In tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, l’art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998 disciplina la nullità del patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente. La norma statuisce, testualmente, la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore rispetto a quella risultante dal contratto scritto e registrato, al di là ed a prescindere da qualsivoglia elemento esterno all’atto. Dunque qualsiasi successiva pretesa di aumento del canone sarebbe facilmente paralizzata, in caso di controversia, dalla semplice eccezione di adempimento dell’obbligo contrattuale risultante dal canone fittiziamente convenuto e indicato nel contratto registrato.

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Locazione immobiliare ad uso abitativo – Locazione di immobili ad uso abitativo – Patto occulto di maggiorazione del canone – Nullità – Validità del contratto registrato – Debenza del anone apparente

CORTE DI APPELLO DI POTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Potenza, Sezione Civile, nelle persone dei sigg. magistrati:

Dott. ETTORE LUIGI NESTI Presidente

Dott. CATALDO COLLAZZO Consigliere

Dott. MICHELE VIDETTA Consigliere estensore

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 322 del Ruolo Generale dell’anno 2015, avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n. 414/2014 emessa dal Tribunale di Matera in composizione monocratica il 26.5.2014 e pubblicata in pari data, e vertente tra

OS.MI., rappresentato e difeso dall’avv. Pa.Tu. presso il cui studio in Poliporo al Largo (…) elettivamente domicilia;

APPELLANTE

E

ZU.AL., rappresentato e difeso dall’avv. Do.Ra. ed elettivamente domiciliato in Potenza alla Piazza (…) presso lo studio dell’avv. Ros.De.;

APPELLATO

trattenuta in decisione all’udienza di discussione del 13.1.2016 sulle conclusioni rassegnate alla medesima udienza dalle parti costituite e riportate nel relativo verbale in atti, da intendersi qui integralmente richiamato e trascritto.

SVOLGIMENTO del PROCESSO

La vicenda processuale relativa al giudizio di primo grado risulta ricostruita nei seguenti termini nel corpo della sentenza fatta oggetto di gravame.

“Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. notificato in data 20.05.2009 il sig. Zu.Al. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Matera – Sez. distaccata di Pisticci il sig. Os.Mi. per ivi sentir accertare e dichiarare di aver corrisposto al resistente nel periodo novembre 2000 – settembre 2007 il canone di locazione in misura superiore a quella risultante nel contratto scritto registrato in data 09.11.2000 e, per l’effetto, condannare il sig. Os.Mi. alla restituzione della somma complessiva di Euro 8.573,90 oltre interessi legali dai singoli pagamenti al soddisfo, con condanna al pagamento di spese e competenze del giudizio.

Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 03.11.2009 si costituiva in giudizio il sig. Os.Mi. eccependo preliminarmente l’inapplicabilità dell’art. 13 L. n. 431/1998 alla fattispecie per carenza dei presupposti e, nel merito, richiedeva il rigetto della domanda di ripetizione dei canoni di locazione per infondatezza in fatto e diritto, con accoglimento della spiegata domanda riconvenzionale di condanna del ricorrente al pagamento della somma di Euro 10.795,40, a titolo risarcimento danni subiti, con vittoria di spese e competenze di lite.

La causa veniva istruita con deposito di documentazione, assunzione delle prove orali ed ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. impartito alla Ca.Ru. – filiale di Policoro, come disposto con ordinanza del 30.05.2011.

Successivamente all’udienza del 26.05.2014, dopo rituale discussione, la causa è stata decisa con lettura del provvedimento ex art. 429 c.p.c.”.

Con sentenza n. 414/2014 emessa il 26.5.2014 e pubblicata in pari data il Tribunale di Matera in composizione monocratica, in accoglimento della domanda avanzata, condannava il sig. Os.Mi. al pagamento, in favore del sig. Zu.Al., della somma complessiva di Euro 8.573,90, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, nonché al pagamento delle spese processuali.

