La ditta esecutrice della ristrutturazione delle parti di un condominio è responsabile per i danni causati ex art.1669 c.c. se non prova le contrarie direttive del condominio o dell’amministratore.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 maggio – 2 settembre 2014, n. 18515
Presidente Piccialli – Relatore Proto

Svolgimento del processo

P.P. , titolare dell’omonima impresa edile il 15/2/1995 otteneva, nei confronti del Condominio in (omissis) , decreto ingiuntivo per il pagamento del saldo del corrispettivo di un appalto avente ad oggetto lavori di ristrutturazione dell’edificio condominiale.
Il Condominio con l’opposizione, affermandosi creditore e non debitore, deduceva che il P. aveva eseguito solo il 60% dei lavori appaltati e aveva ricevuto acconti di importo addirittura superiore a quanto eseguito.
Il P. costituendosi nel giudizio di opposizione chiedeva il risarcimento danno per l’illegittima risoluzione del contratto di appalto.
Con citazione del 16/10/2000 il Condominio promuoveva nei confronti del P. azione di responsabilità per danni ai sensi dell’art. 1669 c.c.; il convenuto si costituiva, contestava la responsabilità e in riconvenzionale proponeva domanda di risarcimento danni.
I due giudizi erano riuniti e decisi con sentenza del 24/2/2004 con la quale il Tribunale di Foggia revocava il decreto ingiuntivo, accertava che il Condominio non era debitore, ma era creditore del P. per l’importo di Euro 5.729,20, condannava il P. al pagamento della somma di Euro 24.180,18 a titolo di risarcimento danni ex art. 1669 e. e, rigettava le sue domande riconvenzionali.
Il P. proponeva appello che era rigettato dalla Corte di Appello di Bari con sentenza del 17/7/2008 che, per quanto qui ancora interessa, rilevava:
– che la censura relativa all’individuazione della fonte degli obblighi contrattuali (la delibera condominiale di approvazione del preventivo o il contratto di appalto successivamente stipulato dall’amministratore) pur fondata in astratto, era tuttavia irrilevante in quanto i prezzi erano stati esattamente calcolati facendo riferimento alle previsioni del contratto stipulato con l’amministratore;
– che la censura con la quale il P. negava la propria responsabilità per cattiva esecuzione dei lavori e affermava che le disposizioni impartite dal direttore dei lavori avevano provocato i danni, era apodittica e in contrasto con le risultanze della CTU all’esito della quale era stato accertato che il deterioramento dell’intonaco rifatto dal P. (tale da rendere la facciata dello stabile pericolante e da provocare un intervento dei Vigili del Fuoco) era da attribuirsi ad una cattiva posa in opera dei materiali senza nessuna preparazione del sottofondo.
Il P. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.
Il Condominio ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1173 c.c., e di norme di diritto con riferimento all’individuazione del contratto intercorso tra le parti e alla ritenuta, dalla Corte di Appello, inifluenza dell’impugnazione incentrata sul documento contrattuale; formulando il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. ora abrogato, ma applicabile ratione temporis chiede se i rapporti tra le parti possano e debbano essere regolati da un preventivo di spesa approvato dall’assemblea o se l’unica fonte del di obbligazioni sia invece il contratto stipulato con l’amministratore di condominio eventualmente integrato dal preventivo.
1.1 Il motivo è inammissibile in quanto del tutto avulso rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata nella quale è espressamente affermato che la fonte negoziale è il contratto concluso dall’amministratore, ma che tuttavia il motivo di appello sul punto è “sterile” (ossia irrilevante) in quanto l’assetto economico del rapporto è stato regolato, appunto, dal contratto concluso dall’amministratore.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce:
– sub a) l’illogicità della sentenza in ordine alla reale ricostruzione dei fatti e delle interferenze della committenza nella direzione lavori;
– sub b) violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e del contratto del 18/12/1993, in relazione ai rapporti tra committente, direttore dei lavori, appaltatore, facoltà del direttore dei lavori.
Il ricorrente indica il fatto controverso nei seguenti termini: accerti la Corte l’intervenuto scambio di informazioni tra la committenza e l’impresa appaltatrice. Fatto non considerato in motivazione e che avrebbe impedito la definizione dei rapporti tra le parti sulla base della intermediazione esclusiva del direttore dei lavori”.
