese in proprietà comune); la concessione della sanatoria dovrebbe ritenersi perciò frutto dell’errata valutazione della situazione di fatto, di una grave carenza di istruttoria in merito alla richiesta di permesso di costruire, oltre che di una manifesta violazione di legge, per essere stata con essa consentita la realizzazione di opere sulle parti comuni senza il necessario consenso degli altri proprietari;

II) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 36 D.P.R. 380/2001 E DEGLI ARTT. 1, 3, 4, 5, 12 E 12 BIS DELLA LEGGE REGIONE CAMPANIA N. 19 DEL 2009 (C. D. PIANO CASA) ¬ECCESSO DI POTERE PER ERRONEA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI IN FATTO E IN DIRITTO, DIFETTO DI ISTRUTTORIA – MANIFESTA ILLOGICITA’, IRRAGIONEVOLEZZA, CONTRADDITTORIETA’, PERPLESSITA’, SVIAMENTO: dopo l’accertamento dei lavori in questione come abusivi (perché non conformi al progetto assentito, oltre che posti in violazione delle norme sulle distanze), e l’intervento di un provvedimento amministrativo di immediata sospensione degli stessi, la sanatoria chiesta dai controinteressati in data 22.10.2015, pur facendo formalmente riferimento all’art. 36 del d.p.r. 380/2001, nella sostanza sarebbe stata presentata ai sensi e per gli effetti della legge regionale n. 19 del 2009; nello specifico, nella relazione di accompagnamento alla richiesta di permesso di costruire in sanatoria, i controinteressati avrebbero sostenuto che le opere difformi rispetto al progetto sarebbero state assentibili ai sensi dell’art. 12 della legge regionale n. 19 del 2009, asserendo in tal modo che la legge in questione consentirebbe di sanare ex post opere precedentemente realizzate e di natura abusiva; l’amministrazione, da parte sua, avrebbe erroneamente aderito alla prospettazione dei controinteressati, concedendo il permesso in sanatoria ed erroneamente sostenendo che le opere già realizzate abusivamente sarebbero state sanabili ai sensi del c.d. “piano casa”; diversamente, invece, il Tar Campania-Napoli avrebbe chiarito che l’art. 12, comma 1, della L.R. Campania n. 19/2009 subordina gli interventi di cui all’art. 5 (ossia gli interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamenti volumetrici, quali, appunto, quelli eseguiti dai controinteressati) alla preventiva richiesta ed al preventivo rilascio di idoneo titolo abilitativo edilizio; ai sensi del successivo art. 12 bis, la disciplina derogatoria regionale sul c.d. “piano casa” si applicherebbe soltanto ai fabbricati regolarmente autorizzati al momento della richiesta di permesso a costruire, ricadenti sull’intero territorio regionale; sul punto presenterebbe incidenza anche l’art. 3, comma 1, lett. a, della L.R. Campania n. 19/2009, per il quale gli interventi di cui all’art. 5, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, “non possono essere realizzati su edifici che al momento delle presentazione della denuncia di inizio di attività di edilizia… o della richiesta del permesso a costruire risultano… realizzati in assenza o in difformità al titolo abilitativo per i quali non sia stata rilasciata concessione in sanatoria”; alla stregua del chiaro tenore della normativa sopra richiamata, sarebbe evidente che gli interventi in ampliamento ex art. 5 della L.R. Campania n. 19/2009, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, in tanto sarebbero ammessi, in quanto da un lato non già (abusivamente) realizzati, bensì previamente e ritualmente assentiti mediante idoneo titolo abilitativo, e in quanto, d’altro lato, l’edificio cui accedono sia stato realizzato legittimamente, ovvero, ancorché realizzato abusivamente, sia stato previamente sanato; in altri termini, il requisito della legittimità dello stato dei luoghi, richiesto dalla disciplina legislativa regionale richiamata, dovrebbe indefettibilmente sussistere alla data di presentazione dell’istanza a norma del “piano casa”, per cui a quest’ultima non sarebbe, di per sé, ricollegabile quella portata sanante, propria della domanda di condono e della domanda di accertamento di conformità, erroneamente predicata da parte ricorrente; come già osservato dal TAR Campania, Napoli, sez. II, 14 dicembre 2012, n. 5203, quella sul “piano casa” sarebbe non già una normativa di condono o di sanatoria, bensì, riflettendo l’esigenza di promuovere gli investimenti privati nel settore dell’edilizia, una disciplina di natura eccezionale in relazione a specifici interventi, destinata ad operare per un arco temporalmente limitato, sempre dietro presentazione di un’istanza precedente l’esecuzione delle opere, da cui deve, peraltro, emergere la rispondenza degli interventi medesimi alle specifiche finalità perseguite dal legislatore regionale; peraltro, ai sensi dell’art. 5, comma 5, lett. a, della L.R. Campania n. 19/2009, per la realizzazione dell’ampliamento sarebbe obbligatorio, tra l’altro, “l’utilizzo di tecniche costruttive, anche con… materiale eco-compatibile, che garantiscano prestazioni energetico-ambientali nel rispetto dei parametri stabiliti dagli atti di indirizzo regionali e dalla vigente normativa… l’utilizzo delle tecniche costruttive ed il rispetto degli indici di prestazione energetica fissati dalla giunta regionale sono certificati dal direttore dei lavori con la comunicazione di ultimazione dei lavori”; in definitiva, condizione per fruire del beneficio accordato dal “piano casa” sarebbe l’esecuzione, ex ante, dell’opera con tecniche costruttive improntate a criteri di cura ambientale e risparmio energetico; tenuto conto che il progetto presentato dai controinteressati non farebbe riferimento a tecniche costruttive improntate alla cura ambientale e al risparmio energetico, sarebbe evidente l’ulteriore motivo di inapplicabilità del “piano casa”;

III) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 6 COMMA 16 DEL REGOLAMENTO EDILIZIO – DEGLI ARTT. 11, 12 E 13 DEL P.R.G. DEL COMUNE DI PIETRAMELARA – DEGLI ARTT. 873 E 907 C.C. – ECCESSO DI POTERE PER ERRONEA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI IN FATTO E IN DIRITTO, DIFETTO DI ISTRUTTORIA – MANIFESTA ILLOGICITA’, IRRAGIONEVOLEZZA, CONTRADDITTORIETA, PERPLESSITA’, SVIAMENTO: dall’analisi dell’istanza presentata dai controinteressati, oltre che dallo stesso permesso di costruire, rimarrebbe evidenziato che le opere assentite, consistenti nell’ampliamento del vano cucina e nella realizzazione di una scala esterna, un locale deposito seminterrato, un muro di vetrocemento ed una barriera opaca (questi ultimi posti sul confine) risulterebbero in violazione degli obblighi in materia di distanze legali dettati dal Regolamento Edilizio Comunale e dal legislatore; circa l’ampliamento del vano cucina, l’amministrazione avrebbe autorizzato le opere de quibus sebbene fossero in violazione, tanto delle più restrittive prescrizioni comunali, quanto di quelle di carattere generale (posto che il regolamento edilizio, all’art. 6 comma 16, così come gli art. 11, 12 e 13 del P.R.G. vigente del Comune di (omissis), per le diverse zone residenziali, impongono la distanza minima tra le costruzioni di 5 metri dal confine di proprietà o dal limite di zona; mentre come è noto il legislatore impone quella minima di 3 metri), in quanto poste ad una distanza inferiore a 3 metri dalla proprietà della ricorrente; nello specifico, il progetto assentito farebbe riferimento all’ampliamento dell’originario vano cucina, ottenuto mediante la chiusura parziale di un balcone e l’apertura di un nuovo ingresso (a sua volta servito da una scala esterna in cemento armato, realizzata sul confine), ma, dagli elaborati progettuali e dall’annesso materiale fotografico presentati dagli stessi controinteressati in sede di domanda di sanatoria, si evincerebbe chiaramente come l’ampliamento, ottenuto dalla chiusura del balcone, rappresenterebbe un corpo aggiuntivo rispetto all’originaria struttura, posto a meno di 3 metri dal fabbricato della ricorrente (ubicato sul confine), così da violare sia l’art. 16 del regolamento edilizio comunale che l’art. 873 c.c.; anche dalla prodotta consulenza tecnica asseverata di parte si vincerebbe la manifesta violazione dei limiti legali delle distanze tra le costruzioni, con susseguente illegittimità delle opere realizzate; circa il muro in vetrocemento e la barriera opaca sul confine, la loro realizzazione sarebbe prevista dall’elaborato presentato a corredo della domanda di sanatoria, ma essi impedirebbero la veduta diretta posseduta dalla ricorrente rispetto alla proprietà dei controinteressati; infatti, dalla documentazione fotografica e dalla consulenza di parte emergerebbe con chiarezza che il muro in vetrocemento e la barriera opaca andrebbero a chiudere la veduta diretta della ricorrente (da un balcone posto al confine tra gli immobili e dotato di affaccio sulla proprietà (omissis), costituente certamente veduta di tipo diretto, per essere l’angolo di visuale dal balcone di questa, di tipo acuto, e perciò atto a garantire un affaccio diretto sia in orizzontale che in senso verticale) rispetto alla proprietà dei controinteressati; in proposito, sarebbero decisive le statuizioni della Suprema Corte, la quale, con arresto dell’8.1.2016 n. 146, avrebbe ribadito quanto già in precedenza chiarito con la sentenza n. 220 del 05/01/2011, ovvero che, posto che per distinguere le vedute dirette, laterali, e oblique, sono stati ipotizzati due criteri (il primo dei quali è quello topografico, basato cioè sulla reciproca posizione dei fondi, alla luce del quale la veduta è diretta quando la linea di confine del fondo altrui è parallela alla linea della parete in cui si trova l’apertura, o forma con essa un angolo acuto; obliqua quando l’angolo è retto od ottuso; laterale quando l’angolo è piatto; mentre il secondo è il criterio invece basato sulla posizione di chi guarda, e nel caso di vedute costituite da balconi, come per la posizione della ricorrente, dove sono possibili più posizioni di affaccio, rispetto ad ogni lato del balcone, si avrà dunque una veduta diretta e due ulteriori vedute che saranno oblique o laterali a seconda dell’ampiezza angolare), il criterio da accogliersi – come da consolidata giurisprudenza della stessa Suprema Corte – sarebbe il secondo (cfr. Cass. 3023/1962, 2236/1976, 2384/1970, 1854/1973, 2116/1976, 4523/1993, 2159/2002); nel caso in questione, sia a voler utilizzare il criterio topografico, sia a voler applicare quello utilizzato dalla giurisprudenza dominante (ovvero quello della posizione di “colui che guarda”), si evincerebbe che la veduta della ricorrente, ovvero il balcone, sarebbe posta ad un angolo di visuale inferiore a 90′ rispetto alle opere in corso di realizzazione nella proprietà dei controinteressati, per cui, essendo la stessa indubbiamente di natura diretta, ne deriverebbe l’obbligo per i controinteressati di rispettare le distanze.

