L’ordinanza di convalida della licenza o dello sfratto emessa in applicazione dell’art. 663 cod. proc. civ., pur essendo in linea di principio impugnabile soltanto con l’opposizione tardiva ex art. 668 cod. proc. civ. , è tuttavia soggetta al normale rimedio dell’appello se emanata nel difetto dei presupposti prescritti dalla legge, costituiti dalla presenza del locatore all’udienza fissata in citazione e dalla mancanza di eccezioni o difese del conduttore ovvero dalla sua assenza, e, quindi, al di fuori dello schema processuale ad essa relativo, essendo, in tal caso, equiparabile, nella sostanza, ad una sentenza anche ai fini dell’impugnazione”. Quanto detto vale, ovviamente, anche per l’ipotesi in cui l’intimato compaia e, senza opporsi, chieda la concessione del c.d. termine di grazia per sanare la morosità, la cui sola peculiarità consiste nel demandare al giudice della convalida l’ulteriore accertamento circa l’avvenuta o mancata sanatoria nel termine assegnato ex art. 55 l. n. 392/78 (cfr. Cass. n. 11380/2006, secondo cui “è inammissibile l’appello proposto contro un’ordinanza di convalida pronunciata a seguito di mancata sanatoria nel termine della morosità, poiché l’ordinanza è pronunciata correttamente).

 

 

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 maggio – 3 luglio 2014, n. 15230
Presidente Russo – Relatore Sestini

