La presenza di una clausola che prevede espressamente la risoluzione del contratto di locazione non comporta automaticamente lo sfratto perché è sempre necessario provare la colpa nell’inadempimento. Infatti, la clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l’art. 1218 c.c., l’accertamento dell’imputabilità dell’inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa. Peraltro, tale accertamento dev’essere condotto con riferimento al momento dell’inadempimento e non con riferimento a comportamenti delle parti successivi al suo verificarsi, potendo tali comportamenti successivi all’inadempimento tutelato da clausola risolutiva espressa, ove si verifichino prima della dichiarazione di volersene avvalere assumere semmai solo l’eventuale significato di evidenziare per facta concludentia, a latere della parte che può dichiarare di volersi avvalere della clausola ed ancora non l’abbia fatto, il valore di rinuncia ad esercitare il diritto di avvalersene.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile – Sentenza 27 agosto 2013, n. 19602

 

CONTRATTO – RISOLUZIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso 6878-2010 proposto da:

(OMISSIS) S.N.C. (OMISSIS), in persona del rappresentante legale sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 2838/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/11/2009 R.G.N. 1737/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/06/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Il 28 settembre 2006 (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) intimavano dinanzi al Tribunale di Monza sfratto per morosita’ alla Societa’ (OMISSIS) s.n.c., riguardo alla locazione ad uso diverso da quello abitativo di un immobile sito in (OMISSIS), locato a detta societa’ con contratto del (OMISSIS). Adducevano l’esistenza di una morosita’ per il trimestre dal luglio al settembre 2006.

Sull’opposizione alla convalida della societa’ intimata, il Tribunale, negata la convalida dello sfratto, disponeva il cambiamento del rito ai sensi dell’articolo 667 c.p.c. e, quindi, all’esito dello svolgimento della cognizione piena, con sentenza dell’aprile 2007 dichiarava risolto di diritto il contratto in forza di una asserita clausola risolutiva espressa in esso contenuta e condannava la societa’ conduttrice al rilascio dell’immobile, oltre che al pagamento dell’indennita’ di occupazione dal secondo trimestre del 2007 sino al rilascio.

p.2. Sull’appello della conduttrice e nella resistenza soltanto di (OMISSIS) e (OMISSIS), essendo rimasto contumace (OMISSIS), la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 23 novembre 2009, confermava la sentenza di primo grado con gravame delle spese di lite a carico degli appellanti.

p.3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi la (OMISSIS) s.n.c..

Ha resistito con controricorso (OMISSIS), mentre non hanno svolto attivita’ difensiva (OMISSIS) ed (OMISSIS).

p.4. Le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione degli articoli 1456, 1455 e 1367 c.c. (cio’ in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3)”, nonche’ “omessa o quantomeno insufficiente motivazione circa un fatto controversi e decisivo per il giudizio in relazione agli articoli 1362, 1363, 1364 e 1365 c.c. (e cio’ in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5)”.

Vi si sostiene, sia sotto il profilo della violazione delle norme di diritto indicate, sia sotto quello del vizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, che la Corte territoriale avrebbe male interpretato la clausola di cui all’articolo 15 del contratto locativo, individuando, sulla base del solo criterio di esegesi dell’articolo 1367 c.c., il suo significato come diretto a prevedere una clausola risolutiva espressa del contratto locativo e, quindi, abbia ritenuto che sulla base del suo operare la morosita’ dedotta nella citazione per convalida fosse stata automaticamente idonea a giustificare la risoluzione di diritto del contratto.

p.1.1. L’illustrazione del motivo riproduce il contenuto della clausola, ma non indica se e dove sia stato prodotto in questa sede il contratto locativo e, quindi, non rispetta il requisito della cd. indicazione specifica di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6, ai fini della cui osservanza, quando il motivo di ricorso per cassazione si fonda su un documento, e’ necessario che il ricorrente, oltre a riprodurre direttamente la parte del documento che fonda il ricorso oppure ad indicarla riassuntivamente, ma individuando la parte del documento cui tale indiretta riproduzione corrisponde, indichi dove e’ stato prodotto nelle fasi di merito e, soprattutto, se e dove sia stato prodotto in sede di legittimita’. Cio’, al fine di consentire alla Corte di percepire, oltre al contenuto fondante il ricorso, dove poter esaminare il documento al fine di riscontrare quanto su di essa viene fondato.

