In materia di comunione legale deve ritenersi che la stessa riguardi solo gli acquisti tra i coniugi ovvero tutti quegli atti che implicano l’effettivo trasferimento della proprietà o la costituzione di diritti reali e non anche i diritti di credito che siano sorti da un contratto concluso da uno dei coniugi come nel caso del contratto preliminare di compravendita di un immobile che, tuttavia, sia stato stipulato da uno solo dei coniugi.

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Corte d’Appello L’Aquila, civile

Sentenza 20 gennaio 2015, n. 78

Comunione legale dei beni e diritto di credito – Comunione legale dei beni – Acquisti tra i coniugi – Effettivo trasferimento della proprietà – Costituzione di diritti reali – Escluso sui diritti di credito – Casistica del contratto concluso da uno solo dei coniugi

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA
La Corte, composta dagli Ill.mi Signori Magistrati:
Dott. Augusto Pace – Presidente –
Dott. Silvia Rita Fabrizio – Consigliere –
Dott. Giancarlo De Filippis – Consigliere rel. est. –
riunita in Camera di Consiglio ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 745/2012 R.G., posta in deliberazione decorso il 18/9/2014 il termine per il deposito delle memorie di replica e vertente
Tra
“ED. S.a.s.”, con sede in L’Aquila, elettivamente domiciliata in L’Aquila presso lo studio dell’Avv. Fr.Ba., che la rappresenta e difende in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione depositata il 17 settembre 2013.
Appellante
E
MA.RO. e MA.FA., elettivamente domiciliati in L’Aquila presso lo studio degli Avv. Gi.Le. e Ni.Le., che li rappresentano e difendono in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e di risposta in appello.
Appellati
Oggetto: Recesso da contratto preliminare di compravendita.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 5 marzo 2009, agendo in opposizione avverso il decreto ingiuntivo, notificato il 9 febbraio 2009, emesso il 2 febbraio 2009 dal Tribunale di L’Aquila, istanti Ro.Ma. e Fa.Ma., per il pagamento della somma di Euro 40.000,00, oltre interessi, in misura legale, dalla data della domanda al saldo e spese del procedimento monitorio, a titolo di rimborso del doppio della caparra confirmatoria versata in esecuzione del contratto preliminare 7 aprile 2008, citava innanzi al Tribunale di L’Aquila i ricorrenti, chiedendo dichiararsi il difetto di legittimazione attiva della Ma., la revoca del decreto, il rigetto della domanda proposta con il ricorso per ingiunzione e, in via riconvenzionale, accertarsi la legittimità del suo recesso dal contratto e del diritto di incamerare la caparra versata.
Contestata la lite, gli opposti si costituivano e chiedevano il rigetto dell’opposizione e della domanda riconvenzionale, con vittoria di spese del giudizio.
All’esito dell’istruzione, il Tribunale adito, con sentenza n. 615/2011, pubblicata il 13 settembre 2011, dichiarava l’esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto e compensava per intero tra le parti le spese del giudizio.
Avverso la sentenza, non notificata, con atto notificato il 14 giugno 2012 proponeva appello innanzi a questa Corte la S.a.s., chiedendo dichiararsi il difetto di legittimazione attiva della Ma., la revoca del decreto, il rigetto della domanda proposta con il ricorso per ingiunzione e, in via riconvenzionale, accertarsi la legittimità del suo recesso dal contratto e del diritto di incamerare la caparra versata, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
A fondamento dell’appello deduceva che:
1) l’opposizione non era improcedibile;
2) la Ma., che non aveva sottoscritto il contratto preliminare, non era legittimata a chiedere il doppio della caparra versata dal coniuge;
3) non sussistevano i presupposti per emettere il decreto ingiuntivo, poiché quella proposta era un’azione costitutiva e non di condanna;
4) il credito non era esigibile, poiché il termine previsto per la stipulazione del contratto definitivo non era essenziale;
5) non sussisteva un inadempimento imputabile alla S.a.s., poiché il bene promesso in vendita era stato oggetto di sequestro conservativo da parte di terzi e, ove fosse stata invitata a stipulare l’atto pubblico di compravendita, avrebbe procurato la liberazione del bene dalla trascrizione;
6) la domanda riconvenzionale era fondata, atteso che, ingiustificatamente proponendo il giudizio, il Ma. aveva manifestato la volontà di non eseguire il contratto, così giustificando l’incameramento della caparra da parte dell’appellante.
Gli appellati si costituivano e chiedevano il rigetto dell’appello, con vittoria di spese del giudizio.
Nel successivo corso del giudizio l’appellante si costituiva con un nuovo difensore e, precisate le conclusioni, la Corte, decorsi i termini concessi per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie illustrative di replica, si riservava la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Rileva la Corte che il primo motivo d’appello è fondato.
Infatti, va rilevato che le SS.UU. hanno affermato che l’opposizione a decreto ingiuntivo è improcedibile in caso di costituzione dell’opponente oltre il termine (di cinque giorni, ex art. 165, 1 co. c.p.c.) prescritto non solo quando l’ opponente assegni alla controparte il termine di comparizione ridotto alla metà (ex art. 645, 2 co. c.p.c.), ma anche quando gli assegni il termine ordinario, previsto dall’art. 163 bis c.p.c., o un termine maggiore, atteso il legame che l’art. 165, 1 co. c.p.c. stabilisce tra i termini di comparizione e quelli di costituzione dell’opponente, prevedendo l’art. 645, 2 co. c.p.c., in ogni caso, che i termini di comparizione siano ridotti alla metà, e l’art. 165, 1 co. c.p.c., quale automatica conseguenza dell’abbreviazione dei termini di comparizione, il dimezzamento del termine per la costituzione in giudizio dell’attore (Cass. Sez. Un. 9/9/2010, n. 19246).
La questione è stata, però, superata dall’entrata in vigore, nel corso del giudizio (il 20 gennaio 2012, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata), della legge di interpretazione autentica 29 dicembre 2011, n. 218, pubblicata in G.U. del 5 gennaio 2012, che, all’art. 2, ha stabilito che “…nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l’articolo 165, primo comma, del codice di procedura civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell’attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l’opponente abbia assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all’articolo 163 bis, primo comma, del medesimo codice…”.
Poiché, nella specie, parte opponente ha assegnato all’opposto l’intero termine di comparizione, la sua costituzione, avvenuta dopo il decorso del termine di cinque giorni, ma prima di quello di dieci giorni, deve ritenersi tempestiva.
Il secondo motivo d’appello è fondato.
Infatti, il contratto preliminare di compravendita (doc. n. 1 in fascicolo appellati) è stato stipulato, in data 7 aprile 2008, da Cl.Ta., socio accomandatario dell’appellante, e Ro.Ma., e reca soltanto le loro sottoscrizioni.
Fa.Ma. è stata solo menzionata nel contratto, a p. 1, dove si legge che il Ma. è “coniugato in regime di comunione legale de beni con la signora Ma.Fa.”.
Ma la comunione legale tra i coniugi riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l’ effettivo trasferimento della proprietà o la costituzione di diritti reali, non anche i diritti di credito sorti da un contratto concluso da uno solo dei coniugi, come quelli che sorgono da un contratto preliminare di compravendita stipulato da uno solo dei coniugi (Cass. 24/1/2008, n. 1548).
Correttamente, perciò, il Tribunale ha accolto il ricorso del solo Ma., ma la Ma., chiedendo la notificazione del decreto ingiuntivo e resistendo all’opposizione, sia in primo grado che in appello, ha sostenuto, infondatamente, di essere legittimata attivamente, chiedendo anche il pagamento delle spese del giudizio.
Ne consegue che le domande e le eccezioni proposte dalla Ma. devono essere dichiarate inammissibili.
Il terzo motivo d’appello è fondato, con conseguente assorbimento del quarto.
Infatti, il recesso disciplinato dall’art. 1385 c.c. costituisce uno strumento speciale di risoluzione del contratto, forfettizzando, nella misura, predeterminata, della caparra, il risarcimento del danno, ed è esercitabile attraverso una dichiarazione unilaterale
recettizia.
La domanda di risoluzione del contratto si pone come alternativa a quella di recesso (cfr. art. 1385, 3 co. c.c.).
Nella specie, prima di proporre il ricorso per ingiunzione, il Ma. non aveva ancora esercitato la facoltà di recedere dal contratto preliminare, atteso che, con lettera 10 dicembre 2008 (doc. n. 4 in fascicolo appellati) aveva manifestato la volontà di chiedere la risoluzione del contratto preliminare e di chiedere il risarcimento dei danni.
