L’appaltatore che nella realizzazione dell’opera si attiene alle previsioni del progetto altrui può, comunque, essere ritenuto responsabile per i vizi dell’opera, in quanto, sebbene l’obbligazione dell’appaltatore sia di risultato, la sua responsabilità non è oggettiva ma è commisurata alla diligenza e alla perizia necessarie nel caso concreto e secondo il parametro di cui all’art. 1176, comma 2, c.c.. Infatti, in tema di appalto ed in ipotesi di responsabilità per vizi dell’opera, l’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente, con la conseguenza che la responsabilità dell’appaltatore, con il derivante obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di eventuali vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori se egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 maggio – 21 giugno 2013, n. 15711
Presidente Felicetti – Relatore Carrato
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 18 aprile 1995, la RO.VE. RE. S.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la W.T.D. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, perché fosse dichiarato risolto il contratto di appalto con essa stipulato ed affinchè la convenuta venisse condannata alla restituzione del corrispettivo percepito, al pagamento della penale contrattualmente stabilita e al risarcimento dei danni. La società attrice esponeva di aver commissionato alla W.T.D. S.r.l. la realizzazione di un impianto di trattamento delle acque di scarico, da allocare nel proprio stabilimento per il recupero ed il riciclo del rottame di vetro, sito in località “Santa Palomba”, per il prezzo di L. 128.000.000 (oltre iva, da versarsi in quattro rate) e deduceva che alla data del 10 aprile 1995, nonostante le ripetute diffide, i lavori eseguiti non consentivano la piena attivazione dell’impianto, tanto da non poter ricevere il prescritto nulla osta sanitario.
Si costituiva la convenuta eccependo la prescrizione, per essere trascorso il termine di due anni dalla consegna dell’impianto, avvenuta il 19 gennaio 1993; chiedeva, comunque, il rigetto della domanda, considerata anche la piena rispondenza dell’impianto alle specifiche previsioni di progetto e tenuto conto che il collaudo non era stato effettuato per la mancanza di energia elettrica e del collegamento tra impianto di depurazione e impianto di produzione; proponeva, infine, domanda riconvenzionale per il pagamento del residuo prezzo dell’appalto per l’ammontare di L. 54.006.000.
Il Tribunale di Roma, rigettava, in primo luogo, l’eccezione di prescrizione con sentenza non definitiva n. 6613/97; poi, con successiva sentenza n. 33024/2002, lo stesso Tribunale accoglieva la domanda principale, dichiarando la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento della convenuta W.T.D. S.r.l., condannandola al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 50.000.000, oltre al pagamento delle spese processuali.
Con atto notificato il 17 gennaio 2003, la W.T.D. S.r.l. proponeva appello avverso le predette sentenze, quella non definitiva e quella definitiva, chiedendo che fosse accolta l’eccezione di decadenza e di prescrizione dell’azione esperita dalla società Ro.ve.re., ex art. 1667, commi 2 e 3, c.c., denegando ogni propria responsabilità in ordine all’inadeguatezza dell’opera appaltata, contestando la liquidazione equitativa del danno subito dalla Ro.ve.re. e riproponendo la domanda riconvenzionale, volta ad ottenere il pagamento della somma di lire 54.000.000, a titolo di asserito residuo prezzo d’appalto.
La Rovere s.r.l. si costituiva opponendosi all’appello principale e proponeva, altresì, appello incidentale condizionato, qualora, sulla base delle prospettazioni della W.T.D., si fossero ritenute sussistenti le condizioni per la riformabilità della sentenza di primo grado sulla scorta delle censure espresse con il gravame principale.
Con la sentenza n. 235/2007 (depositata il 18 gennaio 2007), la Corte d’Appello di Roma, definitivamente pronunciando, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di risarcimento di danni proposta dalla Ro.ve.re. s.r.l.; condannava la W.T.D. s.r.l. al pagamento, a titolo di penale, in favore della Ro.ve.re. s.r.l., della somma di Euro 8.263,31, oltre interessi, confermando nel resto le sentenze impugnate, compensando per metà le spese processuali del grado e condannando l’appellante principale al rimborso della restante metà, in favore della Ro.ve.re. s.r.l..
