Nel condominio, l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, come quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale; ne consegue che la revisione delle tabelle (ancorché di origine contrattuale) non deve essere approvata con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 gennaio – 12 febbraio 2014, n. 3221
Presidente Oddo – Relatore Proto

Svolgimento del processo

Con citazione in data 1/2/2001 l’avv. B.O. , in proprio e quale condomino, conveniva in giudizio il Condominio di via (omissis) e impugnava la delibera condominale assunta in data 18/12/2000 deducendone (per quanto interessa in relazione ai motivi del ricorso) l’illegittimità con riferimento alla ripartizione delle spese relative al riscaldamento, alla modifica delle tabelle millesimali ragione dell’intervenuto passaggio, nel riparto, di un box di altro condomino da una scala ad un’altra e al negato rimborso delle spese sostenute per il rifacimento delle terrazze a livello di sua proprietà.
Il Condominio si costituiva chiedendo il rigetto dell’impugnazione per infondatezza.
Il Tribunale di Lecco con sentenza del 18/4/2003 accoglieva l’impugnazione limitatamente al riparto delle spese per il funzionamento dell’ascensore e per la pulizia, smaltimento rifiuti e acqua e la rigettava nel resto, compensando per quattro quinti le spese processuali e condannando il Condominio al pagamento del residuo quinto.
B. appellava la sentenza riproponendo, tra l’altro e sempre per quanto qui interessa, le censure sulla ripartizione delle spese di riscaldamento, sul passaggio, nel riparto spese, di un box di altro condomino da una scala ad un’altra e sul negato rimborso, nella misura di 2/3 delle spese sostenute per il rifacimento delle terrazze a livello di sua proprietà, rimborso che assumeva dovuto quanto meno a titolo di ingiustificato arricchimento.
Il Condominio si costituiva, chiedeva il rigetto dell’appello e, con appello incidentale, chiedeva la condanna dell’attore all’integrale pagamento delle spese del primo grado o, in subordine nella misura non inferiore al 50%.
La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 4/4/2007 rigettava l’appello principale e quello incidentale e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.
La Corte di appello, con riferimento alle censure oggetto del presente ricorso principale, rilevava:
– che giustamente il primo giudice aveva ritenuto l’inammissibilità della domanda proposta dall’attore solo in comparsa conclusionale, con la quale non si censurava più l’astratto criterio di ripartizione utilizzato, ma la misura dei metri quadrati delle superfici radianti;
– che, inoltre, in relazione alle precisazioni del condominio, sarebbe stato onere dell’attore non solo dedurre che la superficie radiante era diversa da quella dichiarata, ma anche offrire la prova di quanto affermato per sostenere la sua tesi, ossia che vi era stato un mutamento, da parte dei condomini, delle superfici radianti;
– che il giudice di primo grado aveva correttamente motivato il rigetto dell’impugnazione della delibera nella parte in cui assegnava a un box ad una scala piuttosto che ad un’altra; la Corte distrettuale osservava che nel motivo di impugnazione della delibera non era stato neppure dedotto che la deliberazione avesse inciso sulla sua quota millesimale e ciò ne rendeva inammissibile l’impugnazione per difetto di interesse; in ogni caso, il motivo andava rigettato anche nel merito in quanto le tabelle millesimali e la quota millesimale dell’attore non erano state modificate con la deliberazione che non aveva avuto ad oggetto alcun mutamento delle tabelle, ma solo la ricollocazione meramente formale del box sotto la scala B piuttosto che sotto la scala A;
– che doveva essere semplicemente corretta la motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui rigettava la richiesta di rimborso dei due terzi della spesa, sostenuta nel 1995, per il rifacimento della terrazza a livello di proprietà dell’attore perché non doveva essere applicato l’art. 1134 c.c. e non era rilevante che le spese non fossero urgenti perché alla fattispecie avrebbe astrattamente potuto applicarsi l’art. 1126 c.c. se le spese avessero riguardato opere di copertura, almeno parziale, dell’edificio;
