In tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente che abbia esercitato il potere di recesso riconosciutole dalla legge è legittimata, ai sensi dell’art. 1385 comma 2 c.c., a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata: in tal caso, la caparra confirmatoria assolve la funzione di liquidazione convenzionale e anticipata del danno da inadempimento. Qualora, invece, detta parte abbia preferito, ai sensi del dell’art. 1385 comma 3 c.c., domandare la risoluzione (o l’esecuzione del contratto), il diritto al risarcimento del danno rimane regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio subito dovrà, in tal caso, essere provato nell’an e nel quantum, giacché la caparra conserva solo la funzione di garanzia dell’obbligazione risarcitoria.

 
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 novembre – 17 dicembre 2013, n. 28204
Presidente Bucciante – Relatore Matera

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 19-7-1995 la s.r.l. Immobiliare Marina House conveniva dinanzi al Tribunale di Latina L.M. , deducendo che quest’ultimo si era reso inadempiente all’obbligo, assunto con contratto preliminare del 24-5-1994, di trasferire all’attrice la proprietà di un terreno in località Marina di Latina, edificabile in base ad un progetto di costruzione “esecutivo”. L’attrice chiedeva, conseguentemente, che venisse ridotto il prezzo di acquisto o, in subordine, venisse dichiarato risolto il contratto preliminare, con condanna del convenuto al risarcimento del danno arrecato.
Nel costituirsi, il L. contestava la fondatezza della domanda e chiedeva in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attrice, la quale, dopo aver versato la somma di lire 300.000.000 (su un totale di lire 1.050.000.000), aveva emesso due assegni per ulteriori 300.000.000, messi all’incasso e ritornati insoluti e protestati.
Con sentenza n. 329M999 il Tribunale respingeva le domande dell’attrice e, in accoglimento della riconvenzionale del L. , qualificata come intesa a far valere la facoltà di recesso ex art. 1385 c.c., dichiarava il diritto del convenuto a trattenere quanto ricevuto a titolo di caparra.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la s.r.l. Marina 3000 in Liquidazione (già s.r.l. Immobiliare Marina House).
Con sentenza in data 30-11-2006 la Corte di Appello di Roma, qualificata la domanda riconvenzionale come volta ad ottenere la risoluzione contrattuale, riformava la sentenza di primo grado, nella parte in cui riconosceva il diritto del L. a ritenere la caparra come conseguenza del diritto di recesso, e condannava il convenuto a restituire il relativo importo, maggiorato degli interessi legali, alla s.r.l. Marina 3000 in Liquidazione.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso L.M. , sulla base di due motivi.
La s.r.l. Marina 3000 in Liquidazione ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 183, 184 e 345 c.p.c., deducendo che la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio l’inammissibilità della domanda di restituzione della caparra, formulata dall’attrice solo all’udienza di precisazione delle conclusioni di primo grado del 27-10-1998, e dalla stessa società reiterata in appello.
Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bips c.p.c.: Dica la Corte se, nel vigore delle preclusioni di cui al nuovo testo degli artt. 183, 184 e 345 cpc, introdotto dalla l. n. 553 del 1990, la domanda di restituzione delle somme ricevute a titolo di caparra confrirmatoria dal L. , domanda formulata solo in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado dall’attrice, e poi da quest’ultima ribadita in appello, si debba considerare “nuova” e come tale debba essere dichiarata inammissibile d’ufficio.
2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 e 1453 c.c., nonché il vizio di motivazione, in relazione alla qualificazione della domanda riconvenzionale proposta dal L. come di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento. Deduce che, come era stato esattamente rilevato dal Tribunale, la predetta domanda, al di là della terminologia usata, era chiaramente intesa all’esercizio del diritto di recesso con conseguente ritenzione della caparra versata, ai sensi dell’art. 1385 comma 2 c.c.. Rileva, in particolare, che nessuna domanda di risarcimento danni, quale conseguenza del grave inadempimento posto in essere dall’attrice in occasione dei fatti per cui è causa, era stata formulata dal L. , non potendosi considerare tale la richiesta risarcitoria avanzata dal convenuto nella comparsa di costituzione, avente ad oggetto solo ed esclusivamente le conseguenze dannose che sarebbero potute derivare al predetto dalla trascrizione della domanda proposta dall’attrice.
11 quesito di diritto posto è il seguente: Dica la Corte se la mancata proposizione di una formale domanda di recesso ex art. 1385 comma 2 c.c., escluda o meno che la stessa possa ritenersi ugualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando la stessa abbia richiesto la condanna della controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta come ragione legittimante la pronunzia di risoluzione del contratto, alla restituzione, quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria di siffatta inadempienza, della caparra a suo tempo corrisposta. In particolare, dica la Corte se la domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento con richiesta di incameramento della caparra confirmatoria avanzata dal L. nei confronti della Marina House s.r.l. possa essere qualificata dal giudice come atto di recesso unilaterale ex art. 1385 comma 2 c.c., tenuto conto che lo stesso L. non ha formulato richiesta di risarcimento danni, quale conseguenza del grave inadempimento posto in essere dalla predetta società.
2) Il secondo motivo, da esaminarsi in via prioritaria per ragioni di ordine logico e giuridico, è fondato.
Deve premettersi che il ricorrente, a pag 4 del ricorso, ha riportato in modo specifico ed esaustivo le conclusioni contenute nella comparsa di costituzione di primo grado, con cui era stata chiesta, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento della promittente acquirente, con conseguente riconoscimento del diritto del L. a trattenere la somma di lire 300.000.000 percepita a titolo di caparra confirmatoria, nonché la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni subiti a causa della trascrizione della citazione, con conseguente ordine alla competente Conservatoria di procedere alla relativa cancellazione.
