In materia di condominio negli edifici, le nozioni di aspetto architettonico ex art. 1127 c.c. e di decoro architettonico ex art. 1120 c.c., pur differenti, sono strettamente complementari e non possono prescindere l’una dall’altra, sicché anche l’intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista.

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COMUNIONE DEI DIRITTI REALI – CONDOMINIO NEGLI EDIFICI – SOPRAELEVAZIONE – LIMITI – Aspetto architettonico dell’edificio – Decoro architettonico – Complementarità – Conseguenze.

Corte di Cassazione, Sezione 6 civile
Ordinanza 25 agosto 2016, n. 17350

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26253/2013 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1561/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO del 21/09/2012, depositata il 01/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega avvocato (OMISSIS)) difensore della ricorrente che si riporta agli scritti.

CONSIDERATO IN FATTO

Con atto di citazione notificato l’11 gennaio 2006, (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di proprietari di due unita’ immobiliari poste al primo piano del Condominio di via (OMISSIS), convenivano in giudizio (OMISSIS), proprietaria di un appartamento posto al medesimo piano, al fine di ottenere la rimozione di una tettoia di copertura realizzata, a detta degli attori, in violazione dell’articolo 5, del regolamento di condominio e degli articoli 1120 e 1122 c.c..

Il Tribunale di Torino, nella resistenza della convenuta, rigettava le domande attoree con la sentenza n. 3759 del 2010, depositata l’1 giugno 2010, avverso la quale interponevano gravame la (OMISSIS) e il (OMISSIS).

Con sentenza n. 1561 del 2012, depositata l’1 ottobre 2012 e non notificata, la Corte di Appello di Torino, nella resistenza della controparte, accoglieva l’impugnazione, disponendo la rimozione dell’opera contestata e il ripristino dello status quo ante.

(OMISSIS), con ricorso notificato il 14 novembre 2013, ha domandato la cassazione della sentenza di appello, articolando tre motivi.

Con il primo motivo ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 116 e 132 c.p.c..

Con il secondo motivo ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., e articolo 1120 c.c., nonche’ l’errata interpretazione del regolamento di condominio.

Con l’ultimo motivo ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli articoli 1120, 1127 e 1369 c.c..

(OMISSIS) ed (OMISSIS) non hanno svolto difese in sede di legittimita’.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’articolo 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’articolo 380 bis c.p.c., proponendo la reiezione del ricorso.

In prossimita’ dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex articolo 380 bis c.p.c., che di seguito si riporta: “Con il primo mezzo d’impugnazione, nel dedurre la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 116 e 132 c.p.c., l’odierna ricorrente contesta l’interpretazione delle risultanze probatorie resa dal giudice de quo, asserendo che quest’ultimo sarebbe incorso in un errore di fatto, relativo all’individuazione dell’appartamento cui il terrazzo e’ annesso, si dente ad alterare la valutazione circa le dimensioni effettive dell’opera contestata. A detta della ricorrente, inoltre, il giudice sarebbe giunto a conclusioni incompatibili con l’evidenza delle prove circa i connotati strutturali della tettoia, ritenendo che essa sia stata costruita utilizzando i muri condominiali e poi murata attraverso l’apposizione di pannelli in materiale traslucido, assumendo caratteri strutturali di stabilita’ e inamovibilita’, in incremento del volume della porzione chiusa del primo piano.

Tali deduzioni non appaiono suscettibili di accoglimento, in quanto esse propongono questioni inammissibili in sede di legittimita’, perche’ relative a errori di stampo revocatorio, come la prima, e comunque inerenti all’accertamento di circostanze di fatto riservate al libero apprezzamento del giudice di merito.

Con gli ulteriori due motivi d’impugnazione, da valutarsi congiuntamente data la loro stretta connessione, la ricorrente deduce che il giudice de quo sarebbe incorso in vizio di ultrapetizione, ampliando l’oggetto della domanda originaria degli appellanti, relativa a una violazione degli articoli 2 e 5 del regolamento condominiale, al profilo della compatibilita’ dell’opera contestata rispetto all’aspetto architettonico dell’edificio, a detta della ricorrente coperto da giudicato interno, concernendo i motivi di appello unicamente un’asserita violazione del decoro dell’immobile. A tal proposito, oggetto del ricorso e’ anche la corretta interpretazione del concetto di aspetto architettonico contenuto nell’articolo 5 del regolamento condominiale, il quale e’ stato interpretato dal giudice di merito espandendo la portata del divieto convenzionale di innovazioni ivi contenuta a tutte le opere idonee ad alterare l’aspetto generale dell’edificio in se’ e per se’ considerato, a prescindere da valutazioni concernenti il diverso parametro del rispetto del decoro architettonico dell’immobile. A detta della ricorrente, invece, la norma condominiale imporrebbe, in conformita’ agli orientamenti ermeneutici di questa Corte, una serie di valutazioni analoghe a quelle disposte dall’articolo 1120 c.c., essendo i due concetti dell’aspetto e del decoro architettonico tra se’ profondamente affini, se non l’un l’altro imprescindibili, seppur diversi.