– che tuttavia l’obbligo di contribuzione dei condomini doveva intendersi limitato all’utilitas che gli stessi ne traevano ed entro tali limiti sorgeva l’obbligo contributivo con i connessi poteri deliberativi dell’assemblea che restavano circoscritti alla riparazione, ricostruzione e sostituzione degli elementi strutturali del lastrico che fossero inscindibilmente connessi alla funzione di copertura e quindi solo i condomini che usufruiscono dell’utilità sono tenuti a contribuire per tutto quanto non serva all’utilità comune, ma a soddisfare diverse utilità del lastrico o di quelle parti che di esso siano di uso esclusive;
– che né dai documenti prodotti, né dai capitoli di prova risultava che le spese concernessero la riparazione, ricostruzione e sostituzione di elementi strutturali dei balconi inscindibilmente connesse con la loro funzione di copertura e, al contrario, risultavano riguardare la sola pavimentazione con relativi materiali e finiture restando dunque applicabile l’art. 1125 c.c. a norma del quale le opere fungenti da copertura di piani sottostanti sono a carico del proprietario del piano superiore se concernono lavori inerenti la copertura del pavimento; i lavori, in altri termini, non riguardavano la parte sottostante i balconi fungente da soffitto di quelli sottostanti, essendo invece dirette a soddisfare esigenze dell’appartamento e relativi balconi di proprietà e ad assolvere oneri manutentivi in funzione dell’uso esclusivo del proprietario;
– che neppure poteva essere accolta la domanda di ingiustificato arricchimento perché, per le considerazioni sopra svolte (in tema di mancanza di utilitas) era da escludersi un arricchimento, infine, perché dall’ammaloramento dei balconi di esclusiva proprietà poteva sorgere un rischio di infiltrazioni a danno di altri condomini così che veniva a mancare il presupposto stesso dell’arricchimento senza giusta causa, trattandosi di spesa sostenuta in adempimento dell’obbligo del proprietario di mantenere la cosa propria in condizioni di non arrecare danni a terzi.
B.O. propone ricorso affidato a dieci motivi; resiste con controricorso il condominio che ha depositato delibera autorizzativa.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 112, 115, 116, 163 nn. 3 e 4, 167, 183 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..
Il ricorrente, formulando il corrispondente quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., ora abrogato, ma applicabile ratione temporis, sostiene di avere contestato, per la ripartizione delle spese di riscaldamento, l’utilizzo di coefficienti di cui l’assemblea non era in grado di spiegare la provenienza e la formazione, né i criteri utilizzati per la loro determinazione e che pertanto questa contestazione doveva intendersi rivolta contro ogni elemento costitutivo della ripartizione delle spese e dunque non solo contro il criterio astratto utilizzato, bensì, una volta determinato il criterio astratto, anche avverso il procedimento di verifica, misura e calcolo dei coefficienti da utilizzare, (nella specie i metri quadri radianti), nonché avverso le modalità e il tempo in cui detti coefficienti sono stati approvati.
1.1 Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha rilevato che con la citazione l’attore aveva dedotto che “risulta sconosciuto il criterio utilizzato per il riparto delle spese di riscaldamento. L’assemblea ha utilizzato dei coefficienti (30,58 per la proprietà dell’attore) di cui non è in grado di spiegare la provenienza e la formazione, né i criteri utilizzati per la loro determinazione”.
La Corte di Appello, interpretando la domanda, ha inoltre rilevato:
– che con la citazione era stato contestato il criterio astratto di ripartizione delle spese di riscaldamento e che solo con la comparsa conclusionale era stata contestata la misura dei metri quadri delle superfici radianti;
– che la censura si riferiva in effetti allo sconosciuto criterio di riparto (così testualmente nella citazione) senza nessun accenno alla superficie radiante, cui non facevano riferimento nemmeno i capitoli di prova formulati nell’atto e neppure quelli formulati nella memoria istruttoria, nonostante il Condominio ne avesse fornita indicazione nel costituirsi.
In altra parte della motivazione ha altresì rilevato che, a fronte delle chiare precisazioni deduttive fornite sul punto dal Condominio, l’attore avrebbe dovuto tempestivamente controdedurre e chiedere la prova che la superficie radiante fosse diversa da quella indicata dal condominio.
