Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti onde possa individuarsi la “scoperta” del vizio ai fini del computo dei termini annuali posti dall’art. 1669 CC – il primo di decadenza per effettuare la “denunzia” ed il secondo, che dalla denunzia stessa prende a decorrere, di prescrizione per promuovere l’azione -, deve effettuarsi con riguardo tanto alla gravità dei vizi dell’opera quanto al collegamento causale di essi con l’attività progettuale e costruttiva espletata; si che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del doppio termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori da dedursi e provarsi dall’appaltatore, solo all’atto dell’acquisizione di idonei accertamenti tecnici. Ne consegue che, nell’ipotesi di gravi vizi dell’opera la cui entità e le cui cause abbiano reso necessarie indagini tecniche, è consequenziale ritenere che una denunzia di gravi vizi da parte del committente possa implicare un’idonea ammissione di valida scoperta degli stessi, tale da costituire il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione, solo quando, in ragione degli effettuati accertamenti, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione ed imputazione delle loro cause alla data della denunzia (tra le tante v. Cass. 1-8-2003 n. 11740; Cass. 9-3-1999 n. 1993; Cass. 18-11-1998 n. 11613, Cass. 29-5-1998 n. 5311; Cass. 20-3-1998 n. 2977).

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 giugno – 9 settembre 2013, n. 20644
Presidente Felicetti – Relatore Matera
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 10-3-1995 il Condominio (omissis) conveniva in giudizio la ditta Tecnobiemme s.r.l., per sentir affermare la sua responsabilità, quale impresa costruttrice dell’edificio, per i vizi e difetti della costruzione, e sentirla conseguentemente condannare al risarcimento dei danni ed alle spese necessarie al ripristino dell’immobile.
La convenuta si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.
Con sentenza in data 4-11-2003 il Tribunale di Pavia, accertata la responsabilità della convenuta, condannava la stessa al pagamento della somma di Euro 71.559,23.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la Tecnobiemme s.r.l.
Con sentenza in data 25-1-2007 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava in Euro 68.995,53 l’entità del risarcimento dovuto al Condominio.
La Corte territoriale, in particolare, riteneva infondata l’eccezione di prescrizione annuale prevista dall’art. 1669 comma 2 c.c., sollevata dalla convenuta. Essa rilevava, al riguardo, che nella specie il termine di prescrizione era cominciato a decorrere solo dal 4-6-1994, data di asseveramento della perizia stragiudiziale a mezzo della quale i condomini avevano potuto avere la conoscenza, oltre che dei vizi, anche delle loro cause. Nel merito, il giudice del gravame ribadiva la sussistenza di gravi difetti di costruzione inerenti alle facciate esterne e ai vialetti d’ingresso pedonale. Esso, al contrario, escludeva che costituissero gravi difetti di costruzione i vizi relativi al terreno del giardino, ai coperchi dei pozzetti pluviali, alla sistemazione dei cancelli e delle superfici in cemento armato, e sottraeva, pertanto, dall’importo liquidato dal Tribunale le spese corrispondenti.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Tecnobiemme s.r.l., sulla base di cinque motivi.
Il Condominio (omissis) ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
In prossimità dell’udienza il controricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
1) Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione degli artt. 1669 comma 2, 2934 e 2935 c.c., in relazione al rigetto dell’eccezione di prescrizione ex art. 1669 c.c.. Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, nella specie il termine di prescrizione non decorreva dalla data della perizia stragiudiziale, bensì dalle lettere del 16-7-1993 e del 23-2-1994, con le quali il Condominio aveva denunciato i vizi dell’asfalto dei cortili e della verniciatura della facciata. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “È vero che i due termini annuali contemplati dall’art. 1669 c.c. (quello di decadenza e quello prescrizionale) sono necessariamente consecutivi per cui fatta la denuncia di vizi il termine prescrizionale comincia a decorrere immediatamente a prescindere dal fatto che il committente abbia un apprezzabile grado di conoscenza dei difetti denunciati e della loro derivazione causale con l’opera?”
