In mancanza di titolo, il sottotetto è compreso nelle parti comuni solo nel caso in cui il vano risulti oggettivamente destinato sia pure in via potenziale all’uso comune oppure all’esercizio di servizio di interesse condominiale

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 dicembre 2013 – 29 gennaio 2014, n. 1953
Presidente Triola – Relatore Correnti

Svolgimento del processo

Con ricorso 27.2.1992 al pretore di L’Aquila Q.A., proprietaria di un immobile in via Castello 79, esponeva che negli ultimi mesi del 1991 era venuta a conoscenza che S.A.M., nell’effettuare lavori nello stesso fabbricato, aveva precluso alla ricorrente l’uso del sottotetto avendo chiuso l’accesso; lamentava anche l’abbassamento del solaio e l’apertura del lucernaio, destinando il sottotetto ad uso esclusivo, con l’intenzione di farne una mansarda, con spossessamento della stessa ricorrente.
Chiedeva la reintegrazione nel possesso, la sospensione dei lavori e la rimozione delle opere fatte.
La S. contestava il possesso e la proprietà della soffitta, pertinenza del suo immobile.
Con sentenza 886/2003 la domanda veniva rigettata, decisione confermata dalla corte di appello con sentenza 24.1.2007 che negava la prova di un possesso o compossesso non essendo idonea la circostanza che la ricorrente si fosse portata nel sottotetto in occasione di lavori concernenti il suo appartamento e l’applicazione dell’art. 1117 n. 1 cc perché in mancanza di titolo il sottotetto è compreso nelle parti comuni solo nel caso in cui il vano risulti oggettivamente destinato sia pure in via potenziale all’uso comune oppure all’esercizio di servizio di interesse condominiale (Cass. 8968 del 20.6.2002).
Ricorre Q. con due motivi, variamente articolati e relativi quesiti, resiste S.

Motivi della decisione

Preliminare è l’esame dell’eccezione di difetto di procura ad litem per mancanza di specificità, che va respinta trattandosi di procura in calce al ricorso.
Col primo motivo si denunziano: violazione degli artt. 112, 115, 191, 277 cpc, 1140, 2697 cc, vizi di motivazione per omessa indicazione degli elementi in fatto, per la ritenuta insussistenza del possesso, per l’esclusione del possesso della comproprietaria.
Col secondo motivo si denunziano violazione degli artt. 112, 115, 191, 277 cpc, difetto di motivazione criticando la tesi della S. sulla impossibilità di accesso, col quesito sull’omesso esame di prove testimoniali, violazione dell’art. 1117 cc e vizi di motivazione, con relativo quesito.
Le censure non meritano accoglimento.
La sentenza impugnata ha negato la prova di un possesso o compossesso non essendo idonea la circostanza che la ricorrente si fosse portata nel sottotetto in occasione di lavori concernenti il suo appartamento e l’applicazione dell’art. 1117 n. 1 cc perché in mancanza di titolo il sottotetto è compreso nelle parti comuni solo nel caso in cui il vano risulti oggettivamente destinato sia pure in via potenziale all’uso comune oppure all’esercizio di servizio di interesse condominiale (Cass. 8968 del 20.6.2002).
In particolare, avendo la S. negato il compossesso, sarebbe spettato alla Q. fornire la prova.
Dalle foto era possibile desumere che il sottotetto aveva la funzione di camera d’aria e non aveva le caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo.
Questa essendo la ratio decidendi le odierne doglianze sono inidonee a ribaltarla dando luogo a generiche e non decisive critiche alla motivazione con quesiti meramente assertivi.
Non solo non si forniscono elementi utili a dimostrare un possesso che non può essere desunto da uno sporadico ed occasionale accesso ma, di fronte, ad una motivazione fondata su richiami giurisprudenziali, non si invoca un diverso e più appagante orientamento consolidato.
Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese, liquidate come da dispositivo

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso con condanna alle spese, liquidate in euro 2200, di cui 2000 per compensi, oltre accessori.

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