Il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “… se il contratto sopra menzionato possa conferire autorità di mandato con rappresentanza al direttore lavori e se, assunto come valido il regolamento contrattuale, questo esoneri da responsabilità l’appaltatore che abbia in buona fede adempiuto alla direttive pur informando il latore degli ordini delle perplessità sulla buona riuscita dell’opera”. Il ricorrente sostiene che il Giudice di appello avrebbe considerato, quale fonte regolatrice dei rapporti, il preventivo – proposta senza tuttavia considerare il successivo contratto del 18/12/1993 nel quale si stabiliva che gli ordini dati all’appaltatore dal direttore dei lavori non potevano essere contestati; si sostiene a tale riguardo, che nel contratto sarebbe stato inibito al P. di discutere gli ordini del direttore lavori, che il committente era stato informato dell’impossibilità dell’esecuzione delle opere come espressamente richieste e che la relativa prova era rappresentata da una lettera autografa del 26/4/1994 che l’amministratore aveva indirizzato al P. , invece trascurata dal giudice del primo grado.
2.1 Le censure sono formulate in termini assolutamente generici e si incentrano su questi punti:
a) l’appaltatore si sarebbe attenuto alle direttive impartite non potendole discutere;
b) non sarebbe stata considerata una lettera che l’amministratore avrebbe indirizzato al P. .
Tuttavia:
– quanto al punto sub a) il ricorrente non indica quali fossero le direttive e quale rilevanza potessero avere rispetto ai vizi accertati;
– quanto al punto sub b) non sono riportati neppure in sintesi i contenuti della lettera né è spiegata la sua rilevanza rispetto alla ratio decidendi della sentenza di appello secondo la quale il motivo di impugnazione del P. diretto a contestare la propria responsabilità per cattiva esecuzione dei lavori e ad affermare che proprio le disposizioni impartite dal direttore dei lavori avevano provocato i danni, era apodittico e addirittura in contrasto con le risultanze della CTU posto che il deterioramento dell’intonaco (che era diventato pericolante) era dovuto alla cattiva posa in opera dei materiali, senza nessuna preparazione del sottofondo e non risulta che il Condominio o il suo amministratore abbiano imposto al P. di porre in opera i materiali senza preparare il sottofondo. Il ricorrente, deducendo il vizio di motivazione, avrebbe dovuto indicare quali specifiche contestazioni erano state sottoposte all’esame della Corte di Appello e quale fosse la loro rilevanza, mentre anche la deduzione, nel motivo di ricorso, del fatto controverso (accerti la Corte l’intervenuto scambio di informazioni tra la committenza e l’impresa appaltatrice. Fatto non considerato in motivazione e che avrebbe impedito la definizione dei rapporti tra le parti sulla base della intermediazione esclusiva del direttore dei lavori”) risulta all’evidenza del tutto generica e priva di ogni indicazione sulla sua decisività.
il quesito di diritto (se il contratto sopra menzionato possa conferire autorità di mandato con rappresentanza al direttore lavori e se, assunto come valido il regolamento contrattuale, questo esoneri da responsabilità l’appaltatore che abbia in buona fede adempiuto alla direttive pur informando il latore degli ordini delle perplessità sulla buona riuscita dell’opera) è astratto e non pertinente rispetto alla fattispecie nella quale non è stato accertato (né altrimenti risulta) che i vizi fossero stati cagionati dalle direttive impartite dal direttore dei lavori, ma, al contrario, è stato accertato che la loro causa era da individuarsi nella cattiva posa in opera dei materiali, senza nessuna preparazione del sottofondo.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’omessa motivazione sulle domande riconvenzionali che avevano ad oggetto l’integrazione dei costi dell’appalto e i danni per l’interruzione del rapporto contrattuale a seguito di illegittima risoluzione.
3.1 Dalla sentenza impugnata risulta che il credito del P. era stato accertato da giudice del primo grado facendo riferimento, in aderenza alla CTU, sia ai prezzi a misura delle opere, sia ai lavori al vano caldaia e che i motivi di appello di cui ai punti b) e c) (nella numerazione della sentenza appellata) erano stati rigettati appunto con queste motivazioni (v. pag. 5 per il motivo sub b e pag. 6 per il motivo sub c) che pertanto non possono ritenersi omesse.
Non risulta che fossero stati formulati diversi motivi di appello e il ricorrente non indica come e in quali termini fosse stato formulato un motivo di appello avente ad oggetto il mancato accoglimento delle domande in ordine alla quali deduce il vizio di omessa motivazione; pertanto il motivo è carente di specificità in ordine al vizio motivazionale e come tale inammissibile, nonché infondato per la parte in cui deduce una omessa motivazione in relazione ai motivi di appello sub b) e c) della sentenza di appello.
4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna P.P. a pagare al Condominio controricorrente le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.800,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi.

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