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1669 c.c. e 115 c.p.c.. Sostiene che le lettere inviate alla controparte avevano la natura di denuncia sintetica che valeva a conservare il diritto di garanzia e, quindi, a far decorrere il termine di prescrizione. Il quesito di diritto posto è il seguente: “Una denuncia sintetica che si limiti ad illustrare i difetti così come sono visibili all’occhio, prescindendo dalle loro implicazioni tecniche (nella specie: gravi vizidifetti consistenti nello sgretolamento dell’asfalto dei cortili e crepe nell’intonaco delle facciate dovute al supporto) e solleciti il costruttore ad intervenire per eliminarli è idonea ad interrompere il termine di decadenza di cui all’art. 1669 c.c. e quindi a far decorrere il termine annuale di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c.?”.
Con il terzo motivo, che reca a pag. 24 il momento di sintesi ex art. 366 bis cpc (“il giudice si è quindi sottratto al compito di motivare sul fatto che le denunce precedenti, le lettere del 16-7-1993 e del 23-2-1994, non rappresentano una denuncia idonea a far decorrere il termine annuale”), la Tecnobiemme si duole della mancanza o insufficiente motivazione circa l’inidoneità delle lettere del 16-7-1993 e del 23-2-1994 a far decorrere il termine di prescrizione.
2) I tre motivi, che in quanto tra loro connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti onde possa individuarsi la “scoperta” del vizio ai fini del computo dei termini annuali posti dall’art. 1669 CC – il primo di decadenza per effettuare la “denunzia” ed il secondo, che dalla denunzia stessa prende a decorrere, di prescrizione per promuovere l’azione -, deve effettuarsi con riguardo tanto alla gravità dei vizi dell’opera quanto al collegamento causale di essi con l’attività progettuale e costruttiva espletata; si che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del doppio termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori da dedursi e provarsi dall’appaltatore, solo all’atto dell’acquisizione di idonei accertamenti tecnici. Ne consegue che, nell’ipotesi di gravi vizi dell’opera la cui entità e le cui cause abbiano reso necessarie indagini tecniche, è consequenziale ritenere che una denunzia di gravi vizi da parte del committente possa implicare un’idonea ammissione di valida scoperta degli stessi, tale da costituire il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione, solo quando, in ragione degli effettuati accertamenti, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione ed imputazione delle loro cause alla data della denunzia (tra le tante v. Cass. 1-8-2003 n. 11740; Cass. 9-3-1999 n. 1993; Cass. 18-11-1998 n. 11613, Cass. 29-5-1998 n. 5311; Cass. 20-3-1998 n. 2977).
Ciò non significa, come pure è stato evidenziato da questa Corte, che il ricorso ad un accertamento tecnico possa giovare al danneggiato quale escamotage onde essere rimesso in termini quando dell’entità e delle cause dei vizi avesse già avuta idonea conoscenza, ma solo che compete al giudice del merito accertare se la conoscenza dei vizi e della loro consistenza fosse stata tale da consentire una loro consapevole denunzia prima ed una non azzardata iniziativa giudiziale poi, anche in epoca precedente, pur senza l’ulteriore supporto del parere di un perito (cfr. Cass. 9-3-1999 n. 1993, Cass. 2-9-92 n. 1016).
È, pertanto, compito del giudice di merito accertare se la conoscenza dei difetti e della loro consistenza non fosse già di grado così apprezzabile da consentire di denunciarli responsabilmente senza un conforto peritale, nonché di stabilire se le già avvenute comunicazioni all’appaltatore non integrino di per sé delle vere e proprie denunce, atte a far decorrere il termine prescrizionale (Cass. 9-3-1999 n. 1993).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha accertato che i condomini hanno potuto avere conoscenza, oltre che dei vizi, anche delle loro cause, solo dopo la perizia stragiudiziale del 4-6-1994; ed ha, conseguentemente, escluso che possa ravvisarsi una denuncia utile ai fini della decorrenza del termine di prescrizione nella lettera del 23-2-1994, anteriore al momento di detta conoscenza.
Tale valutazione si sottrae al sindacato di questa Corte, in quanto l’accertamento del momento dell’acquisizione della conoscenza dei gravi difetti, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, allorché sia sorretto, come nel caso in esame, da una motivazione immune da vizi logici o giuridici.
Correttamente, pertanto, la sentenza gravata ha ritenuto non decorso alla data della domanda introduttiva del giudizio (10-3-1995) il termine prescrizionale di un anno previsto dal citato art. n 1669 c.c., in mancanza di prova della acquisizione da parte dei condomini, in epoca anteriore al deposito della perizia stragiudiziale del 4-6-1994, di un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro addebitabilità all’imperfetta esecuzione dell’opera.
3) Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia la violazione degli artt. 1669 c.c. e 115 c.p.c. e l’insufficiente motivazione, con riferimento alla ritenuta gravità dei vizi delle facciate e dei vialetti pedonali. Sostiene, in particolare, che l’affermazione della Corte di Appello, secondo cui il distacco dell’intonaco costituiva grave difetto perché riguardava una notevole estensione della superficie, è gratuita e priva di riscontri, in quanto dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio si evince che tale fenomeno aveva interessato nemmeno la decima parte della superficie totale delle palazzine condominiali. Deduce, inoltre, che l’abbassamento, per quanto marcato, del piano di piccoli vialetti pedonali, per il cui ripristino, relativamente ad ogni edificio, occorrono meno di 700,00 Euro, non può rientrare nella fattispecie prevista dall’art. 1669 c.c..
Il motivo si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto: a) “Può il distacco dell’intonaco di un condominio, riguardante una superficie inferiore ad un decimo di quella complessiva che, a distanza di oltre dieci anni dalla costruzione, non risulta che abbia pregiudicato né la struttura del bene né il godimento di esso né la sua funzionalità, integrare il grave difetto di cui all’art. 1669 c.c.?”; b) “Il difetto relativo a una parte accessoria di un immobile (nel caso, vialetto pedonale d’ingresso) che non pregiudica in alcun modo né la struttura né la funzionalità né il godimento del bene principale (nel caso: un appartamento) e per il cui ripristino occorra una somma di scarso rilievo, beneficia della garanzia decennale di cui all’art. 1669 c.c.?”
Il motivo è infondato.
Deve premettersi che, secondo i principi enunciati in materia dalla giurisprudenza, i gravi difetti di costruzione, che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c., non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell’edificio, ma possono consistere in tutte le alterazioni che, pur riguardando direttamente una parte dell’opera, incidano sulla struttura e funzionalità globale, menomando apprezzabilmente il godimento dell’opera medesima (tra le tante v. Cass. 3-1-2013 n. 84; Cass. 4-11-2005 n. 21351; Cass. 20-3-1998 n. 2977).
I gravi difetti della costruzione in presenza dei quali sussiste la responsabilità dell’appaltatore (o costruttore venditore) ex art. 1669 c.c., pertanto, sono configurabili (a differenza della rovina parziale o pericolo di rovina riguardanti le strutture portanti dell’edificio) anche in riferimento ad una parte limitata dell’edificio, purché incidano in maniera rilevante sulla funzionalità della parte stessa, comportando come ulteriore conseguenza un’apprezzabile menomazione del godimento dell’edificio o di una frazione dello stesso (singolo appartamento), indipendentemente dall’entità della somma di denaro occorrente per la loro eliminazione (Cass. 6-2-1998 n. 1203; 18-2-1991 n. 1686;).
Più specificamente, è stato rilevato che, ai fini della responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c., costituiscono gravi difetti dell’edificio non solo quelli incidenti sulla struttura e sulla funzionalità dell’opus, ma anche i vizi costruttivi che menomano apprezzabilmente il normale godimento della cosa o impediscono che questa fornisca l’utilità cui è destinata, come il crollo o il disfacimento del rivestimento esterno dell’edificio (Cass. 11-11-1986 n. 6585), ovvero il distacco dell’intonaco, che, pur non alterando le strutture portanti dell’edificio, alteri, per la notevole estensione delle superfici interessate, il normale godimento dell’immobile e la sua funzione economica (Cass. 29-11-1996 n. 10624).
Gli accertamenti relativi all’esistenza dei difetti costruttivi di un edificio ed alla loro gravità ed incidenza sulla struttura e funzionalità del medesimo costituiscono valutazioni ed apprezzamenti di merito, sottratti al sindacato di legittimità se fondati su adeguata e giuridicamente corretta motivazione (Cass. 7-1-2000 n. 81; Cass. 24-5-1972 n. 1622).
Nella specie, la Corte territoriale, muovendosi nel solco degli enunciati principi, ha statuito che l’immobile realizzato dalla Tecnobiemme presenta gravi difetti di costruzione nell’intonaco delle facciate e nei vialetti d’ingresso pedonale, facendone correttamente discendere la responsabilità del costruttore, giusta il disposto dell’art. 1669 c.c..
