Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione.

 

Cassazione Civile, Sez. II (Sent.), 31.05.2012, n. 8731

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 18 maggio 1992, il Condominio del (OMISSIS), in persona dell’amministratore S.F., nonchè I.A., M.I., F.G., D.D., F.A., M.L., C. A., D.P.A. e R.P. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Salerno S.L., esponendo che questi, condomino del predetto edificio, aveva trasformato la finestra del muro perimetrale del fabbricato in un’apertura di vaste proporzioni al fine di dare altro accesso al vano terraneo di sua proprietà illegittimamente trasformato in officina meccanica, e che tale opera era illegittima in quanto lesiva del decoro architettonico dell’edificio condominiale di cui aveva modificato la conformazione esterna.

Essa, inoltre, costituiva un’arbitraria servitù sul marciapiede e sulla strada, entrambi di proprietà condominiale, alterava la destinazione della cosa comune, contrastava con gli strumenti urbanistici vigenti, violava le norme sulla distanza dal bene condominiale.

Ed anche l’assemblea condominiale aveva respinto la richiesta del S. di apportare la modifica in questione, dando poi mandato all’amministratore di iniziare azione giudiziaria, essendo risultati vani gli inviti rivolti allo stesso S. a ripristinare lo stato dei luoghi.

Il Condominio e i condomini chiesero pertanto al Tribunale adito di dichiarare illegittima la creazione della porta di accesso e di condannare il S. alla relativa chiusura con ripristino della situazione qua ante nonchè al risarcimento dei danni.

La domanda fu respinta dal Tribunale con sentenza impugnata dal condominio, in persona dell’amministratore, T.P., e dai condomini.

2. – La Corte d’appello di Salerno, con sentenza depositata il 13 ottobre 2004, in parziale accoglimento del gravame, condannò il S. alla riduzione in pristino dell’apertura della porta ricostituendo la stessa nelle dimensioni originarie.

Rilevò il giudice di secondo grado che la trasformazione di cui si tratta era stata documentata dal c.t.u. con l’acclusione di rilievi fotografici e grafici a corredo dell’istanza di concessione edilizia richiesta ed ottenuta dal S. per la sua realizzazione, e che, secondo la valutazione del c.t.u., l’opera in questione aveva comportato, oltre all’alterazione della cosa comune, la lesione del decoro architettonico del fabbricato interrompendo lo spartito originario delle aperture sul lato opposto all’ingresso principale e quindi modificando il prospetto originario.

I rilievi fotografici confermavano la valutazione peritale. Nè la portata della lesione risultava sminuita dalla circostanza che l’apertura fosse praticata non sulla facciata su cui insisteva l’ingresso principale del fabbricato, ma sulla facciata opposta, aperta comunque alla visuale di una serie indefinita di osservatori.

Quanto, poi, al conseguimento da parte del S. della concessione edilizia avente ad oggetto l’apertura della porta, essa non poteva influire sulla considerazione della illegittimità dell’opera nel rapporto privatistico tra condominio e condomino realizzatore dell’opera.

Nè, infine, il S. aveva fornito la prova della circostanza che il progetto originario del palazzo prevedesse anche la presenza di porte posteriori in alternativa ai finestroni.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre il S. sulla base di due motivi.

Resistono con controricorso il M. e gli altri condomini.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120 cod. civ., dell’art. 132 cod. proc. civ. e art. 118 disp. att. cod. proc. civ., nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Si rileva che l’opera eseguita dal S. sul muro perimetrale, consistita nella semplice trasformazione di un finestrone in una porta senza che ne venisse modificata la larghezza nè l’altezza, ma solo attraverso la eliminazione della piccola parte di muro sottostante il davanzale, non aveva comportato alterazioni della consistenza e della destinazione della cosa comune, nè aveva pregiudicato i diritti di uso e di godimento degli altri condomini, attesa la sua esiguità e la sua effettuazione al piano terraneo e sul retro del fabbricato, peraltro privo di particolare pregio estetico, come riconosciuto dalla stessa Corte di merito, si da non potersi considerare idonea ad incidere sul decoro architettonico dello stesso.

Il giudice di secondo grado si sarebbe basato su di un’apodittica affermazione del c.t.u., secondo la quale l’apertura realizzata aveva interrotto lo spartito originario delle aperture sul lato opposto all’ingresso, modificando il prospetto originario: affermazione, codesta, priva di supporto, non essendo stati forniti elementi tecnici obiettivi, e non completata dalla conclusione della configurabilità di un danno estetico al fabbricato. In proposito, si rileva altresì che la facciata sulla quale era stato realizzato l’intervento in questione non aveva alcun fabbricato di fronte, ma solo altri locali terranei con aperture dello stesso tipo di quella oggetto di causa.

2.1. – La doglianza non merita accoglimento.

2.2. – Secondo l’orientamento di questa Corte, costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione (v. Cass., sent. n. 10350 del 2011).

Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 cod. civ., deve, in definitiva, intendersi l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e imprimono ad esso una determinata, armonica fisionomia. L’alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che immutino l’originario aspetto anche soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la immutazione sia suscettibile di riflettersi sull’insieme dell’aspetto dello stabile (v., tra le altre, Cass. sentt. n. 5417 del 2002, n. 8731 del 1998).

