La formazione delle tabelle millesimali, nonché la loro modifica, non necessita di forma scritta ad substantiam ed è desumibile anche da facta concludentia, quali il costante pagamento per più anni delle quote millesimali secondo criteri prestabiliti, invece della formale approvazione (Cass. 3251/98; 4814/94; 529/95), fatta salva la possibilità del singolo condomino di impugnare la ripartizione delle spese quando questa non rispetti i criteri dettati dalla legge, per essere divergenti il valore della quota considerato ai fini della spesa e quello reale del bene in proprietà esclusiva
Cassazione Civile, 19.07.2012, n. 12471
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 20 aprile 1996 C. V.A., proprietaria di unità immobiliare sita in Roma, nell’edificio di via (OMISSIS), evocava, dinnanzi al Tribunale di Roma, il CONDOMINIO di detto edificio per sentire dichiarare nulle le delibere assembleari con le quali, a maggioranza, in data 23.3.1996, erano stati approvati il bilancio consuntivo per l’anno 1995 e quello preventivo per l’anno 1996, con i relativi piani di riparto, deducendo che: la ripartizione delle spese era stata effettuata applicando tabelle millesimali (ad esclusione di quella A, già modificata e revisionata) difformi dalla reale consistenza delle singole unità immobiliari; nel consuntivo 1995 la voce B Acqua era stata ripartita in parti uguali e non secondo il criterio di cui all’art. 18 del Regolamento condominiale; non era chiaro il criterio di riparto delle spese per gasolio ed energia elettrica tra le diverse voci, per le quali vigeva una apposita tabella millesimale;
la spesa per l’adeguamento dell’impianto elettrico di cui alla L. n. 46 del 1990, inserita nel consuntivo 1995, non doveva essere sostenuta per difetto dei requisiti soggettivi della ditta appaltatrice e di progetto prescritti dalla disciplina sulla sicurezza degli impianti, oltre a non dovere essere ripartita secondo i millesimi di proprietà, ma a norma dell’art. 1124 c.c.;
l’attribuzione a tutti i condomini dell’onorario del prof. Ca. per la revisione dei millesimi di proprietà, invece di essere accollata interamente alla condomina P., unica responsabile dell’operazione.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, all’esito dell’istruzione della causa, il Tribunale adito annullava la delibera assembleare che aveva approvato il bilancio consuntivo 1995 limitatamente alla ripartizione della spesa per la fornitura dell’acqua da parte dell’ACEA, con integrale compensazione fra le parti delle spese processuali.
In virtù di rituale appello interposto dalla C.V., con il quale censurava la erroneità della decisione circa la ripartizione tabellare dei costi comuni, dovendo essere la definitività dei conteggi rimandata al momento della formazione delle nuove tabelle, oltre a dovere essere addossata alla sola condomina P. quella già sostenuta per la tab. A), unica responsabile della necessità di revisione dei millesimi, nonchè sulla ripartizione della spesa generale e per il consumo dell’acqua, oltre che per l’adeguamento dell’impianto elettrico condominiale, la Corte di Appello di Roma, nella resistenza dell’appellato, rigettava integralmente l’appello.
A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che al momento dell’acquisto della proprietà della unità immobiliare la appellante aveva accettato il regolamento condominiale contrattuale con le relative tabelle, che trovavano piena applicazione sino alla successiva revisione, ritenuta la genericità delle doglianze circa la ripartizione delle spese generali per gasolio ed energia elettrica.
Aggiungeva che era dovuta la quota della spesa riguardante l’adeguamento dell’impianto elettrico per essere stato l’incarico alla ditta appaltatrice conferito in attuazione della deliberazione del 21.7.1995, non impugnata dall’appellante; inoltre i costi erano stati correttamente ripartititi in base alla tabella A di proprietà, trattandosi di un vero e proprio potenziamento dell’impianto per ragioni di sicurezza pubblica e riguardando i lavori l’essenza stessa della cosa comune.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione la C.V., che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito il CONDOMINIO con controricorso.
Alla pubblica udienza del 18.1.2012 veniva rilevata la mancanza dell’autorizzazione dell’Amministratore del Condominio a stare in giudizio (in conformità a Cass. SS.UU. n. 18331/2010), acquisita per l’udienza successiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 e 1372 c.c., nonchè il vizio di motivazione, relativamente all’accordo intervenuto tra i condomini per l’inefficacia delle tabelle millesimali riconosciute errate; in particolare, per non avere la corte di merito tenuto conto del valore negoziale della delibera assembleare di cui alla seduta del 24 ottobre 1992 con la quale era stata riconosciuta la non veridicità della vecchia tabella millesimale e raggiunto l’accordo per la nuova.
Di conseguenza i successivi pagamenti avrebbero dovuto essere conteggiati “in acconto”, a nulla rilevando l’adesione del condomino – contraente al precedente contratto, argomentazione dei giudice di merito che è da ascrivere ad errore.
La censura è priva di pregio.
Nel caso di specie il problema riguarda la vigenza delle tabelle millesimali.
Ebbene, questa corte ha più volte affermato che queste possono esistere (o non esistere) indipendentemente dal regolamento condominiale, posto che l’allegazione di esse al regolamento rappresenta un dato meramente formale che non muta la diversa natura intrinseca dei due atti, potendo i condomini, in mancanza di un regolamento con annesse tabelle ai fini della ripartizione delle spese (di tutte o alcune di esse), accordarsi liberamente tra loro stabilendone i criteri, purché sia rispettata la quota di spesa posta a carico di ciascun condomino e la quota di proprietà esclusiva di questi, essendo il criterio di ripartizione previsto dalla legge (art. 1123 c.c.) preesistente ed indipendente dalla formazione delle tabelle (in tal senso, v. Cass. 3 dicembre 1999 n. 13505).
Da ciò discende il principio che la (pre)esistenza di tabelle millesimali non è necessaria per il funzionamento e la gestione del condominio, non solo ai fini della ripartizione delle spese ma neppure per la costituzione delle assemblee e la validità delle deliberazioni (Cass. SS.UU. 9 agosto 2010 n. 18477; Cass. 10 febbraio 2009 n. 3245).
E’ stato, altresì, affermato da questa corte che la formazione delle tabelle millesimali, nonché la loro modifica, non necessita di forma scritta ad substantiam ed è desumibile anche da facta concludentia, quali il costante pagamento per più anni delle quote millesimali secondo criteri prestabiliti, invece della formale approvazione (Cass. 3251/98; 4814/94; 529/95), fatta salva la possibilità del singolo condomino di impugnare la ripartizione delle spese quando questa non rispetti i criteri dettati dalla legge, per essere divergenti il valore della quota considerato ai fini della spesa e quello reale del bene in proprietà esclusiva (Cass. SS.UU. 9 agosto 2010 n. 18477; Cass. 10 febbraio 2009 n. 3245).
Nell’ambito del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento sopra illustrato la ricorrente si è limitata a dedurre, peraltro solo per la prima volta in cassazione, l’esistenza di un atto di approvazione di nuove tabelle millesimali, senza neanche indicare con quale atto avrebbe posto la questione nei gradi di merito o comunque prodotto la documentazione relativa.
A fronte di ciò dalla decisione impugnata emerge che, di converso, il Condominio aveva solo avviato la procedura per la modifica delle tabelle millesimale, procedura che al momento della delibera in contesa non era stata ancora definita.
Un’ulteriore considerazione appare dirimente: una diversa imputazione dei costi di gestione del condominio ben avrebbe potuto essere deliberata a maggioranza con una ripartizione provvisoria dei contributi a titolo di acconto e salvo conguaglio, come richiesto dalla ricorrente, ma ciò sarebbe potuto avvenire pur sempre sulla base di una deliberazione in tal senso (v. Cass. 22 aprile 2005 n. 8505).
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 1256 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la determinazione delle spese conteggiate, che sarebbe avvenuta non già in base alle tabelle allegate al Regolamento condominiale, bensì con riferimento alla ripartizione operata dall’amministratore tenendo conto presuntivamente della potenzialità degli impianti di riscaldamento, degli ascensori e di refrigerazione.