Contestualmente, la ricorrente ha anche insistito per la condanna dell’amministrazione e dei controinteressati, ciascuno per quanto di propria competenza, al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento dei danni susseguenti alla realizzazione delle opere de quibus, nella somma indicata nella consulenza di parte, o in quella diversa somma che si dovesse accertare o ritenere di giustizia.

In particolare, quanto al chiesto risarcimento, ha sostenuto che: le opere oggetto di contestazione presentano diversi profili di illegittimità e ciò con particolare riferimento alla normativa posta in materia di distanze; l’ampliamento del vano cucina, rappresenterebbe una nuova costruzione, comportante aumento di cubatura, e sarebbe posto ad una distanza dalla proprietà della ricorrente inferiore a quella prescritta dal Regolamento Edilizio, dal Piano Regolatore e dal Codice Civile, con susseguente diritto della ricorrente al ripristino dello stato dei luoghi e più in generale al risarcimento dei danni subiti; in merito al risarcimento del danno e all’onere probatorio, la Suprema Corte avrebbe avuto modo di chiarire che al proprietario confinante, lamentante la violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, competerebbe sia la tutela in forma specifica (finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito), sia quella risarcitoria in termini di danni subiti; il danno subito andrebbe inteso come danno conseguenza e non come danno evento, essendo l’effetto certo ed indiscutibile dell’abusiva impostazione di una servitù nel proprio fondo, e quindi della limitazione del relativo godimento, traducentesi in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima da ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria. (Cassazione Civile, sez. Il, sentenza 22/07/2014 n° 16687); quanto allo specifico danno subito dalla ricorrente, sarebbe evidente che le opere assentire causano la lesione del c.d. “diritto al panorama”, la cui tutela, di matrice prevalentemente pretoria, come ribadito costantemente dal Consiglio di Stato, viene ricondotta nell’ambito delle norme del Codice Civile inerenti alle distanze, alle luci ed alle vedute (artt. 900 – 907 c.c.); in particolare, in tema di diritto al panorama, la Corte di Cassazione avrebbe avuto modo di chiarire che si è in presenza di una “servitù altius non tollendi”, nella quale l’utilitas sarebbe rappresentata dalla particolare amenità di cui il fondo dominante verrebbe ad essere dotato per il fatto che essa attribuisca ai suoi proprietari il godimento di una particolare visuale (esclusa essendo, perciò, la facoltà del proprietario del fondo servente di alzare costruzioni o alberature – quand’anche per altri versi consentite – atte a pregiudicare o limitare tale visuale); la servitù in questione sarebbe una servitù negativa, conferendo al suo titolare, non la facoltà di compiere attività o di porre in essere interferenze sul fondo servente, ma di vietare al proprietario di quest’ultimo un particolare e determinato uso del fondo stesso” (Consiglio di Stato sentenza n. 362/2015 – Corte Cass., sez. II, 20 ottobre 1997, n. 10250); poiché, dunque, il panorama costituirebbe un valore aggiunto ad un immobile, suscettibile di incrementarne la quotazione di mercato, e corrisponderebbe ad un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, la sua lesione, derivante da costruzione illegittima di un fabbricato vicino, determinerebbe un danno ingiusto da risarcire; infatti “il pregiudizio consistente nella diminuzione o esclusione del panorama goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, secondo determinati standard edilizi a norma dell’art. 872 c.c., costituisce un danno ingiusto, come tale risarcibile la cui prova va offerta in base al rapporto tra il pregio che al panorama goduto riconosce il mercato ed il deprezzamento commerciale dell’immobile susseguente al venir meno o al ridursi di tale requisito” (Consiglio di Stato sentenza n. 362/2015 – Corte Cass., sez. Il, 18 aprile 1996, n. 3679); le opere realizzate dai controinteressati, violando gli obblighi in materia di distanze, avrebbero realizzato danni a carico della ricorrente, in quanto l’immobile di quest’ultima avrebbe subito certamente un deprezzamento del proprio valore; circa la quantificazione del danno, la giurisprudenza avrebbe configurato, come termini di paragone, il pregio per il panorama di cui gode l’appartamento e che è riconosciuto dal mercato immobiliare, ed il deprezzamento commerciale dell’immobile susseguente al venir meno della panoramicità (cfr. Corte Cass. n. 3679/1996); nella consulenza di parte sarebbe fatto riferimento, sia alla violazione delle distanze, sia al pregiudizio susseguente la modifica della facciata.