Deve ritenersi, quindi, che abbia esercitato la facoltà di recesso solo notificando il decreto ingiuntivo ottenuto, poiché nel ricorso aveva manifestato la volontà di recedere dal contratto, ai sensi dell’art. 1385, 2 co. c.c., e non già di chiederne la risoluzione, a norma dell’art. 1385, 3 co. c.c.
Ne consegue che il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato e che deve essere esaminata nel merito la fondatezza della domanda proposta dal Ma. con il ricorso per ingiunzione, instaurandosi, a seguito della proposizione dell’opposizione, un ordinario giudizio di cognizione, nel quale l’opposto ha veste di attore sostanziale.
Il quinto motivo d’appello è infondato.
L’esercizio della facoltà di recesso non è subordinato all’intimazione di una diffida ad adempiere, né alla scadenza di un termine essenziale, ma solo all’inadempimento della controparte.
Orbene, la clausola n. 5 del contratto preliminare prevedeva che la promittente venditrice garantisse la libertà dei beni (un appartamento ed un posto auto) promessi in vendita da “…trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli…”.
Con lettera 10 dicembre 2008 il Ma.,
rilevato che sui beni era stato trascritto un sequestro conservativo, ha chiesto la liberazione degli immobili prima del 31 dicembre 2008 e non risulta che la società abbia compiuto qualche atto volto ad adempiere le obbligazioni assunte con la clausola n. 5 del contratto preliminare o che abbia che solo risposto.
Ne consegue che deve ritenersi sussistente un grave inadempimento imputabile alla S.a.s., poiché il sequestro conservativo da parte di terzi, trascritto per un importo approssimativamente doppio del valore dei beni promessi in vendita, era suscettibile di privare il Ma., qualora avesse stipulato il contratto definitivo, della proprietà degli immobili (né vale sostenere che la trascrizione gravava anche su altri immobili, essendo il sequestrante, ove fosse stato vittorioso nel giudizio di merito, libero di chiedere la vendita di uno qualunque dei beni ed essendo, frattanto, la trascrizione pregiudizievole per la commerciabilità dei beni promessi in vendita).
Il sesto motivo d’appello è infondato, atteso che, per i motivi esposti, gravemente inadempiente deve essere considerata la S.a.s. e non già Ro.Ma., sicché è quest’ultimo che ha diritto al
doppio della caparra e non già la società a ritenere quella versata dal promissario acquirente.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere riformata, adottando le statuizioni specificate in dispositivo.
Le spese di tutti i gradi del giudizio seguono la soccombenza (non essendo il criterio della soccombenza frazionabile secondo l’esito delle varie fasi, ma dovendo essere considerato unitariamente l’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito per sé favorevole: cfr. Cass. 29/9/2011, n. 19880) e si liquidano in dispositivo (art. 91, 1 co. c.p.c.), secondo i parametri fissati dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in vigore dal 3 aprile 2014 (art. 29 D.M. cit.), da applicarsi alle liquidazioni successive alla data della sua entrata in vigore (art. 28 D.M. cit.).
P.Q.M.
La Corte, definitivamente decidendo la causa in epigrafe descritta, così provvede:
1) in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara inammissibili le domande e le eccezioni proposte da Fa.Ma.;
2) revoca il decreto ingiuntivo opposto;
3) condanna l’appellante a pagare a Ro.Ma. la somma di Euro 40.000,00, oltre interessi, in misura legale, dalla data della domanda al saldo;
4) condanna l’appellante a rimborsare a Ro.Ma. le spese dei due gradì di giudizio, che liquida, quanto al primo, in Euro 7.250,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario ex art. 2 D.M. 10 marzo 2014, n. 55, I.V.A. e C.P.A. sulle somme imponibili e, quanto al secondo, in Euro 9.500,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario ex art. 2 D.M. 10 marzo 2014, n. 55, I.V.A. e C.P.A. sulle somme imponibili;
5) condanna Fa.Ma. a rimborsare all’appellante le spese dei due gradi di giudizio, che liquida, quanto al primo, in Euro 185,00 per spese ed Euro 7.250,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario ex art. 2 D.M. 10 marzo 2014, n. 55, I.V.A. e C.P.A. sulle somme imponibili e, quanto al secondo, in Euro 325, 00 per spese ed Euro 9.500,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario ex art. 2 D.M. 10 marzo 2014, n. 55, I.V.A. e C.P.A. sulle somme imponibili.
Così deciso in L’Aquila il 23 dicembre 2014.
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2014.

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