Con ricorso depositato in data 7.7.2015 il sig. Os.Mi. proponeva appello avverso la suindicata sentenza deducendo, quali motivi di impugnazione, l’errata valutazione, ad opera del primo giudice, delle risultanze istruttorie acquisite, la contraddittorietà ed illogicità della decisione e l’errata applicazione di principi di diritto. Pertanto, chiedeva che la Corte di Appello di Potenza, previa sospensione dell’esecutorietà della sentenza impugnata, in riforma della sentenza medesima dichiarasse non dovuta la somma pretesa dalla controparte con il ricorso introduttivo e, comunque, inammissibile ed infondata la domanda azionata in primo grado, con conseguente condanna del sig. Zu.Al. alla restituzione di quanto ricevuto in esecuzione della pronuncia impugnata nonché al pagamento delle spese processuali relative al doppio grado di giudizio.

Emesso dal Presidente della Corte il decreto di fissazione dell’udienza di discussione ed instaurato il contraddittorio, con comparsa depositata in cancelleria il 26.10.2015 si costituiva nel presente giudizio di appello il sig. Zu.Al. il quale, in via preliminare, eccepiva l’inammissibilità del motivo di appello in quanto integrante violazione del divieto ex art. 437 co. 2 c.p.c. di introdurre nuove domande e nuove eccezioni nel giudizio di appello e, nel merito, contestava la fondatezza delle ragioni articolate a sostegno del proposto gravame, concludendo per la declaratoria di inammissibilità ovvero per il rigetto dell’appello con vittoria delle spese e competenze del giudizio.

Con ordinanza pronunciata all’udienza dell’11.11.2015 la Corte respingeva l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata come avanzata dalla parte appellante.

All’udienza del 13.1.2016, esaurita la discussione, la Corte tratteneva la causa in decisione, pronunciando all’esito della camera di consiglio la sentenza mediante lettura del dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello è infondato e non merita accoglimento.

Con un unico articolato motivo di impugnazione il sig. Os.Mi. ha lamentato che il giudice di prime cure, malamente valutando gli esiti dell’attività istruttoria ed omettendo di valorizzare i documenti prodotti dalla controparte e le dichiarazioni confessorie dalla stessa rese negli atti difensivi depositati in primo grado, sia pervenuto all’errata conclusione che la modifica della pattuizione del prezzo della locazione fosse intervenuta in corso di esecuzione del rapporto obbligatorio, con conseguente applicazione della sanzione di nullità prevista dall’art. 13 della legge n. 431/98. Ad avviso dell’appellante, invece, le emergenze processuali – segnatamente, le deposizioni rese dai testimoni e le difese svolte in primo grado da Zu.Al. – non varrebbero a riscontrare un presunto aumento del canone di locazione sopravvenuto dopo la stipulazione del contratto, quanto piuttosto la esistenza di un accordo tra le parti raggiunto contestualmente alla sottoscrizione del contratto di locazione ed avente ad oggetto la indicazione nell’atto negoziale di un canone inferiore ( Lire 300.000) rispetto a quello ( Lire 500.000) effettivamente corrisposto. Pertanto, ha sostenuto l’appellante che giammai il Tribunale di Matera avrebbe potuto riconoscere spazio operativo alla disposizione contemplata dall’art. 13 L. n. 431/98 che, come confermato da diverse pronunce della giurisprudenza di legittimità, sancisce la nullità della pattuizione di un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto di locazione registrato esclusivamente nell’ipotesi in cui detta pattuizione intervenga nel corso di svolgimento del rapporto di locazione.

Il motivo di gravame, come articolato, evidenzia insuperabili profili di inammissibilità prima ancora che di infondatezza.