Osserva questa Corte:
– che ogni motivo di impugnazione di delibera condominiale si risolve in un titolo autonomo e quindi in una domanda autonoma;
– che l’interpretazione della domanda compiuta dal giudice d’appello costituisce accertamento di merito, che può essere sindacato unicamente ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per vizio di motivazione, a meno che non coinvolga situazioni di fatto rilevanti ai fini dell’accertamento di un vizio processale;
– che nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione il giudice non è tenuto ad uniformarsi al tenore letterale degli atti dovendo aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante;
– che, tuttavia, secondo la Corte di Appello, il fatto costitutivo della pretesa costituito dalla mancata corrispondenza della superficie radiante considerata nel calcolo dovuta al mutamento apportato dai singoli condomini alle proprie unità radianti era stato prospettato solo con la comparsa conclusionale. Sulla base di tali premesse occorre concludere che la domanda, come formulata in comparsa conclusionale (esaminata da questa Corte, insieme all’atto di citazione, in considerazione della natura processuale del vizio dedotto) è stata correttamente qualificata dai giudici del primo e del secondo grado domanda nuova in quanto coinvolgente elementi di fatto del tutto nuovi rispetto alla generica deduzione, contenuta in citazione, secondo la quale “risulta sconosciuto il criterio utilizzato per il riparto delle spese di riscaldamento. L’assemblea ha utilizzato dei coefficienti (30,58 per la proprietà dell’attore) di cui non è in grado di spiegare la provenienza e la formazione, né i criteri utilizzati per la loro determinazione”.
La nuova censura, infatti, rendeva necessaria una specifica attività istruttoria, mai richiesta né con la citazione né nel corso di causa e solo per la prima volta con la comparsa conclusionale, quando ormai ogni attività istruttoria era preclusa.
Va aggiunto che la Corte di Appello ha anche rilevato che l’attore non aveva neppure dedotto e domandato di provare che la superficie radiante di sua pertinenza fosse diversa da quella indicata dal condominio e che era rimasto indimostrato l’assunto secondo il quale vi sarebbe stato un mutamento delle superfici radianti apportato dai singoli condomini; ciò conferma che il tema di indagine non era stato neppure proposto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1123 e 2697 c.c..
Il ricorrente, formulando il corrispondente quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., chiede se, proposta impugnazione di una delibera condominiale con la quale si contestino i criteri di ripartizione di una spesa (nella specie, spese di riscaldamento) l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della ripartizione effettuata (criterio utilizzato, determinazione delle misure – coefficienti, millesimi, ecc. – approvazione degli stessi è a carico del Condominio in quanto creditore della somma nei confronti del singolo condomino e che quindi non basta un semplice riferimento alle tabelle sempre utilizzate.
2.1 Il motivo è assorbito dal rigetto del primo motivo: stabilito che la domanda diretta all’annullamento della delibera condominiale per mancata prova della misura dei metri quadrati delle superfici radianti era domanda nuova e quindi inammissibile e che non erano neppure indicati, dall’attore, in quali esatti termini si fosse consumata la violazione in suo danno, non rileva stabilire su chi incombesse la prova del credito del condominio, posto che il credito del Condominio è stato correttamente accertato in relazione al criterio astratto di ripartizione (sulla base delle superfici radianti) e non poteva essere accertato diversamente e sul presupposto, meramente ipotizzato, che le stesse fossero state modificate o non correttamente rilevate, perché la relativa domanda non era stata proposta. 3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1118, 1123, 1135, 1136 c.c. e degli artt. 68 – 69 disp. att. c.p.c. e sostiene che sarebbe illegittima la modifica delle tabelle millesimali attuata con l’esclusione del box del condomino C. dalla partecipazione alle spese della scala A perché il box non veniva più considerato ai fini della ripartizione delle spese della scala A, ma veniva considerato per la ripartizione delle spese (che assume di importo inferiore) della scala B; questa modifica, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto essere deliberata all’unanimità e avrebbe alterato la precedente ripartizione delle spese della scala A, superiori a quelle della scala B.
Il ricorrente sostiene ancora che il suo appartamento concorre, quanto alle spese della scala A, per un importo maggiore per effetto dello scorporo del box e rileva che gli altri box non avevano millesimi separati da quelli degli appartamenti; il risultato finale sarebbe che un appartamento della scala A), in conseguenza dello scorporo, si troverebbe ad avere meno millesimi con incidenza sulle spese di acqua e ascensore (che il condominio controricorrente ha calcolati per il (Ndr: testo originale non comprensibile) in Euro 1,83 l’anno: v. pag. 13 del controricorso).