Contrariamente a quanto dedotto dalla resistente, pertanto, il motivo in esame soddisfa il requisito di autosufficienza del ricorso per cassazione, consentendo di individuare in modo completo e preciso il contenuto della domanda riconvenzionale, di cui si assume l’erronea interpretazione da parte del giudice di appello.
Ciò posto, si rammenta che, in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente che abbia esercitato il potere di recesso riconosciutole dalla legge è legittimata, ai sensi dell’art. 1385 comma 2 c.c., a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata: in tal caso, la caparra confirmatoria assolve la funzione di liquidazione convenzionale e anticipata del danno da inadempimento. Qualora, invece, detta parte abbia preferito, ai sensi del dell’art. 1385 comma 3 c.c., domandare la risoluzione (o l’esecuzione del contratto), il diritto al risarcimento del danno rimane regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio subito dovrà, in tal caso, essere provato nell’an e nel quantum, giacché la caparra conserva solo la funzione di garanzia dell’obbligazione risarcitoria (Cass. 22-2-2011 n. 4278; Cass. 23-8-2007 n. 17923).
I due rimedi rispettivamente disciplinati dai commi 2 e 3 dell’art. 1385 c.c. a favore della parte non inadempiente per il caso di inadempimento della controparte, pertanto, hanno carattere distinto e non cumulabile, fermo restando che, in entrambe le ipotesi, l’inadempimento si identifica con quello che da luogo alla risoluzione, di cui il giudice è tenuto comunque a sindacare gravità e imputabilità (v. Cass. 19-2-1993 n. 2032; Cass. 23-1-1989 n. 398; Cass. 21-8-1985 n. 4451).
Tali principi sono stati di recente ribaditi dalle Sezioni Unite di questa Corte, la quale ha affermato che l’azione di risoluzione e di risarcimento integrale del danno e l’azione di recesso e di ritenzione della caparra si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale, venendo la finalità di liquidazione anticipata, forfetaria e stragiudiziale, tipica della richiesta di ritenzione della caparra, irrimediabilmente esclusa dalla pretesa giudiziale di un maggior danno da risarcire, conseguibile secondo le normali regole probatorie (v. Cass. Sez. Un. 14-1-2009 n. 553). Nella stessa pronuncia, è stato puntualizzato che la domanda di ritenzione della caparra è legittimamente proponibile, nell’incipit del processo, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalla parte nell’introdurre l’azione “caducatoria” degli effetti del contratto: se quest’azione dovesse essere definita “di risoluzione contrattuale” in sede di domanda introduttiva, sarà compito del giudice, nell’esercizio dei suoi poteri officiosi di interpretazione e qualificazione in iure della domanda stessa, convenirla formalmente in azione di recesso, mentre la domanda di risoluzione proposta in citazione, senza l’ulteriore corredo di qualsivoglia domanda “risarcitola”, non potrà essere legittimamente integrata, nell’ulteriore sviluppo del processo, con domande “complementari”, ne1 di risarcimento vero e proprio né di ritenzione della caparra, entrambe inammissibili perché nuove (Cass. Sez. Un. 14-1-2009 n. 553).
Nella specie, la Corte di Appello, nell’escludere che il L. , nel chiedere in via riconvenzionale l’incameramento della caparra, abbia inteso esercitare la facoltà di recesso ex art. 385 comma 2 c.c., e nell’affermare che, al contrario, il medesimo ha proposto una ordinaria domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento, ha da un lato considerato prevalente il nomen iuris attribuito dal convenuto all’azione proposta (risoluzione per inadempimento) rispetto al petitum (incameramento della caparra), e dall’altro rilevato che con la comparsa di costituzione il L. , oltre all’incameramento della caparra confirmatoria, aveva altresì domandato il risarcimento del danno per le ulteriori conseguenze sofferte: la contemporanea esistenza della domanda risolutoria e di quella risarcitoria, ad avviso del giudice del gravame, costituiva elemento univoco, idoneo a far ritenere esercitata una domanda di risoluzione.
La seconda argomentazione svolta dalla Corte territoriale risulta affetta da un palese vizio logico, muovendo dal presupposto secondo cui il convenuto, nella comparsa di costituzione, abbia chiesto, oltre alla ritenzione della caparra, anche il risarcimento dei danni subiti a causa dell’inadempimento della controparte. È evidente, al contrario, che il danno invocato dal L. non discendeva dall’inadempimento contrattuale in cui era incorsa la promittente acquirente, bensì da un fatto distinto, costituito dalla successiva trascrizione, da parte dell’attrice, della domanda giudiziale di risoluzione del contratto preliminare.
Sotto il profilo considerato, pertanto, la decisione impugnata rimane priva di un adeguato supporto motivazionale, non potendosi ritenere ostativa alla proposizione dell’azione di recesso ex art. 385 comma 2 c.c. la richiesta del promittente venditore intesa ad ottenere, oltre alla ritenzione della caparra confirmatoria, anche il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un comportamento del promittente acquirente autonomo e distinto rispetto al dedotto inadempimento contrattuale.
Né, alla luce dei principi innanzi richiamati, appare legittimo qualificare, sulla base del mero nomen iuris utilizzato dal convenuto, come di risoluzione una domanda riconvenzionale con la quale, in conseguenza dell’inadempimento della promittente acquirente, sia stato fatto valere il solo diritto all’incameramento della caparra confirmatoria da questa versata.
Per le ragioni esposte, in accoglimento del motivo in esame, si impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, la quale, nell’interpretare la domanda riconvenzionale, dovrà attenersi agli enunciati principi di diritto.
Il primo motivo di ricorso rimane assorbito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente grado ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma

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