Per la sostituzione dell’impianto di riscaldamento centralizzato con impianti autonomi, “non occorre, ai fini della validità della delibera, che questa sia corredata del progetto e della relazione tecnica di conformità, poiché la legge distingue la fase deliberativa da quella attuativa, attribuendo alla prima la mera valutazione di convenienza economica della trasformazione ed alla seconda gli aspetti progettuali, ai fini della rispondenza del nuovo impianto alle prescrizioni di legge” (Cass. 2009 n. 4216). Le due distinte fasi sono quindi conformi alla legge e rispondono ad una ratio interpretativa favorevole alla sostituzione degli impianti centralizzati, specie quando questi si presentino connotati da obsolescenza tecnologica con duplici negativi effetti sul piano dei costi e dell’inquinamento ambientale. La legge, naturalmente, non trascura di considerare l’impatto ambientale, tecnologico e persino economico degli impianti sostitutivi, ma considera separatamente tale ultimo aspetto, attinente alla fase esecutiva, spostando a valle eventuali ulteriori tutele, ove il relativo progetto e gli impianti da installare e/o installati risultino non conformi, anche sul piano del progetto alla normativa. E in tal senso si è orientata la giurisprudenza della Corte, non solo con la sentenza citata, ma anche con alcune precedenti (Cass. 2001 n. 7130, Cass. 1999 n. 5157; Cass. 1997 n. 5843), nonché successivamente con Cass. 2013 n. 22276 (per la quale, vedi punto 10.1).
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 gennaio – 9 aprile 2014, n. 8336
Presidente Triola – Relatore Parziale
Svolgimento del processo
1. L’avvocato C.G. , con atto di citazione notificato il 28 dicembre 2005, agiva in giudizio innanzi al Tribunale di Pescara per ottenere la declaratoria di nullità della delibera del 9 dicembre 2005 dell’assemblea del Condominio (omissis) con cui era soppresso il servizio di riscaldamento e condizionamento centralizzato dell’edificio nonché la sostituzione dello stesso con impianti di climatizzazione autonomi e idonei a realizzare il risparmio energetico secondo le disposizioni della L. 10/91.
L’attore eccepiva quali motivi di nullità: 1) il vizio di convocazione, perché dovevano essere convocati tutti i condomini e non solo quelli interessati alla gestione del servizio centralizzato di riscaldamento e di condizionamento, in ossequio all’art. 34 del Regolamento Condominiale; 2) la violazione della Legge del 1991 n. 10, potendo e dovendo essere soppresso l’impianto centralizzato solo all’unanimità e, in difetto, a maggioranza solo laddove la sostituzione fosse in concreto avvenuta; 3) la violazione dell’ordine architettonico, posto che a seguito della soppressione dell’impianto centralizzato, i condomini avevano proceduto singolarmente e in modo indisciplinato e anarchico a munirsi di propri impianti autonomi, causando in concreto danni e deturpazioni alla facciata centrale dell’edificio, che in ogni caso sarebbe stata alterata, ove l’impianto centralizzato fosse stato sostituito, dall’installazione di una canna fumaria, ovvero di uno split esterno; 4) l’ulteriore violazione del regolamento condominiale con riferimento agli artt. 2 e 11, che espressamente vietavano l’eliminazione e la modifica delle cose comuni e stabilivano che non era ammessa la rinuncia ai servizi comuni se non a seguito dell’unanimità dei consensi, che non vi era stata.
Si costituiva il Condominio, contestando la domanda attorea e in particolare sostenendo la conformità della delibera impugnata alla legge del 1991, tenuto conto che la stessa aveva ad oggetto l’obiettivo primario del risparmio energetico.
2. Con sentenza del 15 ottobre 2008 il Tribunale di Pescara rigettava le domande attoree.
Quanto al vizio di convocazione invocato dall’Avv. C. , il giudice di prime cure rilevava che era stato rispettato l’art. 34 del regolamento di Condominio, e che risultava inammissibile, perché tardivamente proposta in sede di comparsa conclusionale, l’ulteriore deduzione circa la violazione dell’articolo 1136 c.c. Peraltro, il Tribunale precisava che, comunque, non vi sarebbe stato obbligo di convocazione degli altri condomini, in quanto la loro presenza non avrebbe potuto influire sulla deliberazione, in quanto non legittimati a votare sul punto. Inoltre, il Tribunale respingeva i motivi di doglianza 2) e 4) dell’atto di citazione, distinguendo tra la delibera di approvazione degli interventi nelle parti comuni degli edifici volti al raggiungimento degli scopi predetti, rispetto a quella, successiva, di approvazione della relazione tecnica da allegare al progetto e specificando che la delibera impugnata proprio perché avente ad oggetto solo la prospettiva della sostituzione
dell’impianto centralizzato, anche se non accompagnata dal progetto delle opere, doveva ritenersi valida, attenendo tale progetto ad una fase successiva alla stessa e cioè alla fase di esecuzione. Infine, respingeva la doglianza sub 3) per rilevata carenza d’interesse a una futura e ipotetica installazione di canne fumarie o split esterni, che avrebbero in tesi leso il decoro architettonico dell’edificio.
3. La Corte territoriale, adita dall’avv. C. , rigettava l’impugnazione con sentenza pubblicata il 10 settembre 2012.
In primo luogo, la Corte territoriale dichiarava inammissibile ex articolo 345 c.p.c. la questione relativa alla violazione dell’articolo 1136 c.c. quanto alla convocazione, perché tardivamente formulata in sede di comparsa conclusionale. Confermava poi la decisione impugnata quanto ai motivi 2), 3) e 4) quanto al quorum necessario per la soppressione del servizio di riscaldamento, peraltro già cessato (perché “perito”) prima della delibera del 9.12.2005 e comunque non seguito dalla installazione degli impianti nei singoli immobili. Osservava la Corte al riguardo che la decisione adottata risultava conforme ai principi giurisprudenziali consolidati in materia, secondo cui il quorum deliberativo andava calcolato con riguardo ai soli condomini interessati al servizio, escludendo gli altri, in linea con l’articolo 34 del regolamento condominiale. Di conseguenza, i condomini asseritamente pretermessi dalla convocazione, in quanto non interessati alla gestione del servizio in questione, non avrebbero potuto partecipare né alla discussione, né alla votazione. Ciò determinava anche la carenza assoluta d’interesse in capo al condomino C. in relazione alla dedotta pretermissione. Inoltre, il Tribunale aveva correttamente distinto tra la delibera di approvazione degli interventi nelle parti comuni degli edifici, volti al contenimento del consumo energetico e all’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabili e la delibera di approvazione della relazione tecnica da allegare al progetto. La delibera impugnata era correttamente riferita al primo tipo e perciò era stata correttamente approvata a maggioranza delle quote millesimali.
Infine, la Corte territoriale riteneva generico e comunque carente d’interesse l’appellante quanto alla dedotta futura lesione del decoro architettonico della facciata e dell’edificio a causa dell’installazione sulla stessa di “canna fumaria” o “split esterno”, necessari per il funzionamento degli impianti autonomi.
4. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione l’avv. C.G. , articolando tre motivi di gravame. Resiste con controricorso il Condominio (omissis) . Il difensore del Condominio ha depositato note scritte all’esito delle conclusioni del Procuratore Generale alla pubblica udienza.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e va rigettato per quanto di seguito si chiarisce con riguardo a ciascun motivo.
2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 99 -100 -101-112-183 -345 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. (error in procedendo) per avere erroneamente la Corte Territoriale aquilana dichiarato, sul punto afferente l’eccepita irritualità della convocazione dei condomini, inammissibile perché tardiva la domanda attorea protesa alla declaratoria di nullità della delibera assembleare impugnata al rilievo che l’opponente ha fatto riferimento all’art. 1136 c.c. (ponendolo in relazione con l’art. 34 del regolamento condominiale) solo in comparsa conclusionale, onde la non scrutinabilità della stessa per indebita immutazione (non consentita) del petitum e della causa petendi originari”.
La Corte aquilana ha erroneamente qualificato il primo motivo d’appello, inerente il vizio di convocazione dell’Assemblea, quale domanda nuova ex art. 345 c.p.c..
Dalla lettura dell’atto di citazione risulta che nel giudizio di merito la causa petendi di cui al punto 1) dell’atto introduttivo, sul quale si è svolto il contraddittorio, è l’omessa convocazione di tutti i condomini all’assemblea condominiale mentre il petitum è l’annullamento della delibera condominiale per tale motivo. Né può affermarsi che in tutto l’arco del giudizio di merito (in prime cure e in appello) tale causa petendi e tale petitum siano stati mutati dall’attore: il fatto costitutivo della domanda (irrituale convocazione) è unico ed è stato eccepito dall’odierno ricorrente nell’iniziale atto oppositivo. Pertanto si deve escludere che si sia in presenza di una domanda nuova. Peraltro, la preclusione invocata dal Tribunale non si sarebbe potuta verificare, atteso che la postulata nullità della delibera impugnata, comunque per derivazione di petitum, ha ad oggetto la proprietà e gli altri diritti reali di godimento, che appartengono alla categoria dei cosiddetti “diritti autodeterminati” cioè quelli individuabili sulla base della sola indicazione del contenuto rappresentato dal bene che ne forma oggetto, con la conseguenza che la causa petendi delle relative azioni giudiziarie s’identifica con i diritti stessi e non con il titolo che ne costituisce la fonte.
La necessità di convocare tutti i condomini era imposta dalla circostanza che non si trattava di una semplice “modifica del servizio di riscaldamento”, ma di una vera e propria “innovazione” consentita ai sensi della Legge n. 10 del 1991. In ossequio all’art. 26, comma 2, L. 10/91, la maggioranza richiesta per la soppressione dell’impianto centralizzato va calcolata sui millesimi dell’intero edificio e non già sui valori millesimali riflettenti le spese di riscaldamento, mentre l’amministratore ha provveduto a convocare a sua discrezione solo i condomini ritenuti interessati a tale innovazione. E ciò anche in relazione alle aree condominiali che si sarebbero rese disponibili all’esito della soppressione del servizio. 2.1 — Il motivo è infondato.
Correttamente la Corte territoriale ha rilevato che il titolo sulla base del quale era stata attivata la pretesa giudiziaria era soltanto la norma regolamentare, come del resto risulta dalla complessiva interpretazione della citazione. Sicché la deduzione del diverso titolo operata in comparsa conclusionale (1136 cod. civ.), sia pure finalizzato al medesimo risultato (nullità-annullabilità della delibera condominiale), è fondata su accertamenti e conseguente contraddittorio diversi. Né è pertinente il richiamo alla giurisprudenza in materia di diritti autodeterminati, trattandosi d’impugnazione di delibera assembleare condominiale. Né tale diversa prospettazione (comprensiva della censura ex art. 1136 cod. civ.) può farsi derivare dalla invocata applicazione dell’art. 26, comma 2, L. 10/91, la cui invocata interpretazione richiederebbe la convocazione di tutti i condomini. Infatti, occorre pure sempre far riferimento ai principi generali in materia di partecipazione alle spese (art. 1123 cod. civ.), in mancanza di specifiche diverse norme regolamentari efficaci nei confronti di tutti i condomini, che nel caso specifico non risultano invocate. Infatti, trattandosi di impianto di riscaldamento che pacificamente non serve tutte le unità immobiliari del complesso immobiliare, ma solo alcune di esse, secondo i principi generali, in mancanza di diversa prova di obbligo di partecipazione alle spese anche da parte di coloro che non beneficiano di tale servizio, la partecipazione alla decisione (e la relativa convocazione) non poteva che riguardare i soli soggetti coinvolti.
Quanto poi al rilievo relativo alle aree in tesi condominiali rese disponibili dalla soppressione del servizio, è agevole rilevare che si tratta di questione del tutto nuova, che risulta estranea alla decisione impugnata.
3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 — 1118 — 1120 co. 2 — 1121 – 1123 — 1136 c.c., nonché degli art. 8 e 26 della legge 9.1.1991 n. 10 in relazione all’art. 360 n 3 (error in indicando) per avere erroneamente la corte territoriale aquilana ritenuto valida la delibera assembleare impugnata escludendo, quanto alle materie incluse nell’ordine del giorno, la necessità dell’unanimità dei consensi. Vizio di motivazione rilevante al sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per immutazione del fatto storico (mancata sostituzione dell’impianto centralizzato soppresso e manifestata volontà del condominio di non volerlo sostituire con quelli previsti dalla legge del 9.1.1991 n. 10)”.
La Corte d’Appello de L’Aquila ha travisato i fatti di causa ed ha adottato una decisione difforme dalle succitate norme del codice civile e della legge 10/91, nonché rispetto agli orientamenti di codesta Suprema Corte nella materia in oggetto. Una lettura degli artt. 8 e 26 della legge 10/91 suggerisce che la deroga al principio della delibera presa all’unanimità non solo deve ritenersi eccezionale, ma imprescindibilmente ancorata ai principi ed alla casistica di cui alla suddetta norma. Inoltre, a seguito della sentenza 16980 del 18.08.2005 con cui la Corte di cassazione ha annullato una prima delibera assembleare del 21 novembre 1994 avente il medesimo ordine del giorno di quella impugnata nel presente giudizio, il Condominio XXXX non ha provveduto a riattivare l’impianto centralizzato né a sostituirlo con alcuno dei manufatti previsti dalla legge del 1991; in più, non ha palesato con la delibera impugnata (del 9 dicembre 2005) l’intento di sostituire l’impianto centralizzato soppresso, né ha corredato la stessa di una documentazione tecnica in tal senso, con ciò violando il decisum della S.C. Dunque, secondo il ricorrente, da un lato è stato disattivato l’impianto centralizzato a gasolio, dall’altro l’impianto sostitutivo di cui alla Legge n. 10/1991 non solo non è stato attuato o programmato, ma è stato addirittura rifiutato dal condominio, tenuto conto dell’avvenuta sostituzione arbitraria e unilaterale da parte di un numero imprecisato di condomini, i quali, per loro esclusiva iniziativa, si sono muniti d’impianti autonomi a loro completa discrezione. Non sono, quindi, stati conseguiti gli scopi di cui alla legge 10/91 e non è possibile, quindi, scindere in più momenti e in tempi diversi due delibere sul tema, posto, oltre tutto, che tale scissione, da un punto di vista logico-giuridico, non è mai avvenuta, neanche intenzionalmente e tantomeno in via progettuale. Di qui le violazioni di legge e il difetto di motivazione consistito nell’immutazione del fatto storico lamentato (mancata sostituzione dell’impianto centralizzato e rifiuto della stessa).
3.1 — Anche tale motivo è infondato. A prescindere dagli aspetti della censura che sembrano configurare un vizio revocatorio, inammissibile in questa sede, ed a quelli che sembrano introdurre questioni nuove non affrontate nel giudizio di merito, il motivo è infondato perché la Corte territoriale non ha fatto altro che applicare i principi in materia affermati da questa Corte, che ha rilevato che, ai fini della sostituzione dell’impianto di riscaldamento centralizzato con impianti autonomi, “non occorre, ai fini della validità della delibera, che questa sia corredata del progetto e della relazione tecnica di conformità, poiché la legge distingue la fase deliberativa da quella attuativa, attribuendo alla prima la mera valutazione di convenienza economica della trasformazione ed alla seconda gli aspetti progettuali, ai fini della rispondenza del nuovo impianto alle prescrizioni di legge” (Cass. 2009 n. 4216). Le due distinte fasi (che lamenta il ricorrente) sono quindi conformi alla legge e rispondono ad una ratio interpretativa favorevole alla sostituzione degli impianti centralizzati, specie quando questi si presentino connotati da obsolescenza tecnologica con duplici negativi effetti sul piano dei costi e dell’inquinamento ambientale. La legge, naturalmente, non trascura di considerare l’impatto ambientale, tecnologico e persino economico degli impianti sostitutivi, ma considera separatamente tale ultimo aspetto, attinente alla fase esecutiva, spostando a valle eventuali ulteriori tutele, ove il relativo progetto e gli impianti da installare e/o installati risultino non conformi, anche sul piano del progetto alla normativa. E in tal senso si è orientata al giurisprudenza di questa Corte, non solo con la sentenza citata, ma anche con alcune precedenti (Cass. 2001 n. 7130, Cass. 1999 n. 5157; Cass. 1997 n. 5843), nonché successivamente con Cass. 2013 n. 22276 (per la quale, vedi punto 10.1).
4. Col il terzo motivo di ricorso si deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., rilevante al sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. (error in procedendo in relazione all’erronea statuizione di mancanza d’interesse ad agire), nonché violazione dell’art. 1120, 2 co. c.p.c. rilevante al sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. (error in indicando) rispetto alla dedotta violazione dell’ordine architettonico ritenuta dal giudice di merito insussistente e neanche verificabile in via potenziale, tanto da potersi escludere in favore dell’interessato la tutela giuridica coevamente alla postulazione del giudizio”.
La motivazione adottata dalla Corte aquilana per rigettare la censura concernente la lesione del decoro architettonico della facciata è del tutto apparente. Contrariamente a quanto statuito dal giudice d’appello, l’interesse ad agire sussiste, è concreto ed attuale, in quanto la lesione solo potenziale del decoro architettonico paventata dall’Avv. C. si è poi concretizzata in corso di causa, allorché i condomini hanno provveduto ad installare impianti autonomi senza alcuna regola, così deturpando la facciata principale dell’edificio condominiale, su cui insiste la veduta dell’intero studio professionale dell’Avv. C. . Peraltro, la Corte Territoriale Aquilana, nel rigettare la domanda per difetto dell’interesse ad agire in esito alla lesione lamentata, non ha tenuto conto che detto interesse va valutato in esito al requisito di proponibilità della domanda e non già in prospettiva del suo accoglimento, né ha tenuto conto che la domanda era certamente proponibile in quanto ricorreva uno stato oggettivo d’incertezza sull’esistenza di un rapporto giuridico (costituendo la rimozione di detta incertezza un risultato utile, giuridicamente comprensibile e non conseguibile senza l’intervento del Giudice), sussisteva un pregiudizio concreto e attuale anche se non implicante la momentanea lesione del diritto; ed esisteva la norma di tutela invocata e cioè l’art. 1120, 2 co., c.c..
4.1 — Anche tale ultimo motivo è infondato. Occorre osservare che correttamente il giudice distrettuale ha ritenuto che la doglianza era stata avanzata in termini puramente ipotetici, (“in vista di situazioni future”), concludendo nel senso dell’assenza di interesse attuale in capo al C. . Le argomentazioni proposte, che riguardano situazioni in fatto che si sarebbero verificate nel corso del giudizio, non sono di per sé sufficienti ad intaccare la dedotta ratio decidendi.
5. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 2.000,00 (duemila) Euro per compensi e 200,00 (duecento) Euro per spese, oltre accessori di legge.