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte capitolina riconfermava, innanzitutto, l’impianto motivazione della sentenza di primo grado in ordine al rigetto delle eccezioni di decadenza e di prescrizione e alla sussistenza dei presupposti per la invocata risoluzione del contratto di appalto dedotto in controversia; rilevava, invece, la fondatezza del terzo motivo del gravame principale concernente l’accolta domanda risarcitoria, difettando qualsiasi elemento di prova in proposito (anche in funzione di una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.) e respingeva, altresì, il motivo con il quale era stata riproposta la domanda riconvenzionale formulata in primo grado. La Corte di secondo grado ravvisava, inoltre, l’accoglibilità dell’appello incidentale proposto con riferimento alla domanda di condanna dell’appellante principale al pagamento della penale pattuita in contratto in ordine alla ritardata consegna.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Ro.ve.re. s.r.l., articolato in tre motivi. La W.T.D. s.r.l. ha resistito con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale sulla base di cinque motivi. La ricorrente principale ha, a sua volta, formulato controricorso avverso il ricorso incidentale. Il difensore della ricorrente principale ha, altresì, depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente principale ha censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1458 c.c., anche in relazione all’art. 2967 c.c., con riguardo del rigetto della sua domanda di restituzione del prezzo versato, formulando il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 18 gennaio 2007): “dica la S.C. se, ai sensi dell’art. 1458 c.c., alla pronuncia di risoluzione contrattuale debba conseguire il riconoscimento, alla parte che ne abbia fatto richiesta, del diritto alla restituzione della prestazione già eseguita, ove possibile, e se, a prevenire tale effetto, sia necessaria l’allegazione dall’altra parte, ai sensi dell’art. 2697 c.c., di prova di fatti per i quali tale diritto si sia modificato od estinto”.
2. Con il secondo motivo la ricorrente RO.VE.RE. s.r.l. ha censurato la sentenza impugnata per omessa e, comunque, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sempre con riferimento al rigetto della domanda di restituzione del prezzo versato proposta dalla stessa società, prospettando, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c, che “la dedotta carenza motivazionale della sentenza impugnata non consente di individuare le ragioni per le quali sia stato ritenuto – pur in presenza di pronuncia di risoluzione contrattuale ritenuta idonea a legittimare gli effetti restitutori ex art. 1458 c.c. – di rigettare la domanda della Rovere intesa ad ottenere la restituzione del prezzo versato alla WTD”.
3. Con il terzo motivo la ricorrente principale ha censurato la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’accoglimento del terzo motivo di appello formulato dalla W.T.D. s.r.l., e del consequenziale rigetto della domanda di risarcimento danni proposta dalla essa Rovere S.r.l.. A tal proposito, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., risulta prospettato che “la dedotta carenza motivazionale della sentenza impugnata non consente di individuare le ragioni per le quali – pur in presenza di pronuncia di risoluzione contrattuale ritenuta idonea a legittimare gli effetti restitutori ex art. 1458 c.c. e di riconoscimento, quanto meno implicito, della sussistenza del danno sofferto dalla Rovere – della Corte di appello sia stata ritenuta impraticabile la liquidazione equitativa di detto danno”.
4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la W.T.D. s.r.l. ha censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e 163 e 342 c.p.c., ed ha dedotto la nullità della sentenza e del procedimento. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. ha formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se, in tema di contratto di appalto, l’aver sostenuto la responsabilità del committente in ordine ai vizi e alle difformità dell’opera implichi anche la contestazione della risoluzione contrattuale pronunciata a seguito dell’imputazione di quei vizi e di quelle difformità all’appaltatore”.
5. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1668, comma secondo, c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ponendo il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se possa essere dichiarata la risoluzione del contratto di appalto ai sensi dell’art. 1668, comma secondo, c.c., in presenza di vizi e difformità dell’opera tali da non renderla del tutto inadatta alla sua destinazione e, comunque, suscettibili di rimedio”.
6. Con il terzo motivo la ricorrente incidentale ha prospettato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, essendosi la Corte d’Appello limitata a richiamare acriticamente le censurabili valutazioni espresse dal c.t.u. ed il contenuto del solo art. 6 del contratto di appalto, omettendo ogni e qualsivoglia valutazione in ordine al reale rapporto venutosi a creare tra le parti in virtù del contratto de quo.
7. Con il quarto motivo la ricorrente incidentale ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1667, comma secondo, c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, formulando il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se l’art. 1667, comma secondo, c.c., prevede che, ai fini della decorrenza dell’ivi previsto termine di decadenza, l’opera debba essere consegnata completa e non anche esente da vizi”.