Nella specie viene in rilievo la consolidata giurisprudenza di questa Corte a partire a partire da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e Cass. sez. un. n. 28547 del 2008, cui si puo’ aggiungere Cass. sez. un. n. 7161 del 2010 e, per gli atti processuali, Cass. sez. un. n. 22726 del 2011; da ultimo si vedano le ampie considerazioni di Cass. (ord.) n. 7455 del 2013.

p.1.2. Il motivo sarebbe, comunque privo di fondamento.

Invero, esso si articola in tre censure.

p.1.2.1. Con la prima, sulla premessa che la clausola di cui trattasi, la’ dove ha fatto richiamo al “grave inadempimento ex articolo 1455 c.c.” sarebbe da leggere come se avesse voluto soltanto prevedere che il mancato pagamento dell’affitto e delle spese accessoria sarebbe stato causa di risoluzione del rapporto, ma non avrebbe voluto in alcun modo vincolare il relativo apprezzamento giudiziale, si sostiene che erroneamente la Corte territoriale l’avrebbe intesa come clausola risolutiva ai sensi dell’articolo 1456 c.c.. L’assunto e’ sostenuto con il richiamo ad una sentenza di merito, che sarebbe espressione di “orientamento giurisprudenziale”.

La censura, al di la’ della singolarita’ di invocazione di un siffatto orientamento sulla base di una sentenza di merito e tra l’altro senza riferire l’esatta fattispecie che essa giudico’, e’ manifestamente infondato, atteso che trascura completamente il dato letterale per cui la previsione della clausola contrattuale mostra di porsi expressis verbis sul terreno della risoluzione di diritto, dato che usa tale terminologia.

p.1.2.2. Con la seconda censura ci si duole che la Corte territoriale avrebbe male applicato l’articolo 1367 c.c., in quanto, anziche’ applicarlo quale criterio di esegesi diretto a mantenere l’efficacia della clausola, cioe’ nel senso di darle qualche effetto, l’avrebbe inteso come giustificativo dell’attribuzione di un effetto maggiore di quello che essa sarebbe idoneo a produrre.

La censura e’ fondata sull’assunto che la clausola sarebbe stata idonea soltanto a richiamare l’operativita’ del criterio di cui all’articolo 1455 c.c., cioe’ – parrebbe – a sancire che, di fronte al mancato puntuale pagamento in tutto od in parte anche di una sola rata del canone, la risoluzione del contratto si sarebbe verificata soltanto in presenza di un grave inadempimento ai sensi dell’articolo 1455 c.c., come tale da apprezzarsi da parte del giudice.

L’assunto e’ privo di pregio.

Lo e’ perche’, se la clausola fosse da interpretare nel senso ipotizzato dalla ricorrente, sarebbe stata prevista in modo del tutto inutile. Infatti, la previsione che la mancanza di un adempimento puntuale di una sola rata del canone avrebbe potuto giustificare la risoluzione del contratto soltanto se fossero ricorsi gli estremi dell’articolo 1455 c.c., si sarebbe risolta in un mero rinvio all’articolo 1455 c.c. e, quindi, alla previsione di una norma, che comunque sarebbe stata applicabile.

Si sarebbe trattato di clausola del tutto inutile.

Ne deriva che, quando la Corte territoriale ha evocato l’articolo 1367 c.c. per giustificare un apprezzamento di essa come di previsione d’una clausola risolutiva espressa, non ha fatto altro che dare alla clausola “un effetto” e non gia’, dunque, “un maggiore effetto, come ipotizza la ricorrente.

p.1.2.3. La terza censura imputa alla sentenza di avere applicato l’articolo 1367 c.c. senza verificare preliminarmente se l’intento delle parti non fosse stato ricostruibile attraverso l’utilizzazione dei criteri di cui agli articoli 1362 e ss. c.c..

La censura non viene motivata ed impinge in inammissibilita’ per difetto di specificita’ (si veda, in termini, Cass. n. 4741 del 2005), atteso che non prospetta come e perche’ tali altri criteri, evocati con il mero rinvio alle norme, avrebbero potuto e dovuto indurre la Corte territoriale a ricostruire la clausola in senso diverso, prima di applicare l’articolo 1367 c.c..