2.3. – Nella specie, il giudice di secondo grado ha fatto buon governo della propria discrezionalità nella valutazione della sussistenza della lesione che al decoro architettonico del fabbricato di cui si tratta aveva determinato l’opera eseguita dal S., fornendo una motivazione articolata ed esaustiva del proprio convincimento in ordine alla ritenuta configurabilità di tale lesione.

Nella sentenza impugnata si valorizza, al riguardo, il dato, emergente dalla relazione del c.t.u., che le aperture al piano terreno della facciata in cui era insediata anche quella in esame costituivano uno spartito formato da un totale di sei aperture le cui caratteristiche si differenziavano per gruppi di tre: dato interpretato dal c.t.u. nel senso che la nuova apertura realizzata dall’attuale ricorrente avesse inferto una lesione al decoro architettonico del fabbricato, cagionando la interruzione del predetto spartito mediante la creazione della descritta porta. La quale, al fine di creare un ulteriore accesso al locale terraneo, adibito ad officina di elettrauto (destinazione vietata, come sottolineato dalla sentenza, dall’art. 2 del regolamento condominiale), aveva contemplato un dislivello di soli 20 cm. fra la sua soglia ed il marciapiede, sviluppantesi lungo l’intera facciata.

La Corte di merito ha, quindi, osservato che i rilievi fotografici confermavano la valutazione peritale, evidenziando la cestirà della continuità della linea causata dall’apertura della porta creata dal S. in luogo della prima finestra lucifera.

In tale quadro, la Corte, con valutazione non affetta da illogicità, ha ritenuto che il vulnus al decoro architettonico dell’edificio apparisse evidente, per effetto dell’innesto in una facciata prospettante su di uno spazio ampio, di comune passaggio e circondato da altri palazzi – pur senza essere quella sulla quale insisteva l’ingresso principale del fabbricato -, di un’apertura anomala, destinata ad accesso e non già, come tutte le altre, a vedute o luci secondo una serie simmetrica ed ordinata, e tale da creare nell’euritmia della facciata una evidente disarmonia.

2.4. – Ciò posto, la Corte salernitana ha ragionevolmente ritenuto la rilevata asimmetria, dovuta alla realizzazione della porta nella facciata, di portata tale da produrre un pregiudizio economicamente valutabile all’edificio, pur nella considerazione della qualità ordinaria, e non eccezionale, dello stesso, che, comunque, non escludeva il rilievo della disarmonia.

Al riguardo, deve, peraltro, sottolinearsi che, secondo l’orientamento di questa Corte, nell’alterazione del decoro architettonico dell’edificio in condominio, vietata dall’art. 1120 cod. civ., il pregiudizio economico è normalmente insito in quello estetico accertato, senza necessità di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica abbia anche arrecato un vantaggio economicamente valutabile (v. Cass., sent. n. 5899 del 2004). Quando la modifica non sia del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio estetico quello economico, senza necessità di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente valutabile (v., tra le altre, Cass., sent. n. 9717 del 1997).

3. – Con la seconda censura si lamenta ancora violazione e falsa applicazione della normativa di cui alla prima rubrica, nonchè dell’art. 2697 cod. civ., ed omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione su di un punto decisivo della controversia.

In ordine al rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, secondo il quale il S. non avrebbe fornito la prova della circostanza che il progetto originario del palazzo prevedesse anche la presenza di porte posteriori in alternativa agli attuali finestroni, si osserva che la predetta circostanza, mai smentita da controparte, costituiva oggetto di uno dei quesiti posti dal c.t.u..

Dunque, la Corte di merito avrebbe dovuto disporre quanto meno una integrazione della consulenza, per acquisire gli elaborati tecnici originari depositati al Comune, anzichè contraddittoriamente contestare al S. il mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla sua affermazione.

4.1. – La doglianza è infondata.

4.2. – In realtà, sul convincimento della Corte non ha spiegato efficacia la circostanza che il S. non avesse fornito la prova che il progetto originario del palazzo prevedesse anche la presenza di porte posteriori in alternativa agli attuali finestroni.

Ne è prova la considerazione che la sentenza impugnata, dopo aver stigmatizzato la mancanza di elementi probatori adeguati all’allegazione del S. relativa all’oggetto della originaria concessione edilizia, che avrebbe contemplato anche l’apertura di porte, ha, per un verso, rilevato che l’allegazione era comunque vanificata dalla richiesta di nuova concessione effettuata dallo stesso S. prima di praticare l’apertura; dall’altro, ha espressamente considerato assorbente la considerazione che, una volta realizzato l’edificio secondo la ordinata simmetria delle aperture, l’attuale ricorrente non avrebbe potuto, senza commettere una violazione di legge, utilizzare il muro comune per apportare una innovazione alla facciata tale da lederne il decoro architettonico.

5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono, in ossequio al criterio della soccombenza, essere poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 1200,00, di cui Euro 1000,00 per onorari.

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