Il ricorrente, formulando il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. chiede se le tabelle millesimali contrattuali contenute nei singoli atti di vendita predisposti dal costruttore possano essere modificate soltanto con l’unanime consenso di tutti i condomini oppure solo ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.p.c. nei casi ivi previsti e se è da ritenersi illegittima la divisione, operata unilateralmente da un condomino della propria unità immobiliare, in due distinte cedendone una in proprietà a terzi e suddividendo i millesimi originari in due parti e se è illegittima la delibera dell’assemblea che ratifica a maggioranza semplice il comportamento del detto condomino facendo partecipare al voto un condomino in più di quelli contrattualmente previsti, alterando il numero dei partecipanti e le maggioranze assembleari, modificando l’originaria partecipazione alle spese dell’unità scissa e spostando la nuova unità da una scala all’altra, alterando la suddivisione delle spese di cui all’art. 1123 comma 3 c.c..
3.1 Il motivo è infondato con riferimento alle violazioni di legge contestate.
Infatti:
– l’art. 1118 c.c., che stabilisce i diritti dei partecipanti sulle cose comuni, non rileva nella presente fattispecie nella quale il ricorrente si duole di un asserito maggiore esborso per spese condominiali;
– non sono violati gli artt. 1135, 1136 c.c., 68 e 69 disp. att. c.p.c. perché, quand’anche si volesse attribuire ad una delibera che si limita a regolare in modo diverso i criteri di ripartizione delle spese generali, la natura di delibera di modifica dei millesimi, la delibera comunque non doveva essere approvata all’unanimità, ma a semplice maggioranza perché nel condominio, l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, come quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale; ne consegue che la revisione delle tabelle (ancorché di origine contrattuale) non deve essere approvata con il consenso unanime dei condomini (come infondatamente sostiene il ricorrente a pagina 13 del ricorso, richiamando la sua iniziale citazione), essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma (Cass. S.U. 9/8/2010 n. 18477);
– non è violato l’art. 1123 c.c.: la norma non regola le concrete modalità di determinazione dei millesimi, ma si limita a stabilire che essi devono essere espressione del valore di ogni piano o porzione di piano; il terzo comma si limita a stabilire che nel caso di edificio con più scale le spese per la manutenzione delle scale sono ripartite tra il gruppo dei condomini che ne trae utilità e non risulta che tale criterio sia stato violato.
La cosiddetta scissione del box dall’appartamento era stata censurata non già in quanto in sé illegittima (e comunque lo scopro poro non è di per sé illegittimo), ma in quanto aveva comportato un diverso criterio di ripartizione delle spese e pertanto, premesso che non sono ravvisabili le violazioni di legge denunciate nel motivo, al quesito occorre rispendere nel senso che la delibera è legittima anche se approvata a maggioranza semplice.
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 112, 115, 116, 167, 183 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..
Il ricorrente sostiene:
– che la Corte di Appello avrebbe fatto erronea applicazione delle norme in materia di prove e del principio di non contestazione secondo il quale, dedotto un fatto dell’attore, lo stesso è da ritenersi pacifico e non bisognoso di prova quando la parte non lo abbia confutato in modo specifico, avendo l’attore assolto il proprio onere probatorio a seguito del comportamento di non contestazione serbato dal convenuto così che il giudice avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato;
– che non era contestato che le terrazze fungessero da copertura dell’edificio e non era stata contestata la documentazione prodotta; il giudice di appello non poteva prescindere dalla mancata contestazione.
Il ricorrente, formulando il quesito di diritto, chiede:
– se quando l’attore alleghi un fatto preciso e produca documenti che lo comprovano è onere del convenuto contestare detto fatto in modo specifico e preciso nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza ritenersi tale fatto pacifico e l’attore non più gravato dal relativo onere probatorio;
– se viola l’art. 116 c.p.c. la sentenza che afferma che l’attore non ha dato prova del proprio diritto né con i documenti prodotti né con le prove testimoniali, mentre sia quei documenti sia le dichiarazioni rese dai testi dimostrano il contrario.
4.1 Il motivo è infondato in quanto alla semplice affermazione dell’attore che erano presenti “infiltrazioni visibili sul soffitto del terrazzo sottostante di proprietà Bo. /S. i quali più volte si erano lamentati nei confronti dei proprietari del piano soprastante” (v. pag 27 del ricorso) e circa il fatto di avere prodotto documentazione comprovante le opere e le spese il Condominio reagiva contestando che le opere (eseguite nella proprietà dell’attore) per le quali si richiedeva il concorso nelle spese avessero utilità per il condominio e questo era appunto il thema decidendum della causa poi affrontato dalla Corte di appello, rilevando che l’attore non aveva provato che le spese rivestissero utilità quanto alla funzione di copertura dell’edificio.
Questa ratio decidendi comporta anche l’irrilevanza del secondo profilo di censura, relativo alla documentazione degli interventi eseguiti in quanto non è contestato dalla Corte di appello che gli interventi documentati fossero stati effettivamente eseguiti, ma è stato ritenuto che non vi fosse prova che gli stessi riguardassero elementi strutturali inscindibilmente connessi con la funzione di copertura perché costituivano, sostanzialmente, lavori di pavimentazione del balcone mirati ad assolvere obblighi di manutenzione di interesse esclusivo del proprietario.
5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione agli artt. 116, 167, 183 c.p.c. e con riferimento al mancato esame degli elementi probatori indicati nel quarto motivo e alla mancata applicazione del principio di non contestazione.
5.1 Il motivo deve essere rigettato per le stesse ragioni poste a fondamento del rigetto del quarto motivo dalle quali risulta che la Corte di appello ha sufficientemente motivato la propria decisione.
6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1126 c.c. per il mancato riconoscimento del diritto al rimborso delle spese sostenute per il rifacimento delle terrazze a livello e che assume dovute proprio in applicazione dell’art. 1126 c.c. senza che sia possibile distinguere tra spese a carico del condominio e spese a carico del proprietario esclusivo.
Il ricorrente, formulando il quesito di diritto, chiede se, nei casi di riparazione o ricostruzione di una terrazza a livello, ai fini del riparto delle spese si applichi l’art. 1126 e non l’art. 1125 c.c. e se dette spese comprendano il rifacimento della soletta, dell’impermeabilizzazione, della pavimentazione, la demolizione della copertura esistente con smaltimento dei relativi detriti, il trasporto dei materiali e, in genere e in genere tutte le spese siano esse di natura ordinaria o straordinaria attinenti alla funzione di copertura.
6.1 La Corte di appello ha rilevato, richiamando la documentazione fotografica prodotta, che le opere riguardavano balconi con ringhiera di protezione costituenti la mera continuazione all’esterno dell’appartamento dell’attore i quali avevano una funzione, meramente sussidiaria, di copertura dei balconi sottostanti e non di copertura dell’appartamento sottostante; tuttavia, dai documenti e dai capitoli di prova non risultava che le spese concernessero riparazione, ricostruzione e sostituzione di elementi strutturali inscindibilmente connesse alla funzione di copertura, costituendo, invece lavori di pavimentazione.
Trattasi quindi di un apprezzamento di fatto che motivatamente esclude la finalizzazione delle opere alla funzione di copertura e questa ratio decidendi è coerente con la norma (art. 1126 c.c.) che si assume violata; la circostanza, di mero fatto, che la guaina possa essere stata in parte o in tutto sostituita come inevitabile conseguenza dei lavori di pavimentazione, non rileva.
7. Con il settimo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2041, 2042, 2051 e 1126 c.c.. Il ricorrente sostiene di non essere l’unico soggetto tenuto alla manutenzione del proprio bene in modo da non arrecare danni a terzi, ma che anche il Condominio era tenuto ad evitare che l’ammaloramento della copertura del condominio non provocasse danni a terzi e che pertanto anche tutti i condomini erano tenuti alla manutenzione per impedire che la copertura potesse arrecare danni alle proprietà individuali. Il ricorrente, formulando il quesito di diritto, premesso che la terrazza a livello anche se di proprietà esclusiva del singolo condomino, assolve la funzione di copertura degli appartamenti sottostanti, chiede se ne consegua che a norma dell’art. 1126 c.c. tutti i condomini la cui terrazza funge da copertura, siano tenuti alla manutenzione e pertanto dei danni cagionati all’appartamento sottostante per le infiltrazioni di acqua provenienti della terrazza deteriorata debbano rispondere tutti i condomini secondo i criteri di spesa stabiliti dall’art. 1126.
