In tema di comunione semplice, in materia di comunione di diritti reali, la convocazione dell’assemblea dei comunisti e la conoscenza dell’ordine del giorno da parte dei compartecipi costituiscono gli unici presupposti di validità della deliberazione della maggioranza. Per la convocazione non occorrono speciali modalità di forma, in quanto l’avviso di convocazione e la sua notifica non sono soggetti ad alcuna prescrizione formale. L’avviso di convocazione dell’assemblea può essere dato ai comunisti con qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo.

 

Tribunale Catanzaro sez. II, 15 marzo 2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI CATANZARO

SECONDA SEZIONE CIVILE

in composizione monocratica, in persona del giudice designato dott.

Francesco Agnino, ha pronunciato la seguente

SENTENZA EX ART. 281 SEXIES C.P.C.

nella causa civile iscritta al n. 3418 del ruolo generale dell’anno

2008, vertente

TRA

S.S. e S.M., elettivamente domiciliati in Catanzaro alla Via M.d.A.

presso lo studio dell’Avv. Francesco Granato che li rappresenta e

difende in forza di procura a margine dell’atto di citazione.

attori

E

C.B. e G.F., elettivamente domiciliati in Catanzaro alla Via T.

presso lo studio dell’Avv. Alessandro Palasciano in virtù di procura

in calce all’atto di citazione notificato

convenuti

Nonché

St.Mi. (classe omissis), S.E.M., S.G.O., S.P., S.M.G.C. e S.L..

convenuti

avente per oggetto: impugnazione di delibera.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione del 17 settembre 2008, S.S. e S.M. impugnavano la delibera del 17 giugno 2008 con la quale si era proceduto a nominare rappresentante comune per l’esercizio dei diritti derivanti dalla quote di partecipazione nella società Fin Sud S.r.l. (per quest’ultima fatto salvo ed eccettuato quanto già oggetto del provvedimento del Tribunale di Catanzaro del 3 giugno 2008), ai sensi degli artt. 2468, 1105 e 1106 cc il Sig. C.B…..nominare, ai sensi dell’art. 1106 e 1108 cc, amministratore dei beni immobili siti nei comuni di Catanzaro e di Borgia il dott. C.B…..nominare ai sensi dell’art. 1106 e 1108 c.c. amministratore dei beni immobili siti nel Comune di Palazzi la Sig.ra S.P., di cui ne chiedeva la declaratoria di nullità ovvero di annullabilità, evidenziando che: in materia di nomina di un rappresentante comune per l’amministrazione dei beni comuni, si applicano le norme in materia di condominio, indi anche di costituzione dell’assemblea, di guisa che nel caso di specie non era stato precisato che l’assemblea si era costituita in prima o in seconda convocazione, né si era proceduto a nominare un presidente ovvero un segretario, con l’ulteriore precisazione che essi attori non erano stati preventivamente informati dell’assemblea senza pertanto essere convocati per il giorno 17 giugno 2008; si era verificato un difetto di rappresentanza dal momento che gli eredi di C.S. avrebbero dovuto/potuto a loro volta intervenire in assemblea con un rappresentante comune all’uopo officiato mediante nomina ed accettazione, oltre ad un difetto di procura per Notar Maria Luisa Santamaria del 12 giugno 2008, dal momento che S.M.G.C. e S.L. – in qualità di coeredi di C.S. – avevano conferito la procura speciale solo ed esclusivamente per uno dei punti all’ordine del giorno, in particolare il n. 1, non anche per secondo punto dell’ordine del giorno; la sussistenza di una ipotesi di conflitto di interessi dal momento che il nominato amministratore C.B. era contemporaneamente socio ed amministratore della società La Colonna Srl, con la conseguenza che è del tutto palese la situazione di conflitto di interessi in cui lo stesso si verrebbe a trovare nella pretesa posizione di rappresentante comune per l’esercizio dei diritti derivanti dalle quote di partecipazione nella Società stessa ciò essendo egli autorizzato dagli eredi ad esercitare i diritti connessi alle quote di partecipazione societaria con ampio potere decisionale di voto e non potendosi escludere il relativo esercizio nel proprio interesse; i poteri conferiti all’amministratore non sono stati specificatamente individuati con conseguente violazione dell’art. 1106 c.c.