In disparte tale assorbente rilievo, il Collegio osserva che il richiamo all’articolo 1367 c.c., operato dalla Corte territoriale, se si fosse proceduto all’esegesi della clausola in via di interpretazione anche solo letterale e, particolarmente, secondo il senso fatto manifesto dalle parole, sarebbe stato addirittura ultroneo ed inutile per ricostruire il significato della clausola stessa.

p.1.2.4. Queste le ragioni.

La clausola ha il seguente contenuto: “il pagamento dell’affitto o delle spese accessorie non potra’ essere sospeso ne’ ritardato da pretese od eccezioni del conduttore di qualunque specie o natura. Il mancato puntuale pagamento in tutto od in parte e per qualunque causa, anche di una sola rata del canone, costituisce il conduttore in mora, con la conseguente risoluzione di diritto del contratto per grave inadempimento ex articolo 1455 c.c. a danno e spese del conduttore stesso. Il conduttore sara’ tenuto, in ogni caso, al pagamento degli interessi di mora sulle somme non corrisposte nella misura all’interesse legale”.

Questo essendo il tenore della clausola, esso si presta ai seguenti rilievi.

Invero, gli indici testuali presenti nella clausola e particolarmente il riferimento al “mancato puntuale pagamento in tutto od in parte e per qualunque causa anche di una sola rata del canone” e la sua assunzione come determinativo della “risoluzione di diritto del contratto”, una volta coniugate con l’espressa proclamazione che tale risoluzione si sarebbe verificata “per grave inadempimento ex articolo 1455 c.c.”, si prestava ad essere inteso nel senso che le parti avessero inteso stabilire una clausola risolutiva espressa ai sensi dell’articolo 1456 c.c., pur non evocando tale norma, dovendo il richiamo al “grave inadempimento ex articolo 1453 c.c.” essere inteso in senso statico e non dinamico, cioe’ non gia’ come evocativo di un potere del giudice di apprezzamento alla stregua di quella norma, bensi’ come individuazione fatta dalle parti ex ante di un inadempimento grave. A tacer d’altro basta ad intendere in tal senso la clausola l’espressa evocazione del concetto normativo di risoluzione di diritto, che e’ incompatibile con la risoluzione conseguente all’apprezzamento giudiziale ai sensi dell’articolo 1455 c.c..

In realta’, dunque, la clausola era chiara e non bisognosa di esegesi ai sensi dell’articolo 1367 c.c., norma che suppone l’esistenza di un dubbio esegetico.

Peraltro, ove il dubbio esegetico fosse sussistito e fosse stato ingenerato dall’evocazione dell’articolo 1455, sarebbe stato da sciogliere nel senso appena ipotizzato proprio sulla base della norma dell’articolo 1367 c.c., perche’ altrimenti, come s’e’ gia’ detto, la clausola avrebbe assunto il valore di mero rinvio all’articolo 1455 e, quindi, sarebbe stata inutile.

p.2. Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1456 c.c., comma 1, articoli 1453 e 1455 c.c., articolo 1456 c.c., comma 1 (cio’ in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3)”, nonche’ “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (cio’ con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5)”.

Vi si formulano, come meglio e’ dato comprendere anche nelle articolazioni conclusive dell’illustrazione (pp. 40-41 del ricorso), due censure. La prima e’ nel senso che nella citazione per convalida non vi sarebbe stata un’invocazione della clausola n. 15. La seconda censura suppone che tale invocazione vi fosse stata e critica la sentenza impugnata perche’ avrebbe ritenuto che l’azione di risoluzione di diritto ai sensi dell’articolo 1456 c.c., basata sulla clausola risolutiva espressa, fosse stata gia’ esercitata nella citazione per convalida di sfratto, nonostante che essa si concludesse soltanto invocando la convalida di sfratto e non vi si fosse proposta la domanda di risoluzione del contratto in forza della clausola stessa chiedendo la risoluzione del contratto, essendo stata la clausola solo “genericamente richiamata in narrativa”. La tesi e’, in sostanza, che la citazione per convalida, non contenendo la domanda di accertamento della risoluzione di diritto del contratto, ma solo la richiesta di convalida, non era stata idonea a recare l’esercizio di quell’azione, che, dunque, sarebbe stata esercitata solo con la successiva memoria integrativa dopo il mutamento del rito ai sensi dell’articolo 667 c.p.c..