Si sono costituiti sia il Comune di (omissis) che i controinteressati (rispettivamente il 2 aprile e il 6 aprile 2016), contestando l’ammissibilità, la procedibilità, e, comunque, la fondatezza del ricorso.

In data 27 aprile 2016 la ricorrente ha depositato una memoria con allegata documentazione.

Anche le parti intimate hanno depositato, ognuna, una memoria con documentazione in data 30 aprile 2016.

Il Comune di (omissis) ha prodotto ulteriori documenti in data 4 maggio 2016.

Con ordinanza n. 696/2016 del 5 maggio 2016, questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare avanzata da parte ricorrente, disponendo che lo stato dei luoghi rimanesse inalterato nelle more della definizione del merito del giudizio.

In data 28 settembre 2016 parte ricorrente ha depositato una ulteriore memoria e documentazione.

Alla pubblica udienza del 19 ottobre 2016, sull’opposizione del difensore della ricorrente all’utilizzo di quanto depositato dai controinteressati in data 28 settembre 2016 (per tardività), la causa è stata infine trattenuta in decisione.

DIRITTO

Oggetto della domanda demolitoria esperita nel presente giudizio, è il provvedimento n. 24/2015 del Comune di (omissis), con cui è stato rilasciato in data 30.10.2015, in favore dei coniugi Mo. An. e Ru. Or., il permesso di costruire in sanatoria per una serie di opere da costoro in precedenza realizzate senza titolo (un ampliamento del vano cucina, una scala esterna e un locale deposito) nell’ambito di un loro immobile ubicato in località (omissis) – via (omissis) di detto Comune, nonché l’assenso alla realizzazione ex novo, sempre ivi, di una parete in vetrocemento e di una barriera con vetrata opaca poste sul confine tra la loro proprietà e quella della ricorrente (il tutto in conformità al progetto nell’occasione presentato).

Preliminarmente, va rilevato che la ricorrente Ro. Ma. risulta titolare di idoneo interesse al presente ricorso, avendo documentato di essere proprietaria dell’appartamento adiacente a quello interessato dalle opere assentite con il citato permesso di costruire; e, altresì, che correttamente ella ha essenzialmente impugnato quest’ultimo, quale atto conclusivo del procedimento e per lei lesivo (indipendentemente da presupposti pareri o altri atti infraprocedimentali, privi di autonoma rilevanza esterna).

