La quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (L. n. 36 del 1994, art. 13), è irragionevole l’imposizione all’utente dell’obbligo del pagamento della quota riferita al servizio di depurazione anche in mancanza della controprestazione, non potendosi, in contrario, qualificare come controprestazione il fatto che le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all’attuazione del piano d’ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori, e non potendosi ritenere, stante l’unitarietà della tariffa, che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea, e, conseguentemente, che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale ma di tributo.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 25 marzo – 4 giugno 2013, n. 14042
Presidente Petti – Relatore Ambrosio
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 11.11.2009, il Tribunale di Taranto, sez. distaccata di Grottaglie – rigettando l’appello proposto dall’Acquedotto Pugliese s.p.a. (di seguito, brevemente, A.Q.P. o anche Acquedotto) avverso la sentenza del Giudice di pace di Grottaglie n. 268/2005 nei confronti del Condominio di via …, di M.M..L. e di O..C. – ha confermato, sia pure con diversa motivazione, che l’ente appellante non aveva diritto al pagamento degli oneri di depurazione per il periodo 03.10.2000/30.09.2002, avuto riguardo alla declaratoria di parziale illegittimità costituzionale, intervenuta nelle more con sentenza n.335/2008, dell’art. 14 della legge n. 36 del 1994 e considerato, altresì, che l’Acquedotto non aveva fornito la prova dell’esistenza (nell’ambito di Grottaglie) di un impianto di depurazione funzionante nel periodo preso in considerazione.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.Q.P., svolgendo due motivi, illustrati anche da memoria.
Hanno resistito il Condominio di via …, L.M.M. e O..C. , depositando controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione della legge istitutiva dell’E.A.A.P. (oggi A.Q.P.), nonché degli atti normativi e regolamentari di settore applicabili al gestore del servizio idrico integrato (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.). Al riguardo parte ricorrente deduce che la sentenza impugnata – pur riconoscendo che la società appellante era subentrata all’E.A.A.P. nel potere di gestione del servizio di depurazione del rete fognaria di (omissis) – ha negato il diritto alla riscossione dei relativi oneri senza chiarire a quale soggetto spettasse tale diritto; per altro verso il Tribunale non avrebbe tenuto conto che il concetto di servizio di depurazione comprende anche costi di progettazione, di realizzazione e completamento degli impianti di depurazione e connessi investimenti, in tal modo assunti a componenti vincolati della tariffa.
1.2. Il motivo è in parte inammissibile, perché eccentrico rispetto alle ragioni della decisione e, in parte, comunque infondato.
Sotto il primo profilo si osserva che – contrariamente a quanto opinato da parte ricorrente – le ragioni del diniego della pretesa di pagamento non riposano nel rilievo del difetto della legittimazione a riscuotere (di modo che è incongrua la doglianza inerente la mancata individuazione del soggetto legittimato), bensì nella considerazione della mancata dimostrazione del fatto costitutivo del diritto alla riscossione, rappresentato dall’effettivo svolgimento del servizio di cui viene richiesto il pagamento.
Sotto il secondo profilo si rileva, in ossequio alla lettura costituzionale della disciplina relativa alla debenza del canone di depurazione delle acque, che non vi è luogo al pagamento laddove il Comune sia sfornito di impianto di depurazione centralizzato delle acque (Cass. 12 aprile 2011, n. 8318). Invero la Corte costituzionale – dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 14, co. 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi” (Corte cost., 10 ottobre 2008, n. 335) – ha inequivocabilmente stabilito che la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza. La connessione di tali componenti è evidenziata, in particolare, dal fatto che, a fronte del pagamento della tariffa, l’utente riceve un complesso di prestazioni consistenti, sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione. E poiché la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (L. n. 36 del 1994, art. 13), è irragionevole l’imposizione all’utente dell’obbligo del pagamento della quota riferita al servizio di depurazione anche in mancanza della controprestazione, non potendosi, in contrario, qualificare come controprestazione il fatto che le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all’attuazione del piano d’ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori, e non potendosi ritenere, stante l’unitarietà della tariffa, che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea, e, conseguentemente, che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale ma di tributo (Cons. Stato, 30 giugno 2011, n. 3920).
Ciò posto e precisato che – come risulta nella decisione impugnata- nella specie si controverte degli oneri riferiti al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche nel periodo 03.10.2000/30.09.2002, correttamente il Tribunale ha escluso il diritto alla riscossione per non essere stato fornita la prova dell’esistenza di un impianto funzionante nel periodo in considerazione, ergo per non essere stata dimostrata, con riferimento a detto periodo, l’effettiva fruizione del servizio di depurazione cui, per la rilevata natura sinallagmatica del rapporto, risultava condizionato l’accoglimento della pretesa di pagamento.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: gestione dell’impianto di depurazione (art. 360 n.5 cod. proc. civ.). Al riguardo parte ricorrente lamenta che il Tribunale non si sia pronunciato sulla richiesta di ammissione in appello ex art. 345 cod. proc. civ. della documentazione allegata al gravame e intesa a provare l’esistenza di un impianto di depurazione funzionante nell’abitato di (OMISSIS) .
2.1. Il motivo è inammissibile per la sua genericità.
In via di principio si rammenta che l’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., come modificato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, nell’escludere l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova, ivi compresi i documenti, consente al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili, perché dotate di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia.
Ciò posto e precisato che, nella specie, la ricorrente allega che la documentazione in questione era funzionale alla dimostrazione della titolarità della gestione del servizio idrico, messa in discussione dalla decisione di prime cure, si osserva che dal tenore della censura, per un verso, non emerge la non imputabilità della relativa produzione nel primo grado del giudizio e, per altro verso, neppure è dato desumere l’”indispensabilità” della documentazione ai fini della dimostrazione dell’effettivo funzionamento del depuratore nel periodo che qui rileva; donde la non decisività del vizio motivazionale dedotto.
Non appare superfluo aggiungere che le stesse deduzioni di parte ricorrente, intese a ricondurre la quota degli oneri di depurazione “ai costi di progettazione e di realizzazione o di completamento degli impianti di depurazione e connessi investimenti” (pag. 8 in ricorso), piuttosto che smentirlo, convalidano il rilievo del difetto di prova in ordine all’effettivo funzionamento dell’impianto di depurazione.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.000,00 (di cui Euro 800,00 per compensi) oltre accessori come per legge.

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