p.2.1. Si tratta di censura inammissibile nuovamente per inosservanza dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, atteso che, non solo non si riproduce direttamente il contenuto della citazione per convalida in parte qua e nemmeno lo si riproduce indirettamente, indicando a quale parte di essa corrisponderebbe quanto indirettamente riprodotto, ma, soprattutto, nemmeno si indica se e dove la citazione per convalida sia stata prodotta e sarebbe esaminabile in questa sede (e, trattandosi di atto processuale, neppure si dice che essa sarebbe presente nel fascicolo di ufficio, come ammette Cass. sez. un. n. 22726 del 2011 per gli atti processuali).

p.2.2. La censura sarebbe comunque priva di fondamento.

Il suo esame si presta, infatti, solo ad una correzione della motivazione della sentenza impugnata.

La Corte territoriale ha invero osservato che i locatori “gia’ con la intimazione di sfratto notificata il 28 settembre 2006, (e quindi ancora nella parte espositiva e nelle conclusioni di mero accertamento della memoria integrativa ex articolo 426 c.p.c.) hanno testualmente invocato la clausola risolutiva espressa, richiamata e riportata per esteso e quindi fatto valere giudizialmente la risoluzione del contratto di locazione: “e in tal senso viene fatta valere con il presente atto la risoluzione di diritto del contratto di locazione””.

Dopo di che ha soggiunto che “E’ per tale ragione quindi che il Tribunale, correttamente apprezzata la causa petendi dedotta dai ricorrenti e sussunta la fattispecie sub articolo 1456 c.c., non ha concesso la ordinanza provvisoria di rilascio ed ha convertito il procedimento speciale, che per il principio di tipicita’ ha soli effetti costitutivi di risoluzione e quindi erroneamente introdotto, nell’ordinario giudizio di mero accertamento della risoluzione di diritto invocata nell’atto di intimazione (e poi nella memoria integrativa) con valenza esclusiva dai locatori”. Quindi, ha rilevato: “Nulla quaestio sulla sussistenza e permanenza della morosita’ relativa al terzo trimestre 2006 al momento di notifica dell’intimazione che conteneva la dichiarazione di voler avvalesi della clausola risolutiva”.

p.2.2.1. La motivazione espressa dalla Corte meneghina ha riconosciuto che l’operare della clausola risolutiva espressa fosse stata invocata nella citazione per convalida di sfratto ed ha, quindi, reputato – con un passaggio motivazionale che non e’ oscuro, ma soltanto espresso in modo non perfetto sul piano linguistico e che, tuttavia, si presta ad essere compreso – che il Tribunale: a) aveva rigettato l’istanza di ordinanza di rilascio ai sensi dell’articolo 665 c.p.c. giustamente, perche’ l’azione di convalida di sfratto per morosita’ sarebbe deputata a far valere una risoluzione del contratto per inadempimento di natura costitutiva (e, quindi, e’ questo che su suppone, ai sensi dell’articolo 1453 c.c.) e non un’azione di risoluzione per inadempimento di natura di mero accertamento, cioe’ fondata su una fattispecie di risoluzione di diritto, quale era quella di cui all’articolo 1456 c.c.; b) aveva, quindi, correttamente disposto la prosecuzione del giudizio con la cognizione piena, perche’ sull’esercitata azione ai sensi dell’articolo 1456 potesse aver luogo il relativo giudizio.

Ora, siffatta interpretazione del procedere del Tribunale dalla fase sommaria del procedimento a quella di cognizione piena, previo cambiamento del rito, non e’ corretta, siccome si evince dal tenore del provvedimento di definizione della fase sommaria, che e’ stato richiamato dalla resistente nel suo controricorso, mediante integrale trascrizione.

Dal tenore di tale provvedimento, infatti, si evince che il Tribunale, dopo aver rilevato l’invocazione della clausola n. 15 del contratto locativo, nego’ l’accoglimento dell’istanza ai sensi dell’articolo 665 c.p.c., giacche’, tanto nell’atto introduttivo del giudizio quanto nel verbale di causa, il procuratore dell’intimante si era limitato a chiedere la convalida dello sfrato e non aveva formulato l’istanza ai sensi dell’articolo 665 c.p.c..