Si costituivano in giudizio, C.B. e G.F. chiedendo il rigetto dalla domanda di parte attrice in quando infondata, evidenziando che in materia di comunione non trova applicazione la normativa dettata per il condominio, con la conseguenza che in tema di convocazione vige la libertà delle forme, affermando che sia S.M. che S.S. erano stati edotti della convocazione dell’assemblea con telegramma rispettivamente ricevuto il 6 e 7 giugno 2008; la delibera impugnata è stata assunta con voto unanime e concorde; non sussisteva alcuna ipotesi di conflitto di interesse, giacché il C.B. era socio della società La Colonna prima di essere rappresentante comune della quota ereditaria, mentre ricopriva e ricopre contemporaneamente la veste di amministratore, per cui se contrasto vi era, era eventualmente preesistente la nomina di cui si tratta.

Alla udienza del 15 marzo 2011 le parti discutevano oralmente la causa.

La domanda attrice è infondata e deve essere quindi rigettata.

Preliminarmente deve essere dichiarata la contumacia di St.Mi. (classe omissis), S.E.M., S.G.O., S.P., S.M.G.C. e S.L. che sebbene ritualmente citati non si sono costituiti nel presente giudizio.

È chiaramente erronea l’affermazione secondo cui le norme che regolano l’amministratore dei comunisti, qualora assenti nel regolamento della comunione o nel provvedimento di nomina, debbano essere mutuate da quelle previste per il condominio, giacchè è nell’ambito delle disposizioni sul condominio che ricorre il principio (art. 1139 c.c.) secondo cui occorre fare riferimento alle regole della comunione per quanto non espressamente previsto nello specifico capo, mentre non ricorre un principio analogo e inverso per la comunione (Cfr. Cassazione civile , sez. II, 27 giugno 2007, n. 14826).

Da ciò discende l’infondatezza delle doglianze di parte attrice relative alla mancata indicazione se l’assemblea si fosse costituita in prima o in seconda convocazione, ovvero che non si fosse proceduto a nominare un presidente ovvero un segretario (circostanza quest’ultima davvero in conferente tenuto conto che il relativo verbale è stato redatto da un notaio).

Invero, in tema di comunione semplice, gli artt. 1105 e 1108 c.c., non prevedono particolari formalità neppure per la costituzione dell’assemblea, menzionando semplicemente la decisione a maggioranza dei partecipanti e, pertanto, deve ritenersi regolarmente costituita e capace di deliberare la riunione dei partecipanti alla comunione con la presenza dell’amministratore per decidere su oggetti di comune interesse (Cass. 14162/2000).

Ad ogni modo, nel caso di specie il verbale di assemblea redatto dal notaio Gianluca Perrella contiene la indicazione nominativa dei partecipanti, le rispettive quote di partecipazione alla comunione (ivi compresi gli assenti) ed anche il quorum necessario per l’adozione della delibera poi impugnata.

Sotto altro aspetto, in materia di comunione di diritti reali, la convocazione dell’assemblea dei comunisti e la conoscenza dell’ordine del giorno da parte dei compartecipi costituiscono gli unici presupposti di validità della deliberazione della maggioranza. Per la convocazione non occorrono speciali modalità di forma, in quanto l’avviso di convocazione e la sua notifica non sono soggetti ad alcuna prescrizione formale.

L’avviso di convocazione dell’assemblea può essere dato ai comunisti con qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo (Cass. n. 1033/1995).

Nel caso di specie, parte convenuta ha dimostrato di aver notiziato tempestivamente S.S. e S.M. della convocazione della assemblea con telegramma ricevuto rispettivamente il 7 ed il 6 giugno 2008, telegramma nel quale erano indicati puntualmente gli argomenti posti all’ordine del giorno (v. documenti allegati al fascicolo di parte convenuta), convocazioni pertanto in perfetta sintonia con il principio affermato dai giudici di legittimità a mente del quale per la validità della delibera adottata è sufficiente che nell’avviso di convocazione siano indicati i termini essenziali per essere comprensibile (Cass. 13763/2004).

