Le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile

Sentenza 27 febbraio 2014, n. 4741  DISTANZE LEGALI IN CONDOMINIO

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3877/2008 proposto da:

(OMISSIS) – (OMISSIS), domiciliata ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), come da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), domiciliati ex lege in ROMA, presso la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma, Piazza Cavour, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), come da procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 540/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 05/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/11/2013 dal Consigliere Dott. Ippolisto Parziale;

udito il sostituto procuratore generale, RUSSO Libertino Alberto, che conclude per l’inammissibilita’ o rigetto del ricorso con condanna alle spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione notificato il 17.3.92 i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno convenuto in giudizio, davanti al Tribunale di Teramo, (OMISSIS), deducendo che la stessa ha realizzato un manufatto illegittimo per violazione delle norme urbanistiche e sismiche, nonche’ delle distanze legali dal loro appartamento, con irregolare aperture di vedute e pregiudizi per la sicurezza del loro immobile; ed hanno chiesto la eliminazione degli abusi edilizi ed il risarcimento dei danni.

La convenuta, costituendosi, ha contestato il fondamento della domanda.

Il Tribunale, disposta ed eseguita consulenza tecnica, con sentenza del 6.3.04 ha respinto la domanda.

2. L’appello proposto dai soccombenti veniva accolto dalla locale Corte territoriale. Rilevava la Corte che gli appellanti avevano denunciato: a) l’omesso rilievo di violazione delle distanze legali, sia per l’ubicazione del manufatto, che per l’apertura di vedute; 2) il mancato accertamento dell’esistenza di danni per la contiguita’ del detto manufatto con le finestre del loro appartamento e per la diminuzione di valore del proprio immobile e che il consulente di primo grado aveva accertato che il manufatto era stato realizzato in difformita’ rispetto alla concessione edilizia, con violazione dell’articolo 5, comma 9, delle norme tecniche di attuazione del P.R.G., per violazione della distanza minima dei confini di m.5,00. Rilevava al riguardo che “la detta violazione si e’ concretizzata per il fatto che, contrariamente a quanto previsto nel progetto licenziato, il manufatto, anziche’ essere realizzato completamente interrato, e’ stato edificato parzialmente fuori terra con una altezza variante tra cm. 150 e cm. 75. E la struttura fuori terra, oltreche’ irregolare dal punto di vista urbanistico, viola l’articolo 873 c.c., e le norme edilizie ad esso collegata, perche’ eretta a distanza inferiore a m. 5”.

Rilevava ancora la Corte territoriale che “il detto accertamento,- non contestato, legittima la domanda di riduzione in pristino con eliminazione della parte del manufatto, edificato fuori terra” con conseguente accoglimento della domanda e “con conseguente superamento delle ulteriori doglianze, attinenti alla apertura di una finestra ed alla possibilita’ d’affaccio dal coperto della struttura, venendo queste automaticamente eliminate con il completo interramento del manufatto”.

La Corte, infine, accoglieva “l’istanza risarcitoria, perche’ la costruzione abusiva, pur non avendo arrecato pregiudizi statici all’immobile degli attori appellanti, ne ha certamente per molti anni pregiudicato la godibilita’ e la valutazione economica. Infatti la erezione della struttura a poca distanza dai balconi dell’abitazione dei predetti ha certamente compromesso la sicurezza degli stessi, per la possibilita’ di facile accesso di terzi, la godibilita’ dell’immobile e la conseguente valutazione economica dello stesso”, liquidando il danno in via equitativa nella misura richiesta di euro 2.500,00, non essendo “esattamente dimostrabile nel suo ammontare”.

3. Impugna tale decisione la ricorrente che formula quattro motivi.

Resistono con controricorso gli intimati. La ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 motivi del ricorso.

1.1 – Col primo motivo di ricorso si deduce: “Error in iudicando; violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia”.

Afferma la ricorrente che “La Corte ha totalmente ignorato la deliberazione condominiale con cui si consentiva la realizzazione da parte della (OMISSIS) di un manufatto localizzato su area condominiale ma in uso esclusivo della stessa e, per l’effetto, ha trascurato l’esame della rilevanza giuridica del provvedimento autorizzativo”.

L’articolo 6, 2 comma del regolamento di condominio (doc. n. 5 dei documenti allegati al fascicolo di 1 grado) cosi’ dispone: “I condomini, che sono proprietari di aree scoperte o che hanno in uso esclusivo le aree scoperte, dovranno destinare a giardino le predette aree e non potranno trasformarle, in modo assoluto, in orto e non potranno costruirvi manufatti di qualsiasi genere”.

L’unanimita’ dei consensi espressi rende “l’opera autorizzata del tutto legittima a mente del combinato disposto degli articoli 1120 e 1136 c.c.”. La Corte di appello, “non tenendo in considerazione alcuna la deliberazione condominiale su cui aveva fatto leva sia la (OMISSIS) che il Giudice di primo grado, non ha considerato che l’opera realizzata dalla stessa (OMISSIS), in quanto autorizzata dall’assemblea con voto unanime di tutti i condomini, era da ritenersi legittima”.