Le valutazioni espresse al riguardo dal giudice del gravame si sottraggono al sindacato di questa Corte, essendo sorrette da una motivazione scevra da vizi logici e giuridici, con cui è stato rilevato, in particolare, che dalle espletate indagini tecniche è emerso che “l’intonaco presenta gravi crepe, fessurazioni superficiali, arricciature e tinteggiatura in fase di distacco”, e che tale inconveniente riguarda “numerosi punti della superficie dell’immobile”. Quanto ai vialetti d’ingresso pedonale, che, secondo quanto accertato dal C.T.U., hanno subito “un abbassamento marcato”, la Corte di Appello, nel respingere le censure mosse dall’appellante, ha implicitamente ma chiaramente condiviso il giudizio espresso dal giudice di primo grado (specificamente riportato a pag. 10 del ricorso), secondo cui i cedimenti si erano verificati a causa della “mancata o insufficiente compattazione del terreno sottostante prima della posa del massetto di sottofondo” e, quindi, per fatto addebitabile alla impresa costruttrice.
Ciò posto, si osserva che la ricorrente, nel sostenere che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, il distacco dell’intonaco aveva interessato una modesta superficie delle palazzine, e che tale inconveniente non ha pregiudicato la struttura del bene, il suo godimento o la sua funzionalità, rivolge sostanziali censure di merito in ordine all’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuto, nell’esercizio dei poteri riservatigli dalla legge, dal giudice territoriale, ed alle conclusioni dallo stesso tratte riguardo alla “gravità” dei difetti riscontrati. Il tutto in spregio ai limiti del sindacato di legittimità, che non è un terzo grado di merito, nel quale le parti possano ottenere un rivisitazione degli atti ed una diversa valutazione delle emergenze processuali.
Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alle doglianze mosse riguardo alla ritenuta imputabilità degli abbassamenti dei vialetti pedonali all’attività costruttiva della Tecnobiemme.
Né, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, l’operatività della garanzia di cui all’art. 1669 c.c. è esclusa, con riferimento ai detti vialetti pedonali, per il fatto che i difetti riscontrati non riguardano il bene principale (l’appartamento). La nozione di grave difetto di costruzione, infatti, ricomprendendo ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo sia la funzionalità dell’opera che la sua normale utilizzazione, è riferibile anche alle parti comuni di un edificio in condominio (Cass. 3-1-2013 n. 84) e, quindi, anche ai viali di accesso pedonali.
Allo stesso modo, alla luce dei principi di diritto innanzi richiamati, non assume di per sé rilevanza, al fine di escludere la configurabilità di un grave difetto di costruzione, l’esiguità della spesa occorrente per il ripristino dei vialetti pedonali in questione.
4) Con il quinto motivo la ricorrente principale lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c.. Sostiene che la Tecnobiemme, essendo risultata parzialmente vittoriosa in appello, non poteva essere condannata al pagamento dei due terzi delle spese del grado.
Il quesito di diritto formulato è il seguente: “L’art. 91 cpc, in mancanza di altri fatti specifici, vieta al giudice d’appello che accolga parzialmente l’appello principale e respinga in toto quello incidentale di condannare l’appellante al rimborso delle spese a favore dell’appellato?”.
Il motivo è privo di fondamento.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio della soccombenza, da intendersi nel senso che soltanto la parte totalmente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (tra le tante v. Cass. 31-3-2006 n. 17457; Cass. 16-3-2006 n. 5828; Cass. 14-11-2002, n. 12 n. 16012; Cass. 01-10-2002, n. 14095; Cass. 2-8-2002 n. 11537); con la precisazione che il suddetto criterio della soccombenza non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole (tra le tante v. Cass. 11-1-2008 n. 406; Cass. 25-3-2002 n. 4201; Cass. 14-12-2000 n. 15787).
Nella specie, l’esito finale della lite ha visto la sostanziale soccombenza della convenuta (stante l’acclarata esistenza di gravi difetti di costruzione alla stessa addebitabili), pur avendo quest’ultima ottenuto, in appello, una riduzione della somma posta a suo carico a titolo risarcitorio dal giudice di prime cure.