Sotto altro aspetto, sono numerose le disposizioni previste dal codice civile che riguardano il conflitto di interessi: 1) nel settore del diritto di famiglia l’art. 320 in relazione alla potestà dei genitori; l’art. 347 in relazione ai minori soggetti alla stessa tutela; e l’art. 360 in relazione ai rapporti fra tutore e pupillo; 2) nella disciplina sulla rappresentanza l’art. 1394 in relazione ai rapporti fra rappresentante e rappresentato; e l’art. 1395 in relazione al contratto concluso con se stesso; 3) nel campo societario l’art. 2373 in relazione all’esclusione del diritto di voto del socio nelle deliberazioni in cui ha un interesse in conflitto con quello della società; e l’art. 2391 in relazione all’amministratore che ha un interesse in conflitto con quello della società.

Tutte le norme appena ricordate esprimono, pur nella varietà dei casi, una esigenza comune: quella di evitare che un soggetto portatore di un interesse proprio e diverso possa agire o partecipare ad una decisione che viene presa nell’interesse del rappresentato oppure nell’interesse del gruppo di cui egli stesso fa parte, perchè è facile immaginare (anche se non vi può essere la certezza) che il soggetto in questione possa agire o decidere favorendo l’interesse proprio e diverso rispetto a quello del rappresentato o del gruppo di cui egli stesso fa parte.

Per quanto riguarda il settore condominiale mancano invece disposizioni specifiche; però, fra quelle appena ricordate, appaiono utilizzabili gli artt. 1394 e 1395 c.c. (in tema di rappresentanza) e gli artt. 2373 e 2391 c.c. (in tema di società).

L’art. 1394, a proposito della rappresentanza, prevede che il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo. L’art. 1395 prevede inoltre che è pure annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificatamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d’interessi. L’impugnazione può essere proposta soltanto dal rappresentato.

L’art. 2373, a proposito del socio di una società, stabilisce che il diritto di voto non può essere esercitato dal socio nelle deliberazioni in cui egli ha, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società; che, in caso d’inosservanza di questa disposizione, la deliberazione, qualora possa recare danno alla società, è impugnabile a norma dell’art. 2377 nel caso in cui, senza il voto dei soci che avrebbero dovuto astenersi dalla votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza; che gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità; e che le azioni per le quali, a norma dello stesso articolo, non può essere esercitato il diritto di voto sono computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea. L’art. 2391, a proposito dell’amministratore di una società, stabilisce che l’amministratore, che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, e deve astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l’operazione stessa; che in caso d’inosservanza, l’amministratore risponde delle perdite che siano derivate alla società dal compimento dell’operazione; che la deliberazione del consiglio, qualora possa recare danno alla società, può, entro tre mesi dalla sua data, essere impugnata dagli amministratori assenti o dissenzienti e dai sindaci nel caso in cui, senza il voto dell’amministratore che doveva astenersi, non si sarebbe raggiunta la maggioranza richiesta; e che in ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.

Dal momento che la normativa sul condominio non contiene alcuna disposizione in relazione al conflitto di interessi, la giurisprudenza ha fatto ricorso alla disciplina sul conflitto di interessi prevista a proposito della assemblea delle società di capitali e ha individuato due ipotesi principali di possibile conflitto di interessi nei rapporti condominiali.

Invero, sulla base d’un’interpretazione estensiva dell’art. 2373 c.c. – giustificata dall’identità di ratio e dai notevoli punti d’identità delle due situazioni giuridiche, caratterizzate entrambe dalla posizione conflittuale in cui l’interesse del singolo (socio o condomino) si pone rispetto a quello generale (della società o del condominio) e dell’esigenza d’attribuire carattere di priorità alla tutela di quest’ultimo – la Suprema Corte ha con la sentenza 28.1.1976 n. 270, affermato l’applicabilità, in tema di computo delle maggioranze assembleari condominiali, del disposto della richiamata norma, riguardante il conflitto d’interessi in materia d’esercizio del diritto di voto del socio nelle deliberazioni assembleari delle società per azioni, enunciando conseguentemente il principio per cui, ai fini del detto computo, non si debba tener conto del voto del condomino (o dei condomini) titolari (in relazione, sempre, all’oggetto della deliberazione) d’un interesse particolare contrastante, anche solo virtualmente, con quello degli altri condomini.