Svolgimento del processo

Con ordinanza emessa il 27.9.2006, il Tribunale di Firenze convalidava lo sfratto per morosità intimato da B.M.C. a C.E.L. , in relazione ad un contratto di locazione ad uso abitativo stipulato nel maggio 2005.
Avverso l’ordinanza proponeva appello il C. , dolendosi che il Tribunale avesse convalidato lo sfratto benché risultasse che il contratto non era stato registrato (in violazione della previsione di cui all’art. 1, comma 346 della L. n. 311/2004).
La Corte di Appello di Firenze dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione e condannava il C. al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il soccombente, affidandosi ad un unico motivo; resiste l’intimata a mezzo di controricorso illustrato da memoria.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo, il ricorrente deduce: “Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 346 L. 30.12.2004 n. 311 nonché degli artt. 1418 comma 1 e 1421 codice civile nonché dell’art. 663 codice di procedura civile”; si duole il C. che la Corte territoriale abbia affermato che il comportamento processuale dell’intimato (che non si era opposto alla convalida, ma aveva richiesto la concessione del termine di grazia per sanare la morosità) comportasse il riconoscimento dell’esistenza di un valido contratto di locazione, e non abbia – invece – ritenuto che il giudice della convalida avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità del contratto – ex art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004 – attesoché dalla stessa intimazione della B. emergeva che il contratto non era stato registrato dal conduttore (che pure ne aveva assunto l’impegno).
2. La Corte di Appello, dopo aver rilevato che l’intimante aveva dato atto di non essere in possesso dell’originale e delle copie del contratto (che erano state consegnate al conduttore per la registrazione) e che il C. non aveva proposto opposizione né aveva eccepito l’inesistenza del contratto, ma aveva richiesto il termine di grazia (con ciò implicitamente ammettendo l’esistenza di un valido contratto di locazione), ha ritenuto che l’ordinanza di convalida – emessa a seguito dell’omessa sanatoria – non poteva essere impugnata “con il mezzo ordinario dell’appello, essendo tale rimedio ammissibile solo quando il provvedimento sia stato pronunciato in difetto dei suoi elementi tipici”, dato che “solo quando l’ordinanza viene emanata al di fuori dello schema processuale ad essa relativo, la stessa è equiparabile ad una sentenza, anche ai fini dell’impugnazione”.
3. A fronte di tale motivazione (che si incentra sull’inammissibilità del gravame in ragione della non avvenuta violazione dello schema processuale tipico della convalida), il motivo di ricorso ed i relativi quattro quesiti richiedono di accertare che il contratto era nullo a causa dell’omessa registrazione e che tale nullità era rilevabile d’ufficio, con la conseguenza che il giudice non avrebbe potuto convalidare lo sfratto – in difetto del necessario presupposto di un valido contratto di locazione – e che , essendo stato violato lo schema tipico per l’emissione dell’ordinanza di convalida, risultava ammissibile l’impugnazione ordinaria.
4. Il ricorso non merita accoglimento in quanto risulta corretta la conclusione della non appellabilità dell’ordinanza cui è pervenuta la Corte territoriale: vanno, peraltro, compiute alcune precisazioni che comportano una parziale correzione dell’apparato motivazionale della sentenza impugnata.
4.1. Sulla questione dell’impugnabilità dell’ordinanza di convalida, sussiste un consolidato orientamento di questa Corte – cui deve darsi continuità – secondo cui “l’ordinanza di convalida della licenza o dello sfratto emessa in applicazione dell’art. 663 cod. proc. civ., pur essendo in linea di principio impugnabile soltanto con l’opposizione tardiva ex art. 668 cod. proc. civ. , è tuttavia soggetta al normale rimedio dell’appello se emanata nel difetto dei presupposti prescritti dalla legge, costituiti dalla presenza del locatore all’udienza fissata in citazione e dalla mancanza di eccezioni o difese del conduttore ovvero dalla sua assenza, e, quindi, al di fuori dello schema processuale ad essa relativo, essendo, in tal caso, equiparabile, nella sostanza, ad una sentenza anche ai fini dell’impugnazione” (Cass. n. 1222/2006).
4.2. Per stabilire quando l’ordinanza sia impugnabile con l’appello, ci si deve – dunque – interrogare sul contenuto dello “schema processuale” proprio del provvedimento di convalida e -per quanto di specifico interesse nel caso di specie – ci si deve chiedere se detto schema preveda anche l’esame di questioni di merito rilevabili d’ufficio e se – in ipotesi – l’omesso rilievo di una causa di nullità comporti una violazione che giustifica il rimedio dell’impugnazione ordinaria.
4.3. Si è visto come il ricorrente – che non aveva svolto alcuna opposizione avanti al Tribunale e si era limitato a richiedere la concessione del termine di grazia – abbia inferito l’appellabilità dell’ordinanza dal mancato rilievo – da parte del giudice della convalida – di una causa di nullità del contratto.
In questa stessa ottica (di attribuire un qualche rilievo all’apprezzamento – da parte del giudice della convalida – della validità del contratto di locazione) sembra essersi posta la Corte territoriale quando ha rilevato che il Tribunale “ha correttamente valutato la sussistenza degli ulteriori presupposti richiesti dalla legge ai sensi dell’art. 663 C.P.C., atteso che con la richiesta del termine di grazia C.E.L. aveva implicitamente ammesso l’esistenza di un valido contratto di locazione”.
4.4. Ritiene il Collegio che l’esame della questione non possa prescindere da una ricostruzione della disciplina dell’impugnazione dell’ordinanza di convalida che tenga conto delle caratteristiche del procedimento sommario di convalida e delle ragioni per cui la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta ad ammettere -in alcuni casi – l’impugnazione ordinaria.
4.5. Come noto, l’art. 663 C.P.C., prevede che “se l’intimato non comparisce o comparendo non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto”, precisando che “se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste”; lo stesso articolo dispone che il giudice deve ordinare che sia rinnovata la citazione se risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o per forza maggiore”.
Il successivo art. 668 C.P.C., prevede – poi – che “se l’intimazione di licenza o di sfratto è stata convalidata in assenza dell’intimato, questi può farvi opposizione provando di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o per forza maggiore”; la Corte Costituzionale (sent. n. 89/1972) ha, infine, consentito l’opposizione tardiva anche all’intimato che, pur avendo avuto conoscenza della citazione, non sia potuto comparire all’udienza per caso fortuito o forza maggiore.
A fronte di tale quadro normativo – che fonda la convalida sulla mancanza di opposizione da parte del conduttore (che può estrinsecarsi nella mancata comparizione o nella comparizione senza opposizione), a condizione che questi sia stato informato della domanda e abbia avuto la possibilità di comparire all’udienza (e , in caso di sfratto ex art. 658 C.P.C., all’ulteriore condizione che l’intimante attesti la persistenza della morosità) – l’accertamento demandato al giudice è circoscritto alla verifica dei “presupposti generali dell’azione (quelli attinenti cioè alla giurisdizione, alla competenza, alla capacità processuale dell’intimante e alla corretta vocazione in giudizio)” e dei “presupposti specifici, indicati nel primo e nel terzo comma dell’art. 663 cod. proc. civ.” (Cass. n. 17151/2002), consistenti – questi ultimi – nella mancata comparizione o nella mancata opposizione (nonché, in caso di morosità, nella dichiarata persistenza della mora).
Trattandosi, dunque, di una verifica ab externo, che non investe i contenuti del rapporto negoziale ma è volta ad accertare soltanto se l’intimato intenda o meno opporsi alla convalida, va escluso che – in caso di mancata opposizione – sussista la necessità (e, prima ancora, l’interesse) di compiere accertamenti di merito, compreso quello relativo alla validità del contratto di locazione; detto interesse ricorre soltanto nel caso in cui l’intimato proponga opposizione, ma in tale ipotesi – esclusa la possibilità di convalidare la licenza o lo sfratto – l’accertamento di merito deve avvenire nell’ambito del giudizio contenzioso che si instaura – previa eventuale emissione dell’ordinanza non impugnabile di rilascio ex art. 665 C.P.C. – a seguito di ordinanza di mutamento del rito ex art. 667 C.P.C..
Ciò premesso in ordine alla natura e alle caratteristiche del procedimento sommario di convalida, risulta dunque evidente che la deviazione dallo schema processuale tipico – cui fa riferimento la giurisprudenza di questa Corte per individuare le ipotesi di appellabilità dell’ordinanza di convalida – ricorre quando il giudice abbia pronunciato l’ordinanza in difetto dei presupposti previsti dall’art. 663 C.P.C., ma non anche se non abbia esaminato questioni di merito (quale quella della validità del contratto), che non trovano spazio nell’ambito del procedimento sommario al di fuori del caso in cui l’intimato abbia dichiarato di opporsi alla convalida (e al limitato fine di emettere o negare l’ordinanza non impugnabile di rilascio).
Le questioni di merito rimangono, dunque, estranee alla fase sommaria che si concluda con la rituale emissione dell’ordinanza di convalida, senza possibilità per l’intimato – che avrebbe potuto farle valere mediante l’opposizione alla licenza o allo sfratto e nell’ambito del procedimento ordinario instaurato a seguito di tale opposizione – di recuperarne l’esame a mezzo dell’appello avverso l’ordinanza di convalida.
Diverso è il caso in cui lo schema sia stato invece violato, come – ad esempio – quando la convalida sia stata emessa nonostante l’opposizione dell’intimato o benché l’intimato comparso non abbia dichiarato di non opporsi (cfr. Cass. n. 17151/2002): in tale ipotesi, non sussistendo adesione del conduttore alla domanda dell’intimante, deve ammettersi il rimedio dell’appello in quanto il provvedimento di convalida è equiparabile ad una sentenza che abbia definito la controversia introdotta dall’intimazione di licenza o di sfratto e, come tale, deve poter essere impugnata.
Ancora diversa è l’ipotesi in cui la violazione dello schema processuale abbia riguardato soltanto la conoscenza dell’intimazione e la possibilità del conduttore di esprimere la propria opposizione: in questo caso – che è quello contemplato dall’art. 668 c.p.c. e da Corte Cost. n. 89/1972 – soccorre il rimedio dell’opposizione tardiva, che consente all’intimato – che provi di essere stato impedito ad opporsi – di recuperare la possibilità di proporre opposizione e di far valere, per tale via, le proprie ragioni di merito.
Quanto detto finora vale, ovviamente, anche per l’ipotesi – come quella in esame – in cui l’intimato compaia e, senza opporsi, chieda la concessione del c.d. termine di grazia per sanare la morosità, la cui sola peculiarità consiste nel demandare al giudice della convalida l’ulteriore accertamento circa l’avvenuta o mancata sanatoria nel termine assegnato ex art. 55 l. n. 392/78 (cfr. Cass. n. 11380/2006, secondo cui “è inammissibile l’appello proposto contro un’ordinanza di convalida pronunciata a seguito di mancata sanatoria nel termine della morosità, poiché l’ordinanza è pronunciata correttamente”).
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve rigettarsi il ricorso, in quanto la Corte territoriale ha correttamente escluso l’appellabilità dell’ordinanza di convalida, ma deve precisarsi – in tal senso correggendo la motivazione del giudice di merito – che la questione della validità del contratto non doveva essere esaminata dal Tribunale non perché fosse superata per il fatto che “con la richiesta del termine di grazia C.E.L. aveva implicitamente ammesso l’esistenza di un valido contratto”, ma perché – in difetto di opposizione-l’esame di ogni questione di merito risultava estraneo allo schema processuale proprio del procedimento di convalida.
6. Le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’intimata le spese di lite, liquidate in Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese generali e accessori di legge.

 

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