Invero, le argomentazioni spese a sostegno dell’appello valgono a dare contezza di una sopravvenuta inammissibile modifica della prospettazione dei fatti operata dall’Os.Mi. nel presente grado di giudizio rispetto a quanto allegato dallo stesso appellante nel giudizio di primo grado. Le difese svolte nell’atto di impugnazione, infatti, paiono univocamente orientate a dare credito ad una vicenda di simulazione relativa posta in essere dalle parti contraenti in ordine alla misura del canone di locazione al momento della stipulazione del contratto: “… poiché Os.Mi. e Zu.Al., contestualmente alla sottoscrizione, hanno concordato di indicare nell’atto un canone inferiore (lire 300 mila) rispetto a quello realmente pagato (Lire 500 mila)…” (v. pag. 10 dell’atto di appello). Sennonché nella comparsa di costituzione depositata il 3.11.2009 nel giudizio di primo grado il sig. Os.Mi. ha articolato difese di segno contrario, assumendo che il canone di locazione dell’appartamento fosse stato dall’inizio pattuito in Lire 300.000 e che nel corso del rapporto, su richiesta del conduttore, a questi fosse stato concesso in locazione anche un ulteriore locale nel sottotetto dell’edificio al canone mensile di Lire 200.000, da aggiungersi al precedente, ed escludendo decisamente che tra i contraenti fosse mai stato concluso nessun accordo simulatorio (“Nel periodo marzo – aprile 2001, tuttavia, l’inquilino rappresentava la necessità di poter utilizzare, come deposito, anche i locali sottotetto dell’edificio e, in quella circostanza, poiché si erano evidenziate anche le difficoltà nella determinazione delle spese di manutenzione e condominiali, nonché di quelle relative all’acqua e al gas, le cui utenze erano intestate al locatore, le parti stabilivano il pagamento a carico di Zu. di altre Lire 200.000 (Euro 103,29) da imputare alla locazione del sottotetto e al pagamento delle predette spese, oltre che dell’energia elettrica del vano deposito. Dunque, è vero che da aprile 2001 e non prima, come invece affermato dal ricorrente, il sig. Zu. ha versato al sig. Os. complessivamente la somma mensile di Euro 258,23, ma la differenza di prezzo non scaturiva dalla maggiorazione del canone originariamente pattuito per la locazione dell’appartamento, ma veniva corrisposta per l’uso di un altro vano, oltre che per le spese e, dunque, per un titolo diverso e non contemplato nel contratto registrato del 9.11.2000 n. 1970 vol. 3”: v. pagg. 3 e 4 della comparsa di costituzione; “Dunque, nel caso di specie non vi è stata tra le parti alcuna simulazione sul prezzo dell’appartamento che è stato pattuito in Lire 300.000 ed è rimasto invariato sino a quando il conduttore ha richiesto l’uso del deposito del vano sottotetto, non compreso nel contratto originario e salvo ritornare a essere corrisposto nella medesima misura di Lire 300.000 (Euro 154,93) in seguito al rilascio del locale”: v. pag. 5 della comparsa di costituzione).

E’ evidente che il gravame come proposto tragga fondamento da una circostanza di fatto – l’esistenza di una concordata simulazione relativa riferita alla misura del canone di locazione dell’appartamento – non solo mai dedotta in primo grado da Os.Mi., né fatta oggetto di una specifica eccezione, ma addirittura espressamente negata dal locatore dinanzi al Tribunale di Matera. Ne discende l’assoluta inammissibilità del motivo di impugnazione in quanto ancorato, di fatto, ad un’eccezione di simulazione relativa del tutto nuova, mai sollevata tempestivamente in primo grado e, quindi, non formulabile per la prima volta in appello, ostandovi il divieto di cui all’art. 437 co. 2 c.p.c.

In ogni caso, il motivo di gravame è infondato.

Premesso che, contrariamente a quanto opinato dall’appellante, il giudice di prime cure nella sentenza impugnata non ha mai sostenuto che la modifica della pattuizione del prezzo della locazione fosse intervenuta in corso di esecuzione del rapporto obbligatorio, ma, anzi, che “dall’istruttoria espletata è emerso che il conduttore ha versato al locatore dall’inizio del rapporto ovvero da novembre 2000 al marzo 2001 la somma di Lire 500.000 mensili” (v. pag. 3 della sentenza di primo grado), giova rimarcare che la disposizione dettata dall’art.13 della legge n. 431/98 trova senz’altro applicazione nel caso in esame, pur concordandosi con parte appellante sul rilievo che le emergenze processuali valgono ad accreditare la tesi che tra le parti fosse stato concordato un canone (Lire 500.000) maggiore di quello indicato in contratto e che detta pattuizione della misura maggiore del canone sia stata contestuale alla stipulazione in data 9.11.2000 del contratto di locazione. Invero, come statuito da una recente pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ. sez. un., 17 settembre 2015 n. 18213), in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della l. n. 431 del 1998 sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente. Ha sostenuto, al riguardo, la Suprema Corte che il comma 1 dell’art. 13 non lascia spazio, sotto tale profilo, a dubbi interpretativi di sorta: è testualmente sancita la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quella risultante dal contratto scritto e registrato, al di là ed a prescindere da qualsivoglia elemento esterno all’atto (id est, la sua registrazione). Una diversa interpretazione – quella, cioè, predicativa della tutela soltanto ex post dell’invarianza del canone – si risolverebbe nella sostanziale vanificazione della duplice ratio sottesa alla disposizione in esame, volta, in via principale, a colpire in radice l’elusione fiscale, ma nel contempo intesa, sia pur in via subordinata, a tutelare la parte contrattualmente “debole” al momento della stipula del negozio – al momento in cui, cioè, al locatore è attribuito un potere contrattuale fortemente asimmetrico, che gli consente di pretendere e di imporre un canone maggiorato (e occultato) quale unica condizione per la concessione del godimento dell’immobile alla controparte, condizione cui il conduttore non potrebbe che sottostare se comunque interessato ad ottenere la disponibilità di quell’immobile. Il criterio della successiva invarianza del canone, difatti, risulta in larga misura irrilevante e sostanzialmente inutile agli indicati fini di tutela, atteso che qualsivoglia successiva pretesa di aumento dello stesso sarebbe facilmente paralizzata, in caso di controversia, dalla semplice eccezione di adempimento dell’obbligo contrattuale risultante dal canone fittiziamente convenuto e indicato nel contratto registrato.

Pertanto, ove anche si accedesse alla prospettazione operata ex novo dall’appellante nel presente grado di giudizio, dovrebbe comunque concludersi che correttamente il giudice di primo grado ha fatto applicazione nel caso di specie dell’art. 13 L. n. 431/98 e in base a tale norma ha accolto la domanda avanzata dal conduttore, Zu.Al. L’appello, dunque, va respinto con conseguente conferma integrale della sentenza impugnata.

Segue per legge la condanna dell’appellante, in quanto parte soccombente, al pagamento in favore dell’appellato delle spese processuali relative al presente grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13 co. 1 – quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 come introdotto dall’art. 1 co. 17 della Legge 24.12.2012 n. 228.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza n. 414/2014 emessa dal Tribunale di Matera in composizione monocratica il 26.5.2014 e pubblicata in pari data, proposto da Os.Mi. con ricorso depositato il 7.7.2015 nei confronti di Zu.Al., uditi i procuratori delle parti costituite, respinta ogni diversa istanza ed eccezione, così provvede:

– Rigetta l’appello proposto da Os.Mi. con ricorso depositato il 7.7.2015 e, per l’effetto, conferma la sentenza n. 414/2014 emessa dal Tribunale di Matera in composizione monocratica il 26.5.2014 e pubblicata in pari data;

– Condanna Os.Mi. al pagamento, in favore di Zu.Al., delle spese processuali relative al presente grado di giudizio che liquida nella complessiva somma di Euro 1.860,00 per compensi professionali, oltre IVA e CAP nella misura e sulle voci come per legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13 co. 1 – quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 come introdotto dall’art. 1 co.17 della Legge 24.12.2012 n. 228.

Così deciso in Potenza il 13 gennaio 2016.

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2016.

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