7.1 Il motivo è infondato in quanto muove dal presupposto, negato motivatamente dalla Corte di appello (che ne rileva la finalizzazione ad un esclusivo interesse del proprietario), che le opere avessero incidenza sulla funzione di copertura del bene condominiale e pertanto resta escluso l’arricchimento.
8. Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1110, 1126, 1134 e 1135 c.c. e sostiene che le opere erano urgenti e che, anche se non lo fossero state, avendole egli eseguite non sulla cosa comune, ma sulla cosa di sua proprietà, benché di utilità per la cosa comune, non avrebbe avuto necessità di alcuna autorizzazione.
Formulando il quesito di diritto chiede se nel condominio sia o meno applicabile l’art. 1134 c.c. alla terrazze a livello non costituendo parti comuni, ma solo utilità comuni e se integra il requisito dell’urgenza il rifacimento delle terrazze definite dall’amministratore in pessime condizioni con ristagni e infiltrazioni sulla proprietà sottostante, posto che il proprietario ha l’obbligo di provvedere quale custode ad eliminare le caratteristiche dannose del bene comune e se la delibera con la quale l’assemblea approva il rifacimento della copertura del condominio costituita in parte da tetto a falde e in parte da terrazze di proprietà esclusiva debba intendersi come approvativa anche del rifacimento delle terrazze in assenza di contraria volontà dell’assemblea.
8. L’art. 1134 c.c. stabilisce che il diritto al rimborso compete al condomino che abbia sostenuto spese per la cosa comune e non sulla cosa comune e pertanto sorge solo in funzione dell’utilità che la spesa abbia avuto sulla cosa comune indipendentemente che la stessa sia stata sostenuta sulla cosa di sua proprietà e siccome, per le ragioni sopra evidenziate è stato motivatamente escluso dalla Corte di appello l’utilità per la cosa comune, il motivo, in larga misura fondato su questioni di mero fatto sulle quali si è pronunciata la Corte di Appello escludendo proprio che fossero provate le affermazioni dell’odierno ricorrente, resta assorbito dal rigetto dei motivi precedenti.
9. Con il nono motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2041, 2042 e 1134 c.c..
Il ricorrente sostiene che se non poteva ab origine chiedere il rimborso doveva essergli riconosciuta l’azione di arricchimento e di conseguenza l’azione era ammissibile e formulando il quesito chiede se l’azione ex art. 2041 c.c. spetti al condomino che abbia eseguito opere su parti destinate ad una utilitas comune ancorché di proprietà esclusiva, quando venga respinta l’azione di rimborso ex art. 1134 c.c. per difetto dei requisiti di autorizzazione e urgenza.
9.1 Il motivo è inammissibile in quanto estraneo alla ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo la quale le spese non avevano avuto utilità per il condominio.
10. Con il decimo motivo il ricorrente deduce omessa pronuncia ed error in procedendo in relazione alla liquidazione delle spese processuali operata dal giudice del primo grado.
Il ricorrente sostiene di avere censurato la sentenza di primo grado in ordine alla parziale compensazione delle spese e alla liquidazione dei compensi, liquidati in misura ridotta rispetto alla nota spese e con liquidazione cumulativa di diritti e onorari.
10.1 Il motivo è infondato quanto all’omessa pronuncia sulla parziale compensazione delle spese.
Infatti la Corte di Appello (v. pagg. 21 e 22 della sentenza di appello), con riferimento all’appello incidentale del Condominio, ma con statuizione che assorbe anche la censura del B. , ha espressamente preso in esame la sentenza appellata sotto il profilo della compensazione delle spese valutando come corretta la parziale compensazione e non necessaria una rigorosa proporzione rapportata al numero delle domande o capi della domanda accolti, con l’unico limite per cui il carico delle spese non può gravare sulla parte totalmente vittoriosa.
Con riferimento alla riduzione della nota spese e alla liquidazione cumulativa il motivo è inammissibile per genericità della denuncia della violazione della tariffa in quanto non riporta il contenuto della nota (v. Cass. 27/3/2013 n. 7654 Ord.); va aggiunto, per completezza, che neppure nelle conclusioni dell’atto di appello (come correttamente riportate nell’epigrafe della sentenza) si faceva riferimento all’ammontare della liquidazione di onorari diritti e spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna B.O. a pagare al Condominio Petrarca di Lecco le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.500,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi.

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