Va, peraltro, precisato che le proprietà dell’odierna ricorrente e dei controinteressati sono costituite da porzioni immobiliari singole, ancorché contigue, realizzate (in zona “C” del P.R.G., ricadente nella lottizzazione “(omissis)”) nell’ambito di un più ampio intervento edilizio, assentito con la concessione n. 72/87, rilasciata per “la costruzione di n. 4 villette unifamiliari con annesso locale uso commerciale. Blocco A” [manufatto descritto, nella relazione tecnica allegata all’istanza concessoria, come “una struttura omogenea (Blocco “A”) in cui sono inserite quattro unità abitative ed una unità ad uso commerciale. Le unità abitative, uguali tra di loro, sono poste ognuna su tre piani. Il piano seminterrato comprende il garage ed il locale deposito. Il primo piano comprende l’ingresso-soggiorno, la cucina, il bagno, ed il ripostiglio. Il primo piano, a cui si accede mediante una scala interna è composto dal disimpegno, tre vani letto ed il bagno”].

Quale antefatto, va chiarito che, poiché all’esito del sopralluogo effettuato in data 12.9.2015 dal responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale congiuntamente con un agente di polizia municipale, era stata riscontrata nella suddetta proprietà dei coniugi Mo.-Ru. la realizzazione di opere abusive (in difformità dal permesso di costruire n. 34/2011, ai proprietari rilasciato onde assentire le seguenti opere: “realizzazione di una pensilina in legno lamellare di ml. 7,20 x 1,40 di larghezza a copertura del balcone sottostante; ampliamento del balcone sottostante che da ml. 3,40 passa a ml. 4,60, lasciando invariata la larghezza pari a ml. 1,20 con costruzione di spallette laterali di circa ml. 1,00”), gli odierni controinteressati hanno presentato l’istanza prot. n. 4633 dell’8.10.2015, finalizzata “al rilascio del permesso di costruire in sanatoria” appunto delle opere riscontrate come abusive (in domanda indicate come “ampliamento del vano cucina, scala esterna, locale deposito”), nonché per “opere a farsi” (queste ultime descritte, nell’allegato “progetto di sanatoria”, come “realizzazione di una barriera con vetrata opaca ed una parete in vetrocemento posta sul lato della scala esterna realizzata sul confine della proprietà (omissis), al fine di rispettare il codice civile in materia di vedute”).

Orbene, atteso che quelle di cui si discute sono abitazioni cd. “a schiera”, in cui le diverse proprietà appaiono non suddivise per piano o parti di piano, bensì per porzioni attribuite “orizzontalmente” in proprietà, il primo nodo da sciogliere, in diritto, è quello circa la natura condominiale (secondo la tesi della ricorrente (omissis)) o meno (visto che i controinteressati e il Comune di (omissis) sostengono che, nella specie, si tratterebbe di edifici singoli e del tutto autonomi, poiché meramente realizzati in aderenza l’uno all’altro) del fabbricato interessato dai lavori assentiti con il permesso di costruire in contestazione; e – in caso positivo – il secondo punto da affrontare è quello riguardante i riflessi della situazione di condominialità sul procedimento di rilascio del titolo edilizio.

In proposito, va osservato che già con la miliare sentenza n. 8060 del 18.4.2005, la Corte di Cassazione aveva affermato che “In considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell’edificio elencate in via esemplificativa – se il contrario non risulta dal titolo – dall’art. 1117 c.c. alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso, la nozione di condominio in senso proprio è configurabile non solo nell’ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale ma anche nel caso di costruzioni adiacenti orizzontalmente (come in particolare le c.d. «case a schiera»), in quanto siano dotate delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117 c.c.; peraltro, anche quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, non può essere esclusa la condominialità neppure per un insieme di edifici indipendenti, giacché, secondo quanto si desume dagli art. 61 e 62 disp. att. c.c. – che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi – è possibile la costituzione ab origine di un condominio tra fabbricati a sé stanti, aventi in comune solo alcuni elementi, o locali, o servizi o impianti condominiali; dunque, per i complessi immobiliari, che comprendono più edifici, seppure autonomi, è rimessa all’autonomia privata la scelta se dare luogo alla formazione di un unico condominio, oppure di distinti condomini per ogni fabbricato, cui si affianca in tal caso la figura di elaborazione giurisprudenziale del supercondominio, al quale sono applicabili le norme relative al condominio in relazione alle parti comuni, di cui all’art. 1117 c.c., come ad esempio le portinerie, le reti viarie interne, gli impianti dei servizi idraulici o energetici dei complessi residenziali, mentre restano soggette alla disciplina della comunione ordinaria le altre eventuali strutture, che sono invece dotate di una propria autonomia, come, per esempio, le attrezzature sportive, gli spazi d’intrattenimento, i locali di centri commerciali inclusi nel comprensorio comune”; ma che poi il legislatore ha codificato tali principi nell’art. 1117 bis cod. civ. (introdotto dall’art. 2 co. 1 L. 22072012), per il quale le disposizioni del Libro Terzo, Titolo VII, Capo II del cod. civ. (“del Condominio negli edifici”) “si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo 1117”.

Occorre, allora, verificare in concreto se sussistano parti comuni che leghino in modo essenziale le proprietà in commento.

Significativa sul punto è, in primo luogo, la descrizione dell’immobile a costruirsi fatta nella relazione tecnica allegata all’istanza che ha poi portato al rilascio dell’originaria concessione edilizia n. 72/87, ovvero di “una struttura omogenea(Blocco “A”)in cui sono inserite quattro unità abitative ed una unità ad uso commerciale. Le unità abitative, uguali tra di loro, sono poste ognuna su tre piani.”, evidenziante come nella specie fosse prevista non la costruzione di immobili autonomi in aderenza tra loro, bensì di un unico corpo di fabbrica suddiviso in senso orizzontale in proprietà distinte, quindi con uniche fondazioni, mura, tetto, facciata, etc. (in particolare, che si sia trattato di un fabbricato unico è anche dimostrato dalla euritmia della facciata, icto oculi evincibile dall’esame delle foto versate in atti, nonché sottolineata dall’ing. Gi. Ca., consulente di parte ricorrente).

Ulteriori elementi deponenti nel senso della sussistenza di una situazione di condominio sono poi desumibili dagli atti di acquisto delle porzioni immobiliari delle quali qui si discute, tanto da parte della ricorrente, quanto dei controinteressati.

In particolare, nell’atto per notar Cl. Cu. rep. n. 45.708, racc. n. 13558 del 4 marzo 2015, si legge, all’art. 1) che Ro. Ma. acquista da tale Ia. Da. <la piena ed esclusiva proprietà delle seguenti porzioni del fabbricato “Blocco A” facente parte del complesso edilizio denominato Lottizzazione (omissis) sito in (omissis) (CE) alla località (omissis), via Baia o via (omissis): appartamento int. n. 3 con annesse due aree scoperte (l’una antistante e l’altra retrostante), composto di sei vani e mezzo catastali dislocati tra i piani terra e primo, con pertinenziale autorimessa al piano seminterrato. >; e all’art. 5) che “I descritti immobili vengono venduti nello stato di fatto in cui attualmente si trovano, con tutti gli inerenti diritti, ragioni ed azioni accessioni e pertinenze, oneri e servitù attive e passive di qualsiasi specie, e, in particolare, con i proporzionali diritti di comproprietà a parte dell’area scoperta circostante il fabbricato; tale porzione di corte è individuata tra i beni comuni non censibili con la p.lla 266 sub 1 nell’elaborato planimetrico presente in catasto”.

Nell’atto per notar It. Gi. rep. n. 17308, racc. n. 7166, altresì si legge, all’art. 1) che i coniugi Mo. An. e Ru. Or. acquistano dai coniugi To. An. e Bu. Lj. ” la piena proprietà delle seguenti unità immobiliari facenti parte del fabbricato in (omissis), via (omissis), e precisamente: casa di abitazione composta di balcone, cucina, bagno, antibagno, ripostiglio, ingresso-soggiorno, terrazzino al piano terra e di tre camere da letto, disimpegno, bagno e terrazzino al primo piano, con annesso giardino retrostante di metri quadrati quindici circa ed annesso giardino antistante di metri quadrati trentacinque circa, confinante con Via (omissis), con Ca. Le. e con i venditori,……vano garage con accesso privato al piano seminterrato, confinante con via, con Ca. Le. e con i venditori,….”; e all’art. 2) che “La vendita concerne gli immobili a corpo e comprensivamente ad ogni accessorio, accessione, dipendenza, pertinenza, servitù, azione e ragione, ivi compresa una proporzionale quota di diritti comuni e/o condominiali, tali definiti dalla legge e riscontrabili nello stato dei luoghi. Si precisa che tra i beni comuni vi è l’area di accesso identificata con la p.lla (omissis) sub (omissis) del Foglio (omissis) (bene comune non censibile).”.

In definitiva, visto l’inserimento delle 4 abitazioni singole in un unico “contenitore” (Blocco “A”) avente i medesimi muri perimetrali, una copertura unica e un’unica facciata (caratterizzata da elementi euritmici), nonché presentante un unico viale di accesso ai garage, deve concludersi indiscutibilmente per la sussistenza di un condominio cd. “orizzontale”

A questo punto, va detto che, premesso che in giurisprudenza (cfr. TAR Campania-Salerno n. 210 del 28.1.2013; TAR Campania-Napoli n. 366 del 31.7.2012) è stato precisato che “se normalmente l’Amministrazione non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un condomino, al contrario, qualora uno o più degli altri condomini si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il Comune deve verificare se l’istante abbia l’effettiva disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio; in altri termini il Comune verifica il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto.”, nel caso in questione, atteso l’inserimento dell’immobile interessato dalla richiesta di permesso di costruire in un chiaro contesto condominiale, nonché atteso l’evidente dissenso dell’odierna ricorrente all’effettuazione da parte dei controinteressati di opere incidenti su parti condominiali (come desumibile già dalla richiesta di intervento fatta al Comune di (omissis) con nota dell’1.9.2015), il Comune avrebbe dovuto procedere ad una adeguata istruttoria circa la legittimazione dei richiedenti il titolo edilizio (avrebbe, cioè, dovuto accertare l’esistenza del consenso di tutti i condomini all’intervento – cfr. Cons. di Stato sez. IV, n. 3722 del 26.6.2012; Cons. di Stato sez. IV, n. 1566 del 10.3.2011). Tanto però non è avvenuto, essendo stata assentita senza il necessario consenso di tutti i condomini – per alcune opere in via postuma, e per altre in via preventiva – l’effettuazione di lavori comportanti una rilevante alterazione della facciata dell’edificio condominiale, ovvero della linea armonica del fabbricato, ancorché estremamente semplice, mediante chiusura di un preesistente balcone, realizzazione di una nuova scala d’accesso e di un locale deposito, nonché mediante l’inserimento di ulteriori elementi di disturbo (costituiti da una parete in vetrocemento e di una barriera con vetrata opaca, poste sul confine tra la proprietà della ricorrente e quella dei controinteressati, e inserite ortogonalmente appunto sulla facciata stessa): ma, allora, l’azione amministrativa si è esplicata illegittimamente, in quanto in giurisprudenza è stato chiarito che il “decoro architettonico” delle facciate costituisce bene comune dell’edificio e che pertanto ogni lavoro che su di esso sensibilmente incide, necessita dell’assenso dell’assemblea dei condomini, a prescindere dal giudizio sul risultato estetico dei lavori progettati (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n. 3772 del 26.6.2012; Cass. II, 30/8/2004, n. 17398; TAR Campania-Napoli n. 4131 del 23.7.2014; TAR Liguria n. 192 del 25.1.2010; TAR Liguria n. 916 del 17.6.2005).

Altro profilo di illegittimità per difetto di istruttoria del permesso di costruire in questione, è poi legato alla mancata valutazione da parte del Comune di (omissis) degli aspetti relativi alla realizzazione delle nuove opere in violazione delle distanze e della preesistente veduta posseduta dall’odierna ricorrente.

Va precisato che la giurisprudenza, con più pronunzie rese sul tema suddetto, ha fornito coordinate giuridiche utilizzabili nell’occasione, quali:

– “In tema di condominio degli edifici, la disciplina sulle distanze di cui all’art. 889 cod. civ., non si applica in caso di opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che, in tal caso, l’intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, operazioni che determinano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 cod. civ.) e l’insorgere del condominio, e, dall’altro lato, la costituzione, in deroga (od in contrasto) al regime legale delle distanze, di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, in base a uno schema assimilabile a quello dell’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia.” (Cass. Civ. n. 6923 del 7.4.2015);

– “Le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà continue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale.” (Cass. Civ. n. 10852 del 16.5.2014; Cass. Civ. n. 14822 del 30.6.2014; Cass. Civ. n. 4936 del 3.3.2014);

– “Le norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti tra condomini di un edificio in quanto l’art. 1102 c.c., non deroga al disposto dell’art. 907 c.c., per cui la veranda realizzata a distanza di un metro dal balcone dell’appartamento sovrastante è illegittima, mentre la trasformazione del proprio balcone in veranda, elevata sino alla soglia del balcone sovrastante non è soggetta al rispetto delle predette distanze legali purché il manufatto insista esattamente nell’area del balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del balcone sovrastante, giacché l’art. 907 cit. non attribuisce a quest’ultimo la possibilità di esercitare dalla soletta o dal parapetto del suo balcone una inspectio o prospectio obliqua verso il basso e contemporaneamente verso l’interno della sottostante proprietà.” (Cass. Civ. n. 15186 dell’11.7.2011);

– “Le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale.” (Cass. Civ. n. 6546 del 18.3.2010);

– “In tema di condominio le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti dall’art. 1102 c.c. (applicabile al condominio per il richiamo di cui all’art. 1139 c.c.), atteso che, in considerazione del rapporto strumentale fra l’uso del bene comune e la proprietà esclusiva, non sembra ragionevole individuare, nell’utilizzazione delle parti comuni, limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione.” (Cass. Civ. n. 7044 del 14.4.2004);

– “Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio condominiale quando siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè quando l’applicazione di quest’ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto prevalgono le norme sulle cose comuni con la conseguente inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che nel condominio degli edifici e nei rapporti fra singolo condomino e condominio, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime.” (Cass. Civ. n. 8978 del 5.6.2003).