Il giudice del gravame, pertanto, nel condannare l’appellante Tecnobiemme al pagamento dei due terzi delle spese del grado, non ha affatto violato il principio della soccombenza sancito dal citato art. 91 cpc.
5) Con il primo motivo il ricorrente incidentale lamenta la violazione degli artt. 1669 c.c. e 115 c.p.c.. Deduce che la Corte di Appello, nell’escludere la risarcibilità dei vizi inerenti al terreno del giardino, non ha tenuto conto delle prove testimoniali raccolte nel corso del giudizio, da cui risultava l’inidoneità del terreno a consentire l’attecchimento del giardino condominiale.
A conclusione del motivo viene posto il seguente quesito di diritto: “Può il giudice del merito disattendere le prove testimoniali senza incorrere in violazione dell’art. 115 c.p.c. quando tali prove, per le loro risultanze, sono da considerarsi decisive per la risoluzione della controversia?”
Il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello, nell’escludere l’operatività della garanzia ex art. 1669 c.c. in relazione alla dedotta inidoneità dello strato del terreno del giardino (che, secondo l’attore, non consentirebbe l’attecchimento della pur minima vegetazione), non si è limitata a rilevare che tale inidoneità non era stata accertata dal C.T.U., ma ha aggiunto che la stessa, comunque, non è di importanza tale da integrare un grave difetto ai sensi dell’art. 1669 c.c..
La ricorrente, con il motivo in esame, ha censurato solo la prima parte della motivazione, senza muovere alcuna doglianza in ordine alla ulteriore argomentazione addotta dal giudice del gravame, di per sé idonea a sorreggere la decisione.
Ciò posto, va rammentato che, secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi, come nel caso in esame, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (v. per tutte Cass. S.U. 8-8-2005 n. 16602).
6) Con il secondo motivo il Condominio denuncia la violazione dell’art. 1669 c.c. e la mancata o insufficiente motivazione, in relazione alla ritenuta insussistenza di gravi difetti di costruzione connessi alla mancanza dei chiusini ai pozzetti dei pluviali, alla presenza di un’anta del cancello più bassa ed alle superfici in cemento armato.
Il quesito di diritto posto è il seguente: “Può il vizio riguardante singoli elementi di un fabbricato (quali la mancanza di chiusure ai pozzetti di ispezione delle fognature ed il difetto di chiusura del cancello condominiale di ingresso), nel concorso di altri vizi tutelati ex art. 1669 c.c., godere della tutela prevista dalla predetta norma, indipendentemente dal contenuto valore economico della spesa necessaria alla loro eliminazione?”.
Il motivo è formulato in termini generici, non indicando nemmeno l’effettiva consistenza degli inconvenienti denunciati, di cui assume in modo apodittico la negativa incidenza sul godimento dell’immobile. In ogni caso, le censure mosse investono il merito della valutazione espressa dalla Corte di Appello, non sindacabile in questa sede, secondo cui i vizi in questione, per la loro irrisoria importanza, non sono idonei ad integrare gravi difetti ex art. 1669 c.c.; valutazione nella quale è implicita l’affermazione della inidoneità dei detti vizi a menomare in modo apprezzabile il normale godimento del bene.
7) Con il terzo motivo il ricorrente incidentale si duole dell’erronea motivazione in ordine all’esclusione della dedotta disgregazione della superficie in asfalto del cortile dal novero dei vizi costruttivi da imputare alla Tecnobiemme s.r.l. Deduce che la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto che tale esclusione era stata affermata dal C.T.U..
Il motivo è infondato, in quanto dai passi della consulenza tecnica d’ufficio riportati nello stesso controricorso si evince che il consulente tecnico d’ufficio, in relazione alla dedotta disgregazione della superficie in asfalto del cortile, ha ritenuto “difficile stabilire se il lavoro sia stato eseguito a regola d’arte e se il materiale era di qualità o meno……” e, quindi, “difficoltoso definire difetto di costruzione la causa dello stato attuale”. Correttamente, pertanto, la Corte di Appello, in mancanza di elementi probatori di segno contrario, nemmeno addotti dall’odierno ricorrente, ha escluso la riconducibilità dei vizi in oggetto a gravi difetti di costruzione, ex art. 1669 c.c..
8) Per le ragioni esposte devono essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale, con conseguente compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese del presente grado di giudizio.

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