Il Tribunale, in tal modo, ha sostanzialmente fatto applicazione di un principio di diritto affermato in dottrina e che il Collegio condivide ed afferma ai sensi dell’articolo 363 c.p.c., comma 3.

Esso e’ nel senso che, una volta proposta l’opposizione dell’intimato alla convalida di sfratto (o di licenza), ai fini dell’emissione dell’ordinanza di rilascio e’ necessario che il locatore intimante formuli istanza di emissione del provvedimento di cui all’articolo 665 c.p.c. (si veda Cass. n. 293 del 1948), non potendo essa ritenersi implicita ne’ nell’originaria istanza di convalida contenuta nella citazione introduttiva del procedimento, ne’ nella reiterazione a verbale dell’istanza di convalida stessa, atteso che, essendo la convalida e l’ordinanza di rilascio provvedimenti distinti sotto il profilo del cd. petitum immediato, opera il principio della domanda e non e’ possibile che il giudice della convalida reputi il secondo provvedimento implicito nella richiesta originaria o nella reiterazione della richiesta del primo, dato che in tal modo immuterebbe un atto di parte d’ufficio in violazione del principio della domanda.

Il Tribunale, dunque, correttamente – pur avendo inteso la domanda di sfratto come diretta a far valere una fattispecie risolutiva di diritto ai sensi dell’articolo 1456 c.c., per detta ragione e non per l’ontologica rilevazione che essa non era deducibile con il procedimento per convalida – nego’ l’ordinanza ai sensi dell’articolo 665 c.p.c..

p.2.2.2. La tesi della Corte milanese di una incompatibilita’ con il procedimento per convalida di sfratto dell’azione di risoluzione di diritto basata sull’inadempimento delle obbligazioni relative al canone ed agli oneri accessori e sulla sua riconducibilita’ ad una della fattispecie risolutive di diritto, si profila erronea.

Queste le ragioni.

E’ certamente vero che l’azione di sfratto per morosita’, di cui all’articolo 657 c.p.c., e’ innanzitutto qualificabile come una forma speciale di esercizio dell’azione di risoluzione del contratto per inadempimento, di natura costitutiva, secondo il paradigma normativo dell’articolo 1453 c.c., il quale, com’e’ noto, regola l’ipotesi in cui il diritto potestativo di voler provocare la risoluzione del rapporto contrattuale di fronte all’inadempimento altrui viene esercitato direttamente con l’azione giudiziale.

Deve, tuttavia, ritenersi – in relazione al fatto che il nostro ordinamento conosce ipotesi nelle quali il diritto potestativo di provocare la risoluzione del contratto per inadempimento e’ esercitabile stragiudizialmente ed al suo esercizio la risoluzione consegue di diritto, di modo che la pronuncia giudiziale si limita ad accertare che sul piano stragiudiziale si e’ gia’ verificata la risoluzione e non determina essa stessa costitutivamente la risoluzione al momento della notificazione della domanda – che anche in tale ipotesi, che sono quelle dell’articolo 1454 c.c. (diffida ad adempiere), articolo 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) e articolo 1457 c.c. (termine essenziale), le relative azioni possano essere esercitate con la forma speciale di cui all’articolo 657 c.p.c..

La risposta positiva in tal senso deriva non solo dall’ovvia considerazione che sarebbe contraddittorio non ammettere la tutela privilegiata del diritto del locatore nelle ipotesi in cui la fattispecie risolutiva si e’ verificata di diritto gia’ prima dell’esercizio dell’azione, ma anche dalla circostanza che nel procedimento per convalida di sfratto non si rinviene alcuna seria controindicazione.

Non e’, infatti tale, la previsione dell’articolo 669 c.p.c., la’ dove dice che la pronuncia sullo sfratto di cui all’ordinanza di convalida risolve la locazione, poiche’ l’espressione verbale “risolve”, per quanto possa evocare l’idea di una pronuncia con effetti costitutivi e, quindi l’azione ex articolo 1453 c.c., non ha valore decisivo in tal senso, ben potendo abbracciare anche la pronuncia che accerti l’avvenuta risoluzione per una fattispecie di risoluzione di diritto nel senso del mero accertamento.

Neppure rappresenta elemento significativo in contrario la circostanza che l’articolo 663 c.p.c., u.c. subordini la convalida alla persistenza della morosita’, poiche’ questa norma non si correla all’ultimo comma di tale norma in senso derogatorio del suo operare, allorquando l’azione di sfratto venga esercitata ai sensi dell’articolo 1453 c.c., ma implica soltanto che una sanatoria della morosita’, pur avvenuta dopo la notificazione dell’intimazione, precluda il riconoscimento della fondatezza dell’azione con il provvedimento di convalida, cioe’ la definizione del giudizio con le forme speciali, ed anche, come logica conseguenza esegetica, l’adozione del provvedimento di cui all’articolo 665 c.p.c. (perche’ sarebbe contraddittorio, in presenza di opposizione dell’intimato, non dare alla mancanza di persistenza della morosita’ lo stesso valore di precludere una pur provvisoria ed anticipata tutela in via sommaria del diritto del locatore). Sicche’, ammettere l’utilizzazione della convalida di sfratto per le fattispecie di risoluzione di diritto non e’ in contraddizione con l’operare dell’articolo 663 anche per esse, implicando l’applicazione della norma che il diritto del locatore non possa trovare immediata tutela in presenza di una sanatoria pur verificatasi in situazione in cui il contratto e’ risolto ex iure gia’ in via stragiudiziale.

Il principio di diritto che viene in rilievo e’ dunque il seguente: “il procedimento per convalida di sfratto per morosita’, di cui all’articolo 657 c.p.c. e’ utilizzabile dal locatore non soltanto per far valere nella forma speciale di cui a tale procedimento un’azione di risoluzione del contratto di natura costitutiva ai sensi dell’arte 1453 codice civile, ma anche per far valere nella forma speciale un’azione di accertamento dell’intervenuta risoluzione di diritto del contratto locativo, in forza del verificarsi di una delle fattispecie di cui agli articoli 1454, 1456 e 1457 c.c.”.

Ne deriva che la motivazione della sentenza impugnata va corretta la’ dove ha ipotizzato che l’esercizio dell’azione ai sensi dell’articolo 1456 non fosse avvenuta ritualmente con il procedimento ai sensi dell’articolo 657 c.p.c..

Ammessa la possibilita’ che l’azione ai sensi dell’articolo 1456 c.c. possa svolgersi nella forma speciale di cui all’articolo 657 c.p.c., si deve rilevare in concreto che l’esercizio di essa da parte dei (OMISSIS) bene fosse avvenuto con l’invocazione della clausola n. 15 del contratto e con la dichiarazione riportata fra virgolette dalla Corte territoriale e che, in modo perfettamente consentaneo alle forme speciali del procedimento (il cui petitum mediato e’ l’adozione dell’ordinanza di convalida e, semmai, subordinatamente all’eventuale opposizione, l’eventuale richiesta di adozione dell’ordinanza di rilascio ai sensi dell’articolo 665 c.p.c., che, peraltro bene puo’ farsi anche solo all’udienza di comparizione), i conduttori avessero richiesto la convalida e non proposto un petitum di accertamento della verificazione della fattispecie di risoluzione di diritto ai sensi dell’articolo 1456 c.c..

Tale petitum era da formulare all’esito del passaggio del procedimento alla cognizione piena per effetto dell’opposizione dell’intimata.

Il motivo allora risulta privo di fondamento sia la’ dove suppone che nella citazione per convalida non fosse stata gia’ esercitata l’azione ai sensi dell’articolo 1456 c.c., sia la’ dove postula che comunque non potesse tale azione esercitarsi utilmente con la citazione per convalida di sfratto.

Ne segue l’inutilita’ dello scrutinio delle successive sue articolazioni, che si muovono nella supposizione che l’azione de qua fosse stata validamente formulata solo con la memoria integrativa conseguente al mutamento del rito ai sensi dell’articolo 667 c.p.c. e, quindi, dopo la sanatoria della morosita’ verificatasi prima del deposito di detta memoria.

p.3. Con un terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli articoli 1456 c.c. e 1591 c.c. (cio’ in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3)”, nonche’ “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (cio’ con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5”.

Vi si censura la sentenza impugnata perche’ non avrebbe ravvisato rinuncia all’azione risolutiva, pur ricondotta all’articolo 1456 c.c., “nell’avere il locatori … ricevuto il pagamento del canone trimestrale in questione ed i successivi canoni scaduti”. Erroneamente, ad avviso della ricorrente avrebbe richiamato l’articolo 1591 c.c..