Premesso che nel caso di specie non sembra potersi ritenere integrato un vizio di ultrapetizione – non avendo il giudice alterato gli elementi obiettivi di identificazione della domanda, ma piuttosto interpretato semplicemente quest’ultima ricomprendendovi questioni proposte tacitamente, perche’ strettamente connesse all’interpretazione dell’articolo 5 del regolamento condominiale (v. Cass., sez. 3, n. 22595 del 2009) – occorre rilevare l’infondatezza delle descritte censure tanto sul piano dell’asserita errata interpretazione delle norme, quanto sul piano di un eventuale vizio di motivazione.

Il giudice d’appello, riconosciuta la possibilita’ della fonte convenzionale di incidere in senso restrittivo sui parametri di cui all’articolo 1120 c.c. (Cass., sez. 2, n. 1748 del 2013), ha proceduto a un’interpretazione sistematica del concetto di “aspetto architettonico”, giungendo a delle conclusioni che, pur fondate su una ricostruzione della nozione non del tutto condivisibile, appaiono comunque allineate rispetto agli indirizzi prevalenti della giurisprudenza di legittimita’.

Questa Code ha ben definito i due parametri del decoro e dell’arto architettonico, sottolineandone le numerose differenze e affinita’ concettuali mentre la nozione dell’aspetto, contenuta nell’articolo 1127 c.c., relativo alla facolta’ dei condomini di costruire in sopraelevazione, coinvolge una serie di valutazioni connesse alla compatibilita’ con lo stile architettonico dell’edificio (Cass., sez. 2, n. 1025 del 2004), diversamente il decoro dell’immobile, come richiamato dall’articolo 1120 c.c., si esprime nell’omogeneita’ delle linee e delle strutture architettoniche, ossia nell’armonia estetica (Cass., sez. 2, n. 10350 del 2011).

Le due nozioni, a luce meridiana, vivono un rapporto di stretta complementarieta’, tale da escludere uno iato netto tra le due, le quali appaiono anzi l’un l’altra imprescindibili, risolvendosi la valutazione di continuita’ stilistica in una verifica del rispetto delle direttive architettoniche impresse dal progettista (Cass., sez. 2, n. 10048 del 2013).

Il giudice d’appello, pur ricostruendo i rapporti tra i due criteri nei termini di una ben piu’ rigida incomunicabilita’, riconoscendo nel riferimento all’aspetto architettonico un vincolo di immodificabilita’ in toto del fabbricato condominiale, ha poi posto alla base della propria decisione parametri ben piu’ ampi rispetto alla alterazione qualsiasi dell’aspetto del condominio, cioe’ della pur minima variazione dello stesso, rilevando come la realizzazione della tettoia contestata, dati i materiali utilizzati (copertura in coppi e pannelli traslucidi blu/violetto a chiusura), i suoi caratteri strumentali di stabilita’ e inamovibilita’, nonche’ le sue dimensioni notevoli e la sua incidenza sul volume del fabbricato, abbia realizzato una significativa alterazione dell’aspetto architettonico dell’edificio con conseguente violazione del’articolo 5 del regolamento condominiale (v. sentenza impugnata pag. 9).

A tal proposito, il giudice distrettuale ha ancor meglio precisato che, a prescindere dall’applicabilita’ o meno dei principi dettati dalla giurisprudenza per il decoro, l’opera realizzata e’ venuta a modificare illegittimamente l’aspetto architettonico dell’edificio, non solo tenendo conto del suo aspetto originario, ma anche alla luce delle modifiche apportate nel corso degli anni ed emerse nella consulenza tecnica d’ufficio (v. pag. 10).

Se ne puo’ dedurre anche l’insussistenza dell’asserito vizio di motivazione, da valutarsi in base alla nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato dal Supremo consesso nomofilattico con la sentenza n. 19881 del 2014, non potendosi rilevare alcun vizio sul piano dell’esistenza e della coerenza logica dell’impianto argomentativo della sentenza.

In definitiva, sembrano sussistere i presupposti perche’ si proceda in camera di consiglio ai sensi del combinato disposto degli articoli 375 e 380 bis c.p.c., per ivi rilevare l’inammissibilita’ del primo motivo d’implicazione e l’infondatezza del terzo e del secondo”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio e le critiche formulate dai ricorrenti nella memoria illustrativa non hanno alcuna incidenza su dette conclusioni, giacche’ ribadiscono difese che per le ragioni sopra esposte – sono state superate dalle argomentazioni predette e non rappresentano alcuna lacuna motivazionale, non apportando alcun ulteriore elemento di valutazione, e conseguentemente il ricorso va respinto.

Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo gli intimati svolto difese. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, la Corte e’ tenuta a dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

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