Prosegue la ricorrente che al riguardo non potrebbe assurgere a motivo di non applicazione della volontà dei condomini la sola mancanza di contatori supplementari per singoli impianti.
Il motivo è inammissibile, essendo inficiato dallo stesso vizio che imputa alla sentenza impugnata, id est non consente, per la sua genericità, il controllo sulla decisività della censura dedotta.
Al riguardo si deve considerare che quando sia denunziato, con il ricorso per cassazione, un vizio di motivazione della sentenza sotto il profilo dell’omesso od insufficiente esame di fatti, di circostanze, di rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento pure tecnico seguito dal consulente d’ufficio, essendo stata nella specie espletata c.t.u. (v. pag. 6 della sentenza impugnata), è necessario che il ricorrente non si limiti a censure apodittiche d’erroneità e/o di inadeguatezza della motivazione od anche di omesso approfondimento di determinati temi di indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle cui è pervenuto il consulente d’ufficio e recepite dal giudice; è, per contro, necessario che il ricorrente precisi e specifichi, svolgendo concrete e puntuali critiche se pure sintetiche, le risultanze e gli elementi di causa dei quali lamenta la mancata od insufficiente valutazione, evidenziando, in particolare, le eventuali controdeduzioni alla consulenza d’ufficio che assuma essere state neglette, nonchè in cosa precisamente consistessero e quali finalità perseguissero gli eventuali mezzi di prova contrari richiesti e non ammessi, ovvero a quali specifici maggiori accertamenti i giudici di merito avrebbero dovuto procedere e, soprattutto, se fossero stati loro richiesti ed in quali termini, ovvio essendo che una censura che si sostanzi, di fatto, in un’istanza di ulteriore diversa indagine istruttoria che non avesse formato oggetto di specifica richiesta in sede di merito non può trovare ingresso in sede di legittimità.
Ciò in quanto, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, è condizione di ammissibilità del motivo il consentire al giudice di legittimità di procedere alla valutazione della decisività, al fine di pervenire ad una soluzione della controversia differente da quella adottata dal giudice a quo, dei mezzi istruttori non ammessi e/o delle risultanze assunte erroneamente od insufficientemente valutate (v. già Cass. 20 dicembre 1994 n. 10972; Cass. 25 maggio 1995 n. 5742; Cass. 16 gennaio 1996 n. 326).
Ancora è stato evidenziato come, qualora con il ricorso per cassazione venga dedotta l’incongruità o l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata od erronea valutazione di risultanze processuali, sia necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata od erroneamente valutata, che il ricorrente specifichi detta risultanza mediante sua integrale trascrizione nel ricorso; il che, nel caso di richiesta d’indagine tecnica suppletiva, si traduce nella necessità che la parte trascriva integralmente nel ricorso il testo delle critiche mosse alla prima consulenza e dei quesiti oggetto della richiesta di rinnovazione.
Orbene, come si è accennato, non solo nel ricorso in esame non è riportata la parte di consulenza tecnica le cui risultanze, per come recepite dal giudice a quo, si assumono inadeguate (ed anzi la ricorrente parrebbe addirittura prescindere dagli esiti della c.t.u., di cui non fa alcuna menzione), nè sono precisate le ragioni per le quali si assume che tali fossero con specifico riferimento a dati concreti (non basta asserire apoditticamente che la corte di merito ha ricondotto la potenzialità percentualizzata degli impianti alla tabella prevista per la sola fornitura acqua – Acea, palesemente inapplicabile alla fornitura del gasolio), ma neppure risulta se ed in quali termini alla corte territoriale fossero stati segnalati errori del consulente d’ufficio, così nel rilievo e nell’elaborazione dei dati posti a base della relazione a questi commessa come nello svolgimento dell’iter logico iniziato con l’analisi di quei dati e terminato con le rassegnate conclusioni, ed in quali termini fossero stati chiesti il rinnovo od il supplemento d’indagine.
Il ricorso va, in conclusione, respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.