8. Con il quinto motivo il ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1458 e 1668 c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ponendo il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se, dichiarata la risoluzione del contratto, possa essere ritenuta la validità ed efficacia della clausola penale relativa all’obbligo di tempestiva consegna dell’opera in esso contenuta”.
9. Rileva, preliminarmente, il collegio che i ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. e che, sul piano della pregiudizialità logico-giuridica, appare necessario esaminare per primi i motivi formulati con il ricorso incidentale, perché attinenti a profili direttamente attinenti alla questione principale riguardante la sussistenza o meno delle condizioni per dichiarare la risoluzione del contratto dedotto in controversia.
Ciò posto, si ritiene che il primo riportato motivo del ricorso avanzato dalla W.T.D. s.r.l. – relativo alla supposta erronea applicazione dell’art. 1668, comma 2, c.c., in funzione della dichiarata risoluzione contrattuale – è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Infatti, la Corte di appello capitolina, interpretando correttamente il gravame proposto dalla W.T.D. s.r.l., ha rilevato che la stessa aveva argomentato soltanto sulla non imputabilità a sé dei difetti dell’impianto, senza evidenziare l’inidoneità di tali difetti (riconosciuti come sussistenti in base ad adeguata valutazione di merito, confortata dalle risultanze istruttorie, ivi incluse quelle scaturite dalla relazione del c.t.u., che aveva, peraltro, ricondotto gli inconvenienti riscontrati a difetti di esecuzione piuttosto che di progettazione) a concretare causa di risoluzione contrattuale, ai sensi dell’art. 1668, comma 2, c.c. Del resto la stessa Corte di appello ha, comunque, ritenuto ricorrente la responsabilità della suddetta società in base al principio per il quale l’appaltatore che nella realizzazione dell’opera si attiene alle previsioni del progetto altrui può, comunque, essere ritenuto responsabile per i vizi dell’opera, in quanto, sebbene l’obbligazione dell’appaltatore sia di risultato, la sua responsabilità non è oggettiva ma è commisurata alla diligenza e alla perizia necessarie nel caso concreto e secondo il parametro di cui all’art. 1176, comma 2, c.c.. Del resto la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 8813 del 2003 e Cass. n. 7515 del 2005) è univoca nello statuire che, in tema di appalto ed in ipotesi di responsabilità per vizi dell’opera, l’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente, con la conseguenza che la responsabilità dell’appaltatore, con il derivante obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di eventuali vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori se egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto.
10. Anche il secondo motivo prospettato con il ricorso incidentale è privo di pregio giuridico e deve essere respinto.
La valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione è stata fondata su una motivazione sufficientemente e logicamente argomentata dalla Corte di merito, la quale, oltre a ritenere che fosse stato pacificamente accertato che l’impianto di depurazione fornito dalla W.T.D. s.r.l. non era stato mai pienamente funzionante (e che la stessa fornitrice si era disinteressata della sua attivazione), ha adeguatamente spiegato che i difetti riscontrati erano ascrivibili a vizi di esecuzione piuttosto che di progettazione, avuto riguardo, in particolare, al rilevante errato dimensionamento dell’opera. A questo proposito, la Corte di appello ha compiutamente accertato l’esistenza del denunciato difetto, evidenziando che esso era tale da non consentire la realizzazione del programma per cui il committente aveva appaltato l’opera (donde l’inidoneità dell’impianto ad assolvere alla concordata destinazione) e, preso atto che l’appaltatrice non aveva opposto che quel difetto avrebbe potuto essere rimediato ovvero che non era tale da comportare un apprezzabile pregiudizio, ha correttamente ritenuto provato l’inadempimento dell’appaltatrice stessa.
11. Il terzo motivo del ricorso incidentale è altrettanto privo di fondamento e va rigettato.
Con tale censura la W.T.D. s.r.l. ribadisce che la Corte di secondo grado aveva errato nel ritenere che il vizio di sottodimensionamento dell’impianto fosse riconducibile a carenze di esecuzione dell’opera anziché a difetto di progettazione, non avendo il giudice di merito integralmente e correttamente analizzato il testo del contratto ai fini della individuazione dell’esatto ruolo svolto da ciascuna delle parti nel sinallagma contrattuale, pervenendo alla conclusione che ad essa W.T.D. s.r.l. non solo non era stata richiesta alcuna specifica cognizione tecnica relativa alla fase di progettazione dell’opera ma era era stato fatto divieto di apportare varianti o modifiche al progetto stesso.
