Per la configurazione del reato di guida in stato di ebbrezza, pur potendo accertarsi lo stato di alterazione con qualsiasi mezzo, e quindi anche su base sintomatica, è tuttavia necessario ravvisare l’ipotesi più lieve, priva di rilievo penale, quando, pur risultando accertato il superamento della soglia minima, non sia possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell’agente rientri nell’ambito di una delle altre due ipotesi che conservano rilievo penale
Cassazione, Sentenza 19-23 aprile 2013, n. 18375
Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 26.10.2012, la corte d’appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza in data 17.3.2009, con la quale il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Sondrio ha condannato R.A.C. alla pena di sedici giorni di arresto ed Euro 720,00 di ammenda (pena detentiva sostituita con la pena pecuniaria corrispondente, e così complessivamente alla pena di Euro 1.328,00 di ammenda), in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (art. 186, comma 1, lett. c, c.d.s.), accertato in (omissis).
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, censurando il provvedimento impugnato per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 186 cit, avendo i giudici del merito ritenuto di ascrivere all’imputato la commissione del fatto più grave disciplinato dal ridetto art. 186 (comma 1, lett. c), nonostante l’accertamento strumentale fosse stato condotto con una sola misurazione senza la prescritta ripetizione della stessa, in conformità alle previsioni del codice della strada.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole che i giudici del merito abbiano trascurato di specificare, tanto i caratteri, quanto la concreta incidenza causale dei pretesi indici sintomatici dell’ebbrezza alcolica ravvisati, con la conseguenza della mancata prova dell’effettivo ricorso della più grave ipotesi di reato tra quelle disciplinate dall’art. 186 cit..
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è fondato.
La sentenza d’appello ha ritenuto di ascrivere all’imputato la commissione della più grave delle ipotesi di reato disciplinate dall’art. 186 c.d.s. muovendo dalla preliminare circostanza costituita dal risultato della prima misurazione strumentale del tasso alcolemico riscontrato a carico dell’imputato: risultato superiore ai limiti previsti in relazione a tale più grave ipotesi criminosa, seppur non accertata in conformità alle prescrizioni legali dello stesso art. 186.
Al riguardo, secondo l’insegnamento di questa corte di legittimità, per la configurazione del reato di guida in stato di ebbrezza, pur potendo accertarsi lo stato di alterazione con qualsiasi mezzo, e quindi anche su base sintomatica, è tuttavia necessario ravvisare l’ipotesi più lieve, priva di rilievo penale, quando, pur risultando accertato il superamento della soglia minima, non sia possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell’agente rientri nell’ambito di una delle altre due ipotesi che conservano rilievo penale (Cass., Sez. 4, n. 28787/2011, Rv. 250714; Cass., Sez. 4, n. 6889/2011, Rv. 252728).
Nel caso di specie, il generico richiamo operato nella sentenza impugnata agli indici sintomatici riportati nel verbale di accertamento redatto dalla polizia giudiziaria (sia pure valutati in connessione all’entità del risultato scaturito dalla prima misurazione del tasso alcolemico dell’odierno imputato), appare tale da non fornire una dimostrazione sufficientemente adeguata al fine di ritenere, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell’agente si prestasse a un inquadramento nell’ambito di una delle due ipotesi di cui all’art. 186 c.d.s. ancora configurate come penalmente rilevanti.
L’indole eminentemente apodittica della motivazione così come redatta nel provvedimento qui impugnato impone di riscontrarne il carattere sostanzialmente illogico, da tanto derivando il necessario annullamento della ridetta sentenza, con rinvio alla corte d’appello milanese per un nuovo esame sul punto indicato.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano.