In materia di delibera attinente all’approvazione delle spese del condominio ed alla loro ripartizione, l’eventuale errore del deliberato in ordine alla apposizione delle somme dovute integra chiaramente una causa di annullabilità e non di nullità della delibera. Nella specie, questa Corte ha già chiarito che le delibere delle assemblee condominiali possono qualificarsi nulle soltanto laddove siano prive degli elementi essenziali, dispongano dei diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o abbiano un oggetto impossibile o illecito ovvero dispongano su materia non rientrante nella competenza della assemblea.
La delibera di spesa adottata dal condominio e divenuta inoppugnabile fa sorgere l’obbligo del condomino di pagare al condominio la somma dovuta.
Obbligazione del condomino verso il condominio e vicende delle partite debitorie del condominio verso i suoi fornitori o creditori sono indipendenti.
Il condomino non puo’ ritardare il pagamento delle rate di spesa in attesa dell’evolvere delle relazioni contrattuali tra condominio e soggetti creditori di quest’ultimo.
Scaricherebbe altrimenti sugli altri condomini gli oneri del proprio ritardo nell’adempimento.
Deve invece adempiere all’obbligazione verso il Condominio e, qualora dalla gestione condominiale residuino avanzi di cassa, vuoi per mancate spese, vuoi per la risoluzione di contratti in precedenza stipulati e conseguenti restituzioni, sorgerà eventualmente un credito nei confronti del condominio, tenuto a restituire, con il bilancio consuntivo di fine anno, l’esubero di cassa spettante secondo i rendiconti e le provenienze dei vari fondi residui. (Cass. 2049/2013)

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 aprile – 30 maggio 2013, n. 13627
Presidente Triola – Relatore Bertuzzi
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 925 del 17 luglio 2006 il Tribunale di Ferrara confermò, ad eccezione del capo relativo alla regolamentazione delle spese, la sentenza del giudice di pace di Comacchio che aveva respinto l’opposizione proposta da S.G. e B.G. avverso il decreto ingiuntivo che intimava loro di pagare al Condominio (omissis) la somma di Euro 1.525,73, per spese condominiali approvate con delibera dell’assemblea del 27 aprile 2003, che aveva approvato il bilancio consuntivo relativo all’anno 2002. Il giudice di secondo grado respinse l’appello affermando che l’eccezione con cui gli opponenti avevano opposto al Condominio un loro controcredito pari alla somma di lire 5.738.817 da loro versata nel novembre 2000 nelle mani dell’allora amministratore e da questi non versata nelle casse condominiali era infondata, essendo la loro posizione debitoria divenuta ormai definitiva per effetto della mancata impugnazione della delibera di approvazione del bilancio che riportava tale debito, aggiungendo che tale impugnativa era nella specie necessaria in quanto la relativa delibera, per effetto dell’errore denunziato, poteva considerarsi eventualmente annullabile, ma non certo nulla, e che, comunque, gli opponenti non avevano mai chiesto che ne fosse dichiarata la nullità. Per la cassazione di questa decisione, notificata il 27 aprile 2007, ricorrono, con atto notificato il 14 giugno 2007, S.G. e B.G. , affidandosi a due motivi, illustrati da memoria.
Il Condominio (OMISSIS) resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 1188, comma 1, in relazione agli artt. 1137, 1418, 1421 e 2379 cod. civ., censurando la decisione impugnata per non avere riconosciuto che il pagamento fatto dai ricorrenti nelle mani dell’amministratore dello stabile era da considerarsi valido e liberatorio nei confronti del Condominio, essendo stato eseguito nei confronti del legale rappresentante dello stesso, e per non avere per l’effetto dichiarato che la delibera assembleare che aveva indicato come dovuta la somma richiesta avrebbe dovuto considerarsi nulla per impossibilità della prestazione e per falsità della relativa iscrizione di bilancio.
Il motivo è infondato.
Con riferimento alla prima censura, va premesso che dall’esposizione dei fatti di causa riportata dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso emerge che il versamento della somma da parte dei ricorrenti nelle mani dell’amministratore, che risulta da loro eccepito quale motivo di opposizione, si era verificato nel novembre del 2000, quindi ben prima del sorgere del credito per cui fu emesso il decreto ingiuntivo opposto, il cui titolo va ravvisato nelle poste del bilancio consuntivo relativo all’anno 2002, approvato dall’assemblea del condominio il 27 aprile 2003. Da tale precisazione consegue che l’eccezione sollevata dagli opponenti, in realtà, non concerneva affatto il pagamento di un debito eseguito in buona fede all’amministratore in carica, cioè a persona che certamente in quel momento era legittimata a riceverlo, ma si risolveva in una eccezione di compensazione riferita ad un debito sorto successivamente. La fattispecie concreta si colloca pertanto, sia dal punto di vista formale che sostanziale, al di fuori della figura del pagamento in senso stretto, inteso come prestazione solutoria di un debito preesistente, e della problematica circa l’individuazione del soggetto destinatario del pagamento. Deve pertanto escludersi, trattandosi di disposizione estranea al caso concreto, la denunziata violazione dell’art. 1188, comma 1, cod. civ., che ha riguardo agli effetti liberatori conseguenti al pagamento fatto al creditore o al suo rappresentante.
Da respingere è anche la seconda censura, tenuto conto che la delibera assembleare posta dal condominio a sostegno della propria pretesa concerneva l’approvazione del rendiconto consuntivo e che, in mancanza di allegazioni della parte sul punto, deve presumersi non si sia nemmeno occupata dell’eccezione di compensazione poi sollevata dagli opponenti in questo giudizio. Ne discende che, vertendosi in materia di delibera attinente all’approvazione delle spese del condominio ed alla loro ripartizione, l’eventuale errore del deliberato in ordine alla apposizione delle somme dovute integra chiaramente una causa di annullabilità e non di nullità della delibera. Nella specie, questa Corte ha già chiarito che le delibere delle assemblee condominiali possono qualificarsi nulle soltanto laddove siano prive degli elementi essenziali, dispongano dei diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o abbiano un oggetto impossibile o illecito ovvero dispongano su materia non rientrante nella competenza della assemblea (Cass. S.U. n. 4806 del 2005 e sentenze successive), situazione quest’ultima che, per la ragione sopra evidenziata, deve ritenersi esclusa nel caso di specie, avendo l’assemblea deliberato sulla approvazione del rendiconto. La statuizione impugnata, che ha confermato la debenza del debito a carico degli opponenti per non avere essi impugnato nel termine di legge la citata deliberazione del 27 aprile 2003, appare pertanto corretta.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ. ed omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamentando che il giudice di appello non abbia rilevato la nullità della delibera di approvazione del rendiconto consuntivo, che come tale era rilevabile in qualsiasi tempo, affermando invece, senza motivazione, che essa era annullabile. Il motivo va respinto in ragione delle considerazioni appena svolte, che hanno evidenziato l’esattezza della soluzione del Tribunale che ha qualificato il vizio denunziato dagli opponenti in termini di annullabilità e non di nullità della delibera e ne ha tratto le dovute conseguenze in termini di consolidamento ed incontestabilità della situazione in essa rappresentata per difetto di impugnativa. La denunzia di vizio di motivazione è invece inammissibile, in quanto investe l’applicazione di norme di diritto, tale dovendosi ritenere la questione se una determinata delibera, in relazione al difetto denunziato, debba qualificarsi annullabile oppure nulla, mentre è noto che il vizio di motivazione della sentenza è riscontrabile unicamente in relazione agli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass. S.U. n. 21712 del 2004).
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

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