Si sostiene, poi, nella stessa logica che, dopo la memoria integrativa successiva al cambiamento del rito processuale i (OMISSIS) avrebbero anche ritirato la cauzione.

Ed ancora si deduce che ai fini di escludere la volonta’ di rinuncia la Corte territoriale non avrebbe esaminato quanto argomentato nell’atto di appello, la’ dove era stato dedotto che nella memoria integrativa si erano richiamati gli istituti di cui agli articoli 1453 e 1455 c.c., dai quali prescindeva l’articolo 1456 c.c..

p.3.1. Il motivo e’ manifestamente infondato – se non inammissibile – quanto alla prima censura, atteso che attribuisce alla sentenza impugnata di avere fatto leva sull’essere stati riscossi i canoni ai sensi dell’articolo 1591 c.c., la’ dove la Corte territoriale ha espressamente basato la sua motivazione innanzitutto sul fatto che i locatori avevano riscosso il pagamento del trimestre oggetto dell’intimazione di sfratto e di quello successivo ad esso, “senza alcuna rinuncia anzi con espressa salvezza della azione risolutiva in corso (doc. 5 e 6 appellati)” e solo dopo ha fatto riferimento all’articolo 1591 c.c..

Il motivo si disinteressa completamente del riferimento a detta salvezza e, dunque, non e’ dato comprendere come possa pretendere di articolare una critica veramente adeguata alla motivazione.

Si aggiunga che nel controricorso parte resistente ha ulteriormente confutato la prospettazione della ricorrente, con specifiche e circostanziate argomentazioni.

p.3.2. La seconda censura evoca un fatto del quale non v’e’ traccia nella sentenza impugnata e riguardo al quale neppure si argomenta dove e come sarebbe stato oggetto del thema decidendum dell’appello. Si tratta di censura che, dunque, evoca una questione che, stante la mancanza di precisazioni nel detto senso, deve ritenersi nuova e, dunque, non prospettabile in questa sede di legittimita’.

Non senza che debba rilevarsi che nel controricorso la resistente ha anche adeguatamente replicato sul punto.

p.3.3. Parimenti inammissibile e’ la terza censura, posto che, se si riproduce il contenuto dell’atto di appello sul punto, si omette di fornire, nei termini dovuti dalla gia’ ricordata giurisprudenza, l’indicazione specifica del contenuto del’altro atto su cui essa si fonda, cioe’ la memoria integrativa.

La censura, comunque, risulta anche del tutto apodittica.

p.4. Il quarto motivo deduce “violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1256 e 1351 c.c. (cio’ in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3)”, nonche’ “omessa o quantomeno insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (cio’ con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5)”.

Vi si imputa alla sentenza impugnata di non aver condotto alcuna indagine sull’esistenza, nell’inadempimento della ricorrente, del profilo della colpa, che, invece anche in presenza di clausola risolutiva espressa, sarebbe necessaria per giustificare la risoluzione. La mancanza di colpa sarebbe emersa se si fosse dato sfogo alle prove testimoniali gia’ formulate in primo grado e reiterate in appello, che vengono trascritte. Il vizio della sentenza impugnata sotto tale profilo emergerebbe dall’affermazione che il contratto doveva ritenersi risolto “senza che sia consentita e rilevante alcuna indagine sulla importanza dell’inadempimento del conduttore”.

Senonche’, la Corte territoriale si e’, in realta’ del problema della colpa occupata immediatamente dopo, quando ha scritto: “Al riguardo peraltro dell’asserito ritardo in buona fede, deve la Corte rilevare che con raccomandata AR 12 settembre 2006 (doc. 2 fascicolo dell’intimazione di sfratto) era stata dallo studio amministrativo Prato, per conto della proprieta’, inviato al conduttore il sollecito per “provvedere immediatamente” al pagamento del canone di affitto del 3 trimestre 2006″.

Il riferimento alla buona fede e’ chiaramente evocativo del profilo della colpa di cui il motivo vorrebbe discutere e, dunque, il motivo avrebbe dovuto correlarsi a tale parte della motivazione e prendere posizione su di essa.

Cio’ e’ tanto vero che l’illustrazione del motivo, dopo avere argomentato citando due sentenze di questa Corte con riferimento alla pretesa omissione di motivazione, scrive testualmente che “in senso contrario non puo’ valere il richiamo della Corte d’Appello alla raccomandata del 12.9.2006”, con cio’ mostrando di avvertire il rilievo della motivazione in tal senso, che, peraltro, poi pretende di elidere con la mera riproduzione di due capitoli di prova relativi a circostanza successive a quella data come si fa rimarcare con due annotazioni, ma senza chiarire come perche’ tali circostanza, se provate, avrebbero potuto dimostrare la propria incolpevolezza. Sicche’, il motivo, pur con questa correzione di rotta, e’ privo della necessaria attivita’ dimostrativa della decisivita’ delle prove non ammesse (che corrispondono ai capitoli di prova cinque e sei riprodotti nelle conclusioni che figurano sulla stessa sentenza impugnata) e si risolve nella inammissibile delega alla Corte a ricercarla.

Si deve, poi, aggiungere, che si omette di trascrivere direttamente od indirettamente il contenuto della raccomandata del 12 settembre 2006, con evidente inosservanza dell’articolo 366 c.p.c., n. 6.

Non e’ senza rilievo, comunque, la circostanza che, se e’ vero che “La clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l’articolo 1218 cod. civ., l’accertamento dell’imputabilita’ dell’inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa.” (Cass. n. 2553 del 2007; in precedenza Cass. n. 9356 del 2000, evocata dalla ricorrente) e che “Ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento, in presenza di clausola risolutiva espressa, pur se la colpa del contraente inadempiente si presume, ai sensi dell’articolo 1218 cod. civ., il giudice non e’ tenuto solo a constatare che l’evento previsto dalla detta clausola si sia verificato, ma deve esaminare, con riferimento al principio della buona fede, il comportamento dell’obbligato, potendo la risoluzione essere dichiarata solo ove sussista (almeno) la colpa di quest’ultimo” (Cass. n. 11717 del 2002, evocata anche dalla ricorrente; successivamente, si veda, nello stesso senso Cass. n. 15026 del 2005), pur tuttavia, dovendo l’accertamento della colpa riguardare l’inadempimento, non e’ dato comprendere come, essendosi verificato l’inadempimento con riferimento alla scadenza di pagamento del canone del trimestre da pagarsi il 1 luglio 2006, le circostanze dei due capitoli avrebbero potuto assumere rilievo, trattandosi di circostanze successive all’inadempimento.

I capitoli di prova concernono fatti irrilevanti ai fini dell’accertamento della colpa, posto che riguardano comportamenti delle parti successivi all’inadempimento.

Ne’ in contrario puo’ assumere rilievo che siano stati tenuti prima della dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, effettuata dai locatori con l’intimazione di sfratto, come s’e’ veduto, poiche’ comportamenti successivi all’inadempimento tutelato da clausola risolutiva espressa e prima della dichiarazione di volersene avvalere possono assumere semmai solo l’eventuale significato di evidenziare per facta concludenza, ex latere della parte che puo’ dichiarare di volersi avvalere della clausola ed ancora non l’abbia fatto, il valore di rinuncia ad esercitare il diritto di avvalersene.

Il principio di diritto che giustificherebbe la detta irrilevanza dei capitoli di prova e’ il seguente: “La clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l’articolo 1218 cod. civ., l’accertamento dell’imputabilita’ dell’inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa. Peraltro, tale accertamento dev’essere condotto con riferimento al momento dell’inadempimento e non con riferimento a comportamenti delle parti successivi al suo verificarsi, potendo tali comportamenti successivi all’inadempimento tutelato da clausola risolutiva espressa, ove si verifichino prima della dichiarazione di volersene avvalere assumere semmai solo l’eventuale significato di evidenziare perfacta concludentia, ex latere della parte che puo’ dichiarare di volersi avvalere della clausola ed ancora non l’abbia fatto, il valore di rinuncia ad esercitare il diritto di avvalersene”.

p.5. Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo nel rispetto del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012.

Giusta la richiesta formulata nel controricorso se ne dispone la distrazione a favore del difensore di (OMISSIS), Avvocato (OMISSIS).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente (OMISSIS) delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro seimiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre accessori come per legge. Distrae le spese cosi’ liquidate a favore dell’Avvocato (OMISSIS).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *