Requisiti soggettivi e oggettivi mettono i paletti all’agevolazione. L’immobile, per esempio, non deve essere di lusso ed è fondamentale la residenza del nuovo proprietario

I benefici d’imposta previsti per l’acquisto della prima casa spettano unicamente a coloro che dimostrano, in base alle risultanze anagrafiche, di risiedere o di lavorare nel Comune dell’immobile acquistato, senza che a tal fine possano essere prese in considerazione situazioni di fatto contrastanti con tali risultanze.

Questo il principio di diritto ribadito dalla Cassazione nell’ordinanza n. 271 dell’8 gennaio, che ha confermato un orientamento da ritenersi oramai pacifico in giurisprudenza in materia di benefici prima casa (cfr Cassazione, sentenze n. 17597/2012, n. 1530/2012, n. 14399/2010, n. 4628/2008, n. 1173/2008, n. 22528/ 2007, n. 18077/2002 e n. 8377/2001).

Le difficoltà applicative e i dubbi interpretativi concernenti la struttura normativa di riferimento hanno alimentato, nel corso degli anni, un notevole contenzioso in materia di tassazione agevolata per l’acquisto di questo tipo di abitazione.
Al riguardo, ricordiamo brevemente che i benefici fiscali in esame presuppongono la sussistenza di requisiti soggettivi (concernenti, cioè, l’acquirente) e oggettivi (concernenti la natura e l’ubicazione dell’immobile) specificatamente previsti dalla Nota II bis dell’articolo 1 della Tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro (Tur), approvato con Dpr n. 131/1986.

In particolare, sulla base di tale disposizione normativa, le agevolazioni si applicano agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi di nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione relativi alle stesse solo se ricorrono alcune condizioni, tra le quali, per quel che qui rileva, che l’immobile sia ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività.

Il giudizio di merito
Due contribuenti propongono ricorso innanzi ai competenti giudici tributari avverso l’avviso di liquidazione emesso da un ufficio finanziario a seguito della revoca dei benefici fiscali “prima casa” ottenuti, ai sensi della normativa richiamata, in occasione dell’acquisto da parte degli stessi di un immobile da destinare a prima abitazione.
Tale revoca era fondata sull’intervenuta decadenza dei contribuenti/ricorrenti dall’agevolazione in esame, in conseguenza del mancato trasferimento della residenza, nel Comune dell’immobile acquistato, nel prescritto termine di diciotto mesi.

Il ricorso viene respinto in primo grado, ma il successivo appello è accolto dai giudici del gravame sul presupposto che i contribuenti/appellanti avessero fornito idonea prova dei requisiti necessari per beneficiare del regime fiscale agevolato, nello specifico, la sussistenza del presupposto fattuale del trasferimento di residenza nei termini normativamente previsti.
Avverso tale pronuncia, l’ufficio finanziario propone ricorso in Cassazione deducendo la violazione e la falsa applicazione della succitata normativa in tema di benefici fiscali “prima casa”.

La sentenza della Cassazione
Innanzitutto, i giudici di piazza Cavour ritengono insufficiente e illogica la motivazione della sentenza d’appello (equiparabile all’omissione della stessa), atteso che non contiene gli elementi da cui i giudici del gravame hanno tratto il proprio convincimento logico-giuridico, rendendo di fatto impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento adottato.

Nel caso di specie, infatti, precisa la Cassazione, la sentenza d’appello fa riferimento a una bolletta per la fornitura di energia elettrica accompagnata da una dichiarazione di un maresciallo dei Carabinieri che, per stessa affermazione dei giudici, appare oggettivamente resa in termini generici.
Nello specifico, “non viene data contezza dell’iter logico seguito e dei concreti elementi utilizzati nel percorso decisionale, per giungere ad affermare il trasferimento di residenza…”.
Nel merito, lo stesso maresciallo “…aveva riferito di dimora giustificata ‘dalla paura di subire furti del materiale edile lì riposto e custodito’ e non anche di trasferimento di residenza del nucleo familiare e del relativo arredo”.Invece, conclude la Corte di legittimità, non viene dato risalto all’esame e alla valutazione delle circostanze evidenziate dall’Amministrazione ricorrente “…quali le risultanze del certificato storico di residenza, nonché che la bolletta esibita non afferiva ad utenza per approvvigionamento di energia elettrica di una casa per civile abitazione, bensì funzionale alla mera esecuzione dei lavori edili”.

Fonte: Fiscooggi.it

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