Il danno non patrimoniale è categoria unica connotata in senso descrittivo da singole voci risarcitorie che ne garantiscono l’integrale soddisfazione, ma non devono condurre ad un’inammissibile duplicazione di poste in cui il danno medesimo si sostanzia. Questa categoria unitaria comprende ogni forma di sofferenza cagionata da un comportamento illecito che leda interessi non aventi rilevanza esclusivamente economica. Ciò è molto chiaro nella definizione contenuta nel Codice delle Assicurazioni, che all’art. 138 definisce per danno biologico il “danno da lesione dell’integrità psico-fisica che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali”. Pertanto, alla luce della predetta definizione, è risarcibile la sofferenza causata dal peggioramento della qualità della vita, dal non poter più svolgere quelle attività realizzatrici della persona umana che precedentemente erano consentite al soggetto, come conseguenza della lesione del diritto fondamentale alla salute ex art. 32 Cost.. Per effetto di tale ricostruzione, non trova più spazio la risarcibilità del c.d. danno morale “puro” o sofferenza d’animo – che non trova materiale riscontro sul piano delle conseguenze dannose oggetto di onere della prova per ottenere il risarcimento – in origine risarcito solo in caso di commissione di reati per effetto del combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c.

 

Corte di Cassazione, Sentenza 14 maggio 2013, n. 11514

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