1.2 Col secondo motivo di ricorso si deduce: “Error in iudicando; violazione e falsa applicazione dell’articolo 873 c.c., e dell’articolo 5, comma 9, delle N.T.A. del PRG del Comune di (OMISSIS); violazione dell’articolo 360 c.c., n. 3”.

La Corte di Appello erronemente ha ritenuto che “il manufatto, oltre a risultare difforme dalla concessione edilizia, si pone in contrasto con la disposizione regolamentare, integrativa del regime codicistico, prevedente la distanza minima dai confini di m 5,00”. Si tratta di violazione amministrativa che nessun rilievo ha nel rapporto tra privati. Inoltre, osserva la ricorrente che “l’irregolarita’ dal punto di vista urbanistico non sussiste dal momento che la (OMISSIS) si e’ avvalsa della facolta’ concessa dalla Legge n. 47 del 1985, articolo 12, provvedendo al pagamento della prescritta sanzione pecuniaria come risulta dalla documentazione prodotta (doc. n. 9 del fascicolo di 1 grado). (OMISSIS), la costruzione e’ stata ritenuta compatibile con la normativa sismica giusta certificato rilasciato in tal senso dal servizio del Genio Civile di Teramo”.

E, inoltre, secondo la ricorrente, non configurabile “la prospettata violazione dell’articolo 873 c.c., ove si consideri che il regime normativo tracciato dal codice non prevede distante dai confini”. L’autorizzazione accordata dai condomini tutti “risulta espressa nei seguenti termini: “l’assemblea, all’unanimita’, autorizza in deroga a quanto stabilito dall’articolo 6 del regolamento di condominio la Sig.ra (OMISSIS) a realizzare il vano sull’area che la stessa ha in uso esclusivo. Detto vano, adiacente l’attuale cucina avra’ una superficie coperta di circa mq. 15 e dovra’ essere realizzata a perfetta regola d’arte in maniera tale da non creare danni alle strutture condominiali”.

I limiti posti all’attivita’ edilizia della (OMISSIS) erano “circoscritti, da un lato, alla corretta esecuzione dell’opera e, dall’altro, al mancato pregiudizio all’edificio condominiale”. Stante l’intervenuto provvedimento di sanatoria, la costruzione autorizzata non era vincolata al rispetto di altri parametri e, in particolare, all’osservanza della distanza dal confine stradale. “Il condominio (OMISSIS) non poteva, infatti, censurare l’opera realizzata dalla (OMISSIS) per violazione della distanza minima dai confini di m. 5,00 dal momento che egli stesso aveva consentito la costruzione del manufatto a distanza inferiore a quella prescritta dalla normativa regolamentare integrativa del Codice Civile”.

Viene formulato il seguente quesito: “Dica il Supremo Collegio se la distanza prescritta per la costruzione dal confine dalla norma regolamentare (NTA del PRG) possa essere fatta valere anche a seguito di una autorizzazione accordata dal condominio alla realizzarne di un manufatto a distanza non regolamentare”.

1.3 – Col terzo motivo di ricorso si deduce: “Error in iudicando; violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c.; violazione dell’articolo 360 c.c., n. 3; violazione ed erronea applicazione dell’articolo 1226 c.c.”.

La Corte di Appello ha errato nell’accogliere l’istanza risarcitoria avanzata dai coniugi (OMISSIS) sulla considerazione che l’intervento edilizio realizzato dalla (OMISSIS) abbia procurato agli stessi un danno patrimoniale che, non essendo dimostrabile nel suo ammontare, poteva essere liquidato in via equitativa.

Rileva la ricorrente che “L’esercizio del potere di liquidazione del danno in via equitativa trova causa giustificativa nell’impossibilita’ per la parte di fornire la prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare. E’ indispensabile, tuttavia, che la parte fornisca dimostrazione dell’esistenza ontologica del danno ancorche’ non sia in grado di determinarne il quantum”.

Nella specie non era stata fornita alcuna prova al riguardo.

Viene formulato il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se in difetto di prova sul danno ritratto dalla realizzazione di una costruzione abusiva sia esercitabile la valutazione equitativa dello stesso ai sensi dell’articolo 2226 c.c.”.

1.4 – Col quarto motivo di ricorso si deduce: “Error in iudicando in judicando; violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5; annullabilita’ della sentenza per motivazione contraddittoria; violazione e falsa applicazione dell’articolo 1226 c.c.”.

La Corte di Appello si e’ determinata all’applicazione dell’istituto di cui all’articolo 1226 c.c., ritenendo che il danno fosse certo nella sua esistenza ontologica ma non dimostrabile nel suo ammontare. Al riguardo, osserva la ricorrente che il danno “nella ricostruzione logica della Corte scaturisce da tre distinti fattori ed esattamente dalla perdita di sicurezza dei signori (OMISSIS) per la possibilita’ di facile accesso di terzi all’immobile, per la diminuzione di godibilita’ di quest’ultimo e per la perdita di valore economico dello stesso”. Tali affermazioni, secondo la ricorrente, sono state smentire dal CTU che “ha accertato che la copertura del locale risulta essere impraticabile non avendo accesso ne’ dall’appartamento della (OMISSIS) ne’ dalla strada adiacente di guisa che le condizioni di sicurezza sono rimaste immutate con la costruzione del locale”. Quanto poi “alla godibilita’ dell’immobile non e’ rinvenibile nel caso concreto una diminuzione di aria o di luce o comunque una diminuita godibilita’ del bene” (altezza della costruzione “di appena settantacinque centimetri nel lato piu’ vicino ai signori (OMISSIS) sicche’ non ne risulta pregiudicato in alcun modo ne’ il godimento del loro bene ne’ la visuale libera”. In relazione, infine, alla perdita di valore dell’immobile, era necessario fornire la prova della “concretezza del danno e dunque dimostrare la flessione patrimoniale subita dall’immobile per effetto della condotta della (OMISSIS)”.

Viene formulato il seguente quesito: “Dica la Corte Suprema di Cassazione se la costruzione realizzata dalla (OMISSIS), tenuto conto delle sue caratteristiche quali indicate dal C.T.U., possa giustificare, in difetto di prova da parte dei Sigg. (OMISSIS), la liquidazione equitativa del danno”.

2. Il ricorso e’ infondato e va rigettato.

2.1 – Il primo motivo appare inammissibile. Si denuncia l’omessa motivazione (ex articolo articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) sul punto decisivo della deliberazione autorizzativa condominiale che consentiva la realizzazione del manufatto localizzato su area condominiale. Si tratta di questione nuova, che non appare trattata dalla sentenza impugnata. Di qui l’inammissibilita’. In tale situazione, la ricorrente avrebbe dovuto previamente censurare, ex articolo 112 c.p.c., e articolo 360 c.p.c., n. 4, l’omessa pronuncia su uno specifico preteso motivo di impugnazione ed, a tal fine, per l’autosufficienza del ricorso, avrebbe anche dovuto riprodurre nell’atto la pertinente ragione svolta con l’impugnazione.

2.2 Il secondo motivo e’ in parte inammissibile e in parte infondato. Si denuncia la violazione dell’articolo 873 c.c., e articolo 5, comma 9 delle n.ta. del P.R.G.. Si assume la legittimita’ dell’opera perche’: 1) autorizzata dal condominio e dallo stesso condomino (OMISSIS); 2) condonata; 3) rispettosa della normativa sismica; 4) l’articolo 873 c.c., non disciplina le distanze dal confine ma quelle tra fabbricati.

Il motivo propone correttamente la questione relativa al rispetto delle distanze all’interno di un condominio, in relazione al condiviso principio di diritto, affermato da questa Corte anche di recente con la sentenza n. 6546 del 18/03/2010, secondo la quale “Le norme sulle distante sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purche’ siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioe’ quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilita’ della disciplina generale sulle distante che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, e’ in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprieta’ contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale”.

Peraltro il motivo, cosi’ come proposto, non supera il rilievo dell’apparente novita’ delle questioni sia quanto all’esistenza di una delibera autorizzativa (di cui il motivo precedente) e sia quanto all’esplicito consenso dato dagli originali attori alla realizzazione dell’opera. Occorre osservare ulteriormente che, in base alla concessione, la costruzione avrebbe dovuto essere realizzata completamente interrata e vi e’ da supporre che la delibera condominiale fosse in tal senso. Il motivo, quindi, e’ carente di specificita’ quanto al contenuto della delibera richiamata, risultando poi manifestamente infondata la questione relativa all’interpretazione dell’articolo 873 c.c..

2.3 Il terzo e il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente e sono infondati. Si deduce violazione degli articoli 1126 e 2043 c.c., sulla esistenza e prova del danno, nonche’ vizio di motivazione sulla determinazione dell’entita’ del danno.

Occorre osservare che nel caso di violazione delle norme sulle distanze il danno e’ in re ipsa e la sua liquidazione equitativa e’ giustificata dall’impossibilita’ della sua precisa determinazione. Quanto alla determinazione della sua entita’, la liquidazione non appare illogica, in relazione alle circostanze poste a suo fondamento, tenuto conto degli anni decorsi dalla realizzazione del manufatto (anteriormente al 1992) e dell’anno della sentenza di appello che ha riconosciuto il diritto (2007).

3. Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 3.500,00 (tremilacinquecento) euro per compensi e 200,00 (duecento) euro per spese, oltre accessori di legge.

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