Siffatta opinione giurisprudenziale è stata poi ripetutamente confermata (vedansi, in tempi recenti, Cass. 5.12.2001 n. 15360, 18.5.2001 n. 6853, 14.11.1997 n. 11254, 6.8.1997 n. 7226).

Va, infatti, ravvisata una situazione di conflitto d’interessi tra socio e società o tra condominio e condomino, tale da comportare l’esclusione del singolo dalla formazione della volontà collettiva, ogniqualvolta sia ravvisabile un contrasto tra centro autonomo d’interessi, sia esso dotato o meno di personalità giuridica, e componente dell’organo attributario del potere di formare quella volontà, id est una situazione giuridica idonea a determinare la possibilità che il potere deliberativo sia esercitato dal componente dell’organo in contrasto con l’interesse collettivo, essendo il primo portatore d’un interesse personale all’adozione di decisioni diverse da quelle vantaggiose per il secondo.

Ciò in quanto si determina, in tal caso, una condizione d’antitesi tra singolo partecipante e centro autonomo d’interessi incompatibile con la corretta formazione della volontà collettiva, non potendosi, se pure solo in astratto, escludere che la condotta decisionale del singolo possa essere influenzata dal proprio interesse e che questi ne sia indotto, pertanto, a concorrere ad una decisione per sé vantaggiosa ma pregiudizievole all’interesse collettivo, od anche a non frapporre il proprio voto contrario ad iniziative il cui esito sfavorevole per la collettività possa essere per sé vantaggioso, od ancora a perseguire finalità direttamente vantaggiose per entrambi ma indirettamente dannose per la collettività.

L’abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale – oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli. L’onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto di voto grava sul socio di minoranza che assume l’illegittimità della deliberazione.

Peraltro, l’annullamento della delibera adottata da una società di capitali, ai sensi dell’art. 2373 c.c., richiede, oltre all’esistenza del conflitto d’interessi, due distinte condizioni che devono sussistere entrambe: la decisività del voto espresso da socio in conflitto di interessi e la dannosità, almeno potenziale, della deliberazione medesima per la società. Per l’annullamento della delibera, è, pertanto, irrilevante che la medesima consenta al socio il conseguimento di un suo personale interesse, se, nel contempo, non risulti pregiudicato l’interesse sociale.

Inoltre, ai fini dell’invalidità della delibera assembleare, il conflitto di interessi tra le ragioni personali del singolo condomino e l’interesse istituzionale comune deve sussistere non in astratto, bensì in concreto, attraverso un necessario accertamento in fatto (cfr., Cass., 18 maggio 2001, n. 6853, ove si affermato che la semplice posizione di amministratore di una impresa a cui viene affidata l’esecuzione di lavori che riguardano parti comuni non basta, di per sé, a dare vita ad un conflitto di interessi, che è invece ipotizzabile soltanto nel caso in cui il condomino in questione, nella sua qualità di amministratore dell’impresa, persegue un interesse che contrasta con l’interesse alla esecuzione a regola d’arte e in modo economico dei lavori sulle parti comuni commissionati dal condominio).

In altre parole, il conflitto di interessi determina l’invalidità della delibera assembleare, ma soltanto quando sia possibile dimostrare concretamente l’ingiusto vantaggio che il condomino in conflitto d’interessi intende assicurarsi a danno degli altri condomini, perché una valutazione solo generica e astratta del conflitto non è sufficiente.

Nel caso di specie non ricorre alcuna ipotesi di conflitto di interessi per come appena descritta.

Invero, si osserva come l’eccepito conflitto d’interessi non si riferisce certamente alla delibera impugnata (e non poteva essere diversamente dal momento che la delibera del 17 giugno 2008 non è stata assunta con il voto decisivo del dott. C.B., giacché lo stesso non ha votato, essendo stato semplicemente indicato dai comunisti partecipanti come amministratore), ma attiene ad altre ed eventuali delibere (segnatamente quelle relative all’esercizio dei diritti connessi alle quote di partecipazione societaria), di modo che il paventato conflitto d’interessi non è neppure potenziale ma solo ipotetico, dovendo peraltro essere impugnate quelle delibere ove risulti il perseguimento da parte dell’amministratore di interessi in contrasto con l’interesse collettivo.

Infondata altresì la doglianza relativa al difetto di rappresentanza.

La delibera del 17 giugno 2008 aveva specificatamente ed esclusivamente ad oggetto la divisione dei beni derivanti dalla successione di G.S., e rispetto ad essa ha partecipato alla adozione della delibera de qua la maggioranza degli aventi diritto degli eredi di G.S., di modo che recessive sono le doglianze relative alla circostanza che S.M.G.C. e S.L. – in qualità di coeredi di C.S. – avevano conferito la procura speciale solo ed esclusivamente il numero 1 del punto iscritto all’ordine del giorno, e non anche per secondo punto dell’ordine del giorno.

Inoltre, quanto all’annullabilità della delibera relativamente alla nomina ai sensi dell’art. 1106 e 1108 c.c. quale amministratore dei beni immobili siti nel Comune di Palazzi di S.P., si osserva che ai fini della validità dell’ordine del giorno occorre che esso elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, sì da consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l’importanza, e di poter ponderatamente valutare l’atteggiamento da tenere, in relazione sia all’opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti.

Ebbene, nell’avviso di convocazione era stato specificamente indicato la nomina di un amministratore dei beni immobili derivanti dalla successione di G.S., e punti nn. 2 e 3 della delibera adottato hanno disposto in conformità di quanto previsto nella convocazione, procedendo appunto alla nomina di un amministratore per la gestione del compendio immobiliare.

Sotto altro aspetto, l’art 1105 c.c., prevede che tutti i partecipanti alla comunione hanno diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune. L’eventuale nomina di un amministratore, consentita dall’art. 1106 c.c., comma 2, non investe peraltro il medesimo di tutti i poteri di gestione e dei poteri di rappresentanza dei partecipanti, come avviene nel condominio ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c.; l’art. 1106 c.c., infatti, prevede che con il conferimento della delega ad un amministratore devono essere definiti i poteri e gli obblighi dello stesso; ne consegue che solo con espresso conferimento del relativo potere, l’amministratore possa avere la rappresentanza dei partecipanti alla comunione. In mancanza di specificazioni, applicando le regole del mandato (art. 1708, co. 2°, c.c.) i poteri dell’amministratore di comunione devono pertanto intendersi limitati all’ordinaria amministrazione.

Nel caso di specie, i poteri dell’amministratore sono stati specificamente individuati, dal momento che gli è stato conferito ogni potere necessario o utile anche al fine di individuare ipotesi di divisione o vendita dei beni ereditari e trattare in tal senso fermo restando in capo ai coeredi il potere di decidere al riguardo; di verificare l’esistenza di crediti e di debiti ereditari e/o vincoli, pesi, gravami sui beni ereditari; nonché la rappresentanza processuale attiva e passiva per le azioni proposte dalla comunione e contro la stessa. Pertanto, lo stesso non è stato destinatario di una delega in bianco di poteri, ma al contrario gli stessi erano finalizzati ad agevolare la divisione ereditaria con permanenza in capo agli eredi della relativa supervisione.

L’ulteriore doglianza relativa alla genericità della delibera impugnata nella parte relativa alla determinazione del compenso in favore del Sig. C.B., non può essere presa in considerazione perché tardiva, trattandosi di motivo di impugnazione proposto solo con le note conclusive depositate il 22 febbraio 2011, e quindi oltre le preclusioni di cui all’art. 183 comma VI cpc.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo

 

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, il Tribunale in composizione monocratica, in sede di appello, così provvede:

Dichiara la contumacia di St.Mi. (classe omissis), S.E.M., S.G.O., S.P., S.M.G.C. e S.L.;

Rigetta la domanda proposta contro la delibera del 17 giugno 2008;

Condanna S.S. e S.M. a rimborsare, in parti eguali, a C.B. e G.F. le spese di giudizio che si liquidano complessivamente in euro 2700,00 per onorari ed euro 1015,00 per diritti oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.

Così deciso in Catanzaro, 15 marzo 2011

Il Giudice

Dr. Francesco Agnino

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