Sulla scorta degli esposti arresti, risulta allora decisiva la circostanza che le opere assentite con il permesso di costruire n. 24/2015, pur a voler prescindere dalla esposta loro incidenza sul decoro architettonico della facciata, risultano realizzate su area in proprietà esclusiva dei controinteressati, per cui – comunque – per esse avrebbe dovuto esservi il rispetto delle distanze imposte normativamente, rispetto alla limitrofa proprietà esclusiva della odierna ricorrente, nonché rispetto alla veduta diretta di cui costei ha dimostrato di essere titolare dal proprio balcone: anche in questo caso, però, il Comune di (omissis) ha del tutto obliterato ogni valutazione in proposito, in tal modo incorrendo nel denunciato vizio di difetto di istruttoria.

Può dichiararsi, invece, assorbita l’ulteriore censura incentrata sull’asserita violazione della L. Reg. Campania 19/2009, atteso anche che la stessa ha riferimento ad una sola delle opere contestate, ovvero l’ampliamento del vano cucina (nella presentata relazione tecnica, solo tale ampliamento, effettuato “mediante chiusura del terrazzino coperto di pertinenza della cucina, con demolizione del muro che prima la cucina dal terrazzino”, è stato indicato come assentibile “con l’aumento della volumetria esistente del 20% ai sensi della L.R. 19/2009 (Piano casa) art. 12”).

Pertanto, va annullato l’impugnato permesso di costruire n. 24/2015, rilasciato dal Comune di (omissis).

Rimane da esaminare la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente contestualmente a quella demolitoria, la quale tuttavia va disattesa sulla base di più considerazioni.

In primo luogo, va rilevato come parte ricorrente non abbia dato alcuna prova circa il concreto pregiudizio che, a suo dire, avrebbe subito in conseguenza dell’illegittima attività provvedimentale posta in essere dal Comune di (omissis), non potendo all’uopo essere sufficiente l’argomentazione secondo cui il danno sarebbe in re ipsa (per la cd. “perdita di panorama”), sia perché ella ha beneficiato in tempi estremamente rapidi (rispetto alle richieste da lei stessa formulate) della tutela cautelare (la quale ha bloccato l’esecuzione dei lavori, così presumibilmente impedendo il verificarsi di danni), sia perché eventuali pregiudizi potrebbero essersi sostanziati per una limitata durata temporale, e – comunque – non appaiono apprezzabili in relazione alla concreta situazione dei luoghi (caratterizzata dalla insussistenza di un panorama particolarmente gradevole).

In secondo luogo, poi, la (omissis) neppure ha fornito prova della ravvisabilità nella fattispecie di una specifica colpa dell’Amministrazione, ulteriore rispetto alla sopra evidenziata illegittimità del permesso di costruire n. 24/2015, necessaria per fondare una richiesta di risarcimento danni da lesione di interesse legittimo: anzi, in contrario va messo in luce che una colpa del genere va escludibile proprio in dipendenza della peculiare situazione di cd. “condominio orizzontale” enucleata nella specie (non facilmente individuabile, anche quanto alle sue conseguenze).

Le spese di giudizio, stante il non completo accoglimento del ricorso, vengono compensate per ¼, mentre i rimanenti ¾ vanno posti a carico dei soccombenti, in parti uguali tra loro, con liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava) definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, proposto da Ro. Ma., così provvede:

1) in accoglimento della proposta domanda demolitoria annulla il permesso di costruire n. 24/2015 rilasciato dal Comune di (omissis);

2) respinge la domanda risarcitoria avanzata contestualmente dalla ricorrente;

3) compensa le spese di giudizio tra le parti costituite nella misura di ¼, e condanna il Comune di (omissis) e i controinteressati, in parti uguali, alla rifusione in favore della ricorrente dei residui ¾, che liquida in complessivi euro 3000,00, oltre accessori di legge, e oltre al rimborso del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Italo Caso – Presidente

Michelangelo Maria Liguori – Consigliere, Estensore

Rosalba Giansante – Primo Referendario

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