Osserva il collegio che la riferita doglianza, oltre a non essere supportata da un’autonoma ed adeguata sintesi del vizio di carenza motivazionale addotto (prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c.), investe, all’evidenza, una valutazione di fatto rimessa al giudice del merito che – con riferimento a quanto illustrato in ordine ai primi due motivi – si prospetta fondata su una motivazione logica ed esauriente e, perciò, incensurabile in questa sede di legittimità, riconfermandosi, peraltro, gli espressi principi giuridici in tema di configurazione della responsabilità dell’appaltatore anche quando si sia in presenza di un errore progettuale consistente nella mancata previsione di accorgimenti necessari per rendere l’opera appaltata tecnicamente valida e funzionale rispetto alle esigenze del committente.
12. Anche il quarto motivo del ricorso incidentale non coglie nel segno e va respinto quanto alla supposta violazione di legge mentre deve qualificarsi inammissibile con riferimento al prospettato vizio di motivazione, difettando, la chiara ed univoca esposizione del fatto controverso – in relazione al quale si è assunto che la motivazione fosse omessa o contraddittoria – nonché l’adeguata ed autonoma sintesi delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza motivazionale si sarebbe dovuta ritenere inidonea a giustificare la decisione adottata dalla Corte territoriale.
Con la prospettata violazione di legge la ricorrente incidentale ha inteso sostenere che ciò che rileva, ai fini della decorrenza del termine di decadenza previsto dall’art. 1668, comma 2, c.c., sarebbe la semplice consegna dell’opera (da ritenersi, nella specie, completa), per effetto della quale la committente era stata messa nella condizione di poter scoprire eventuali difformità e vizi in relazione ai quali provvedere alla formulazione di una tempestiva denuncia all’appaltatrice.
Al riguardo occorre, invece, sottolineare che la Corte capitolina, pur riconoscendo l’ammissibilità della proposizione dell’eccezione di decadenza in appello, ne ha adeguatamente escluso la fondatezza sul rilievo essenziale che la stessa avrebbe presupposto se non la formale accettazione dell’opera, almeno il suo avvenuto completamento. Senonché, la stessa Corte di secondo grado – con adeguato e logico percorso argomentativo riferito a congrui accertamenti di merito – ha rilevato che, nella fattispecie, tutti i solleciti provenienti dalla committente erano indirizzati a consentire che l’impianto venisse reso attivo, tanto è vero che nello stesso atto di citazione si era posto riferimento alla circostanza della mancata attivazione dell’impianto dovuta ad incompletezza delle opere.
Peraltro, è opportuno ricordare (ad integrazione di quanto rilevato dalla Corte territoriale) che – secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte (cfr, ad es., Cass. n. 7260 del 2003 e Cass. n. 5131 del 2007) – la presa in consegna dell’opera, in tema di appalto, da parte del committente non va confusa con l’accettazione della stessa e non implica, di per sé, la rinunzia a far valere la garanzia per i difetti conosciuti o conoscibili quando sia seguita dalla denunzia delle difformità e ei vizi dell’opera. In modo più incisivo si è puntualizzato che, in materia di appalto, l’art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al quarto comma prevede come presupposto dell’accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso) e come fatto concludente la “ricezione senza riserve” da parte di quest’ultimo anche se “non si sia proceduto alla verifica”.
Bisogna, però, distinguere tra atto di “consegna” e atto di “accettazione” dell’opera: la “consegna” costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre T’accettazione” esige, al contrario, che il committente esprima (anche per “facta concludentia”) il gradimento dell’opera stessa (circostanza, questa, pacificamente esclusa nella fattispecie, in cui la Ro.ve.re. s.r.l. aveva insistito per l’attivazione dell’impianto, contestando anche la completezza della realizzazione dell’opera), con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo.
13. Anche il quinto ed ultimo motivo riferito al proposto ricorso incidentale (riguardante la supposta illegittimità della condanna di essa W.T.D. s.r.l. al pagamento della penale per l’assunto ritardo nella consegna dell’impianto) è destituito di fondamento e va, quindi, respinto.
Occorre, in proposito, mettere in rilievo come la Corte di appello di Roma abbia ritenuto applicabile la penale in base all’apposita clausola contrattuale secondo la quale essa sarebbe stata operativa qualunque fossero stati la quantità ed il valore dei lavori eseguiti (e fermo restando ogni altro diritto della committente, ivi compreso quello del risarcimento del maggior danno). Oltretutto, con valutazione di merito adeguatamente motivata, la stessa Corte territoriale ha accertato che l’opera era stata consegnata – incompleta e difettosa – con circa due mesi di ritardo rispetto al termine previsto, ragion per cui la pattuizione delle parti non poteva che trovare esecuzione “indipendentemente dalla prova del danno” (ai sensi dell’art. 1382 c.c.).
Del resto, al di là delle specifiche pattuizioni stipulate nella fattispecie (nei sensi appena richiamati), la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 12349 del 2002 e Cass. n. 591 del 2005) riconosce che l’art. 1383 c.c., nel vietare il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l’inadempimento, non esclude, tuttavia, che si possa chiedere tale prestazione insieme con la penale per il ritardo, e, nella ipotesi di risoluzione del contratto, il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per la mancata esecuzione dell’obbligazione nel termine stabilito ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l’inadempimento, salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l’inadempimento, la necessità di tener conto, nella liquidazione di quest’ultima, della entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale, al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore.
14. Esaurito l’esame dei motivi (logicamente preliminari) dedotti a sostegno del ricorso incidentale, si può passare alla valutazione delle censure poste a fondamento del ricorso principale.
I primi due motivi – esaminabili congiuntamente perché afferenti alla stessa questione prospettata sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale – sono fondati e vanno accolti per le ragioni che seguono.
Con tali censure (come precedentemente riportate), la ricorrente principale ha, per un verso, dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1458 c.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c., con riguardo al rigetto della sua domanda di restituzione del prezzo versato in dipendenza della dichiarata risoluzione del contratto e, per altro verso, ha contestato l’adeguatezza del percorso logico seguito dalla Corte territoriale con riferimento allo stesso punto decisivo della controversia, che aveva costituito oggetto di uno specifico motivo di appello incidentale.
Secondo la prospettazione complessiva della s.r.l. Ro.ve.re., una volta dichiarata la risoluzione dalla quale sarebbe dovuto scaturire il riconoscimento del suo diritto alla restituzione del prezzo, incombeva alla s.r.l. W.T.D. l’onere (in concreto non assolto), in relazione al disposto dell’art. 2697 c.c, di provare i fatti per i quali il suddetto diritto si era modificato od estinto, anche solo sotto il profilo dell’impossibilità della “restituito in integrum” ovvero della configurazione di uno squilibrio sinallagmatico delle ripetizioni integrali delle reciproche prestazioni, non potendo, peraltro, sortire alcuna rilevanza (come, invece, ritenuto dalla Corte capitolina con la motivazione della sentenza impugnata) la circostanza che l’opera realizzata dall’appaltatrice potesse conservare una “qualche apprezzabile utilità” per la committente e quella che la stessa Ro.ve.re. non si era mai dichiarata disponibile a restituire l’opera stessa.
Innanzitutto, bisogna ricordare che – secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 574 del 1968 e, da ultimo, Cass. n. 8247 del 2009) – l’appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche (ipotesi da escludere nel caso di specie), non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae, in caso di risoluzione, alla regola generale, dettata dall’art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti, anche in ordine alle prestazioni già eseguite. Conseguentemente, una volta pronunciata la risoluzione del contratto, in forza della operatività retroattiva di essa, stabilita dall’art. 1458 c.c., si verifica per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale “restitutio in integrum” e, pertanto, tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi (v., in proposito, Cass. n. 7470 del 2001; Cass. n. 12468 del 2004 e Cass. n. 18143 del 2004). In altri termini, nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione stabilita dall’art. 1458 c.c, in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire la prestazione ricevuta, indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempimento e toglie – al riguardo – operatività al meccanismo dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c..
Orbene, la Corte di appello di Roma, escludendo la restituzione del corrispettivo versato dalla committente (che la stessa aveva ritualmente richiesto con apposito motivo del gravame incidentale, non essendo adottabile una pronuncia d’ufficio sul punto: cfr. Cass. n. n. 2562 del 2009 e, da ultimo, Cass. n. 2075 del 2013), ha violato i predetti principi giuridici ed è incorsa nelle prospettate violazioni di legge, adottando, in merito, anche un’illogica motivazione, avendo, da un lato, respinto il motivo con il quale la W.T.D. s.r.l. aveva riproposto la domanda concernente il pagamento del residuo corrispettivo dell’appalto sul presupposto dell’intervenuta risoluzione contrattuale determinata dall’inidoneità dell’opera, con l’insorgenza del correlato obbligo – in capo alla stessa appaltatrice – della restituzione di tutto quanto ricevuto a titolo di prezzo in virtù degli effetti restitutori previsti dall’art. 1458 c.c. (v. pag. 7 della sentenza impugnata), e, dall’altro lato, ha mancato di riconoscere il corrispondente diritto della committente a ricevere tale restituzione. Peraltro, a quest’ultimo riguardo, la stessa Corte ha incongruamente ritenuto che il diniego di tale diritto fosse giustificato dalla possibilità che la committente potesse ricavare qualche utilità dall’impianto incompletamente realizzato e che, in ogni caso, la stessa Ro.ve.re. non si era attivata per offrire alla controparte la restituzione dell’opera. Ma tali argomentazioni sono da ritenersi logicamente viziate ed in contraddizione con il corretto principio giuridico generale riferito all’operatività degli effetti restitutori conseguenti alla dichiarazione di risoluzione contrattuale, dal momento che: – era rimasto accertato che la committente non aveva inteso accettare la parziale esecuzione dell’opera; – che aveva, anzi, chiesto la risoluzione dell’appalto (per inadempimento dell’appaltatrice, ottenendola); – che non aveva manifestato alcuna volontà di trattenere l’opera inutilizzabile secondo la concordata originaria destinazione (accontentandosi di una riduzione del corrispettivo pattuito), per la quale aveva già corrisposto il prezzo di cui aveva legittimamente invocato la restituzione (ai sensi del citato art. 1458 c.c), non incombendo a suo carico uno specifico onere di dichiararsi disponibile a restituire l’opera, la cui pretesa avrebbe dovuto essere azionata dalla s.r.l. W.T.D., un volta sopravvenuto lo scioglimento del vincolo contrattuale.
15. Il terzo motivo del ricorso incidentale (relativo all’assunto vizio motivazionale della sentenza in ordine al rigetto della domanda risarcitoria conseguente alla pronuncia di risoluzione, siccome non adeguatamente provata) è, invece, infondato e deve, perciò, essere respinto.
Infatti, ritiene il collegio che la motivazione della Corte capitolina – sull’esclusione delle condizioni e della prova per la condanna al risarcimento del danno – debba ritenersi sufficientemente idonea, risultando fondata su adeguati accertamenti di fatto, che non sono sindacabili in questa sede (non conseguendo il risarcimento del danno automaticamente dalla risoluzione del contratto), senza che, oltretutto, sussistessero, in ogni caso, i presupposti per un’assunta liquidazione equitativa.
In particolare, la Corte di secondo grado ha adeguatamente argomentato sulla irrilevanza del documento posto dalla Ro.ve.re. a giustificazione degli asseriti danni (provvedimento di divieto di prosecuzione attività), non contenendo lo stesso alcun riferimento al malfunzionamento dell’impianto di depurazione fornito dalla W.T.D. s.r.l., oltre ad evidenziare il mancato riscontro di eventuali spese sostenute per adeguare – mediante l’opera di altre imprese – l’impianto alle esigenze della stessa committente (come pure era stato concordato contrattualmente) od altri elementi idonei a comprovare sufficientemente il danno assunto come subito. Del resto è risaputo (cfr. Cass. n. 8278 del 1999 e Cass. n. 7829 del 2003) che, anche nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento, i criteri da applicare per la determinazione del danno sono quelli di cui all’art. 1223 c.c., con l’effetto che devono ritenersi risarcibili i soli danni che costituiscono conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento, precisandosi che il danno può essere liquidato solo se la parte che si assume danneggiata fornisca la prova della sua effettiva esistenza.
16. In definitiva, sulla scorta delle argomentazioni complessivamente esposte, il ricorso incidentale deve essere integralmente rigettato, mentre vanno accolti i primi due motivi del ricorso principale e rigettato il terzo.
Deve, perciò, pronunciarsi – rigettati i ricorsi nel resto – la cassazione della sentenza impugnata solo in relazione ai due motivi accolti del ricorso della Ro.ve.re. s.r.l., a cui consegue il correlato rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, che, oltre a conformarsi ai principi di diritto enunciati con riferimento alle due predette censure ritenute fondate (come precedentemente rimarcati), provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta integralmente il ricorso incidentale; accoglie i primi due motivi del ricorso principale e rigetta il terzo motivo di quest’ultimo ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *