Trib. Roma Sez. V, 25/11/2010

La disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, quanto con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROMA

QUINTA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Roma, quinta sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Paolo Russo, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 63782 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2006 e vertente

TRA

Mo.Fi., elettivamente domiciliata in Roma, piazza (…) presso lo studio dell’avv. An.Vo. che la rappresenta e difende per procura a margine dell’atto di citazione

attrice

E

Mo.Te. elettivamente domiciliata in Roma, viale (…) presso lo studio dell’avv. Sa.Co. che la rappresenta e difende per procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

convenuta

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Mo.Fi., dopo aver premesso di essere stata comproprietaria iure hereditario con la sorella Mo.Te. ed il fratello Mo.Pa. di un compendio immobiliare formato da tre lotti, in Roma, via (…); che in seguito al giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, erano stati attribuiti il lotto A a Mo.Fi., il lotto B a Mo.Te. ed il lotto C a Mo.Pa.; che la conformazione dell’immobile imponeva la permanenza in comunione del residuo dell’area esterna comune agli appartamenti A e B e che a seguito di assegnazione fra i condividenti non era sorta alcuna contestazione fra le parti; che, a seguito della perizia tecnica espletata durante il giudizio di divisione, è stata erroneamente attribuita la parte comune dell’area al lotto B, che non ha alcun accesso all’area comune in quanto i due edifici sono indipendenti; che Mo.Te., proprietaria del lotto B, si è avvalsa della facoltà di modificare l’uso di una finestra adiacente al giardino comune tramutandola in porta come mezzo d’accesso; che suddetta servitù di passaggio è abusiva in quanto non vi è stata alcuna modalità d1 acquisto in termini di legge ma dovuto al solo comportamento illecito della convenuta; tutto ciò premesso, ha convenuto in giudizio Mo.Te., chiedendo al Tribunale di ordinare la rimozione della porta ed il ripristino dell’originaria funzione della finestra, incorrendo la convenuta nella violazione di cui all’art. 20 comma B della legge n. 47/85, e dichiarare l’inesistenza della servitù di passaggio attraverso la porta finestra.

 

All’udienza di prima comparizione è stata rilevata la nullità dell’atto di citazione per la carente esposizione da parte dell’attrice delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della domanda ed è stata conseguentemente l’integrazione dell’atto introduttivo ex art. 164 c.p.c.

 

Con la memoria integrativa del 27.04.2007 l’attrice ha chiarito che oggetto della sua domanda è la richiesta di divisione della proprietà indivisa del cortile, che è rimasto in comunione con Mo.Te. all’esito del giudizio di divisione ereditaria. L’attrice chiede, quindi, che il tribunale proceda ex art. 1111 c.c. alla divisione tra le condividenti del cortile esterno comune ai due immobili siti in Roma, Via (…) al piano terra, e, per l’effetto, previa stima del valore dell’immobile, determini le quote di spettanza dell’istante e della controparte, nel rispetto di quanto a ciascuno è pervenuto a seguito del procedimento di divisione ereditaria conclusosi con processo verbale n. 4343/02, depositato in cancelleria il 17.01.2002, che definiva il giudizio, e con eventuali conguagli in denaro, ovvero, in subordine, ove l’immobile risulti materialmente indivisibile, disporne la vendita nelle forme di legge e la successiva ripartizione del ricavato tra le parti, in proporzione dei rispettivi diritti di proprietà, ai sensi degli artt. 784 e ss. c.p.c.;

 

– dichiari l’illegittimità della porta finestra con cui si accede al cortile interno per cui è causa dall’immobile della Sig.ra Te.Mo. e, per l’effetto, ordini la rimozione della stessa porta finestra con il ripristino dell’originario stato dei luoghi;

 

– dichiari l’inesistenza della servitù di passaggio attraverso la porta finestra de qua in favore dell’immobile di proprietà della Sig.ra Te.Mo.

 

La convenuta ha sollevato eccezione di cosa giudicata alla luce del decreto con cui è stata reso esecutivo il progetto di divisione nel giudizio iscritto al n.r.g. 24926/96; ha quindi eccepito l’inammissibilità della domanda per l’indivisibilità del bene comune ex artt. 1111 e 1119 c.c.; ha contestato la pretesa della controparte concernente la porta finestra, deducendo l’esistenza in suo favore di una servitù di passaggio attraverso la porta finestra sul giardino, costituita per destinazione del padre di famiglia. Quanto all’eccezione di cosa giudicata, è opportuno premettere che il giudizio di divisione ereditaria fra le parti del presente giudizio e l’altro coerede è stato definito, ai sensi degli artt. 789 c.p.c. e 195 disp. att. c.p.c., con processo verbale n. 4343/02 depositato in cancelleria il 17.01.2002 che ha reso esecutivo il progetto di divisione, accettato dalle parti, che prevedeva l’assegnazione a ciascuno coerede di un immobile e lasciava un’area esterna in comunione fra Fi.Mo. e Te.Mo.; area adibita a giardino, a cui si può accedere da ciascuno dei due immobili.

 

La giurisprudenza ha chiarito che l’ordinanza dichiarativa dell’esecutività del progetto non ha natura decisoria, in quanto il suo fondamento è posto non nella imperatività del provvedimento giurisdizionale, ma nella sostanziale accettazione del progetto desumibile dalla assenza di contestazioni, corrispondente sul piano processuale – in forza della menzionata presunzione – ad un regolamento negoziale divisionale, come tale precettivo inter partes; ne consegue che il medesimo provvedimento non è suscettibile di passaggio in cosa giudicata e non è impugnabile neppure con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. Si tratta in sostanza di un atto riproduttivo della volontà negoziale dei partecipanti alla comunione e l’assetto che ne scaturisce è fondato sul consenso delle partì interessate.

 

Va quindi disattesa l’eccezione di inammissibilità della domanda per il vincolo del giudicato fra le parti.

 

Va d’altra parte considerato che l’eventuale vizio della volontà dei condividenti, risolvendosi in un vizio del negozio giuridico di diritto sostanziale, di cui l’ordinanza ex art. 789 c.p.c. da atto, può essere fatto valere solo mediante l’esperimento delle normali azioni di impugnativa dei negozi giuridici, che nella specie l’attrice non ha proposto.

 

Passando all’esame del merito, si deve rilevare innanzitutto come il CTU abbia accertato che le due unità immobiliari, di cui sono proprietarie esclusive Mo.Fi. e Mo.Te. in virtù della citata divisione, costituiscano un unico corpo di fabbrica. Ne consegue che a seguito del frazionamento dell’unica proprietà originaria per effetto della divisione è venuta a determinarsi una situazione di condominio. Si verte, infatti, in tema di condominio qualora sia accertata la relazione di accessorietà fra proprietà singole e parti comuni – configurabile anche in presenza di edifici limitrofi ed autonomi – sempre che i beni comuni siano oggettivamente e strutturalmente destinati all’uso e al godimento delle proprietà singole (Cass. 14559/2004; 962/2005).

 

La giurisprudenza ha ormai chiarito (Cass. sez. un. n. 2046/2006) che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, quanto con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti. Ebbene, l’art. 1119 c.c. stabilisce che le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino.

 

La norma citata non stabilisce l’indivisibilità assoluta delle parti comuni di un edificio in condominio, ma tale indivisibilità subordina all’esigenza di non rendere più incomodo l’uso della cosa comune a ciascun condomino, cioè all’esigenza che non si alteri lo stato e, quindi, il pacifico godimento delle parti di uso comune (Cass. 14 aprile 1982 n. 2257; Cass. 10 gennaio 1990 n. 9).

 

Per quanto riguarda i cortili, è stato affermato che, nel caso di un cortile comune a più abitazioni, si versa nell’ipotesi dell’indivisibilità qualora, in conseguenza della sua divisione in più porzioni, il cortile venga a perdere la sua funzione naturale o negoziale, essendo presupposto della divisibilità del bene che esso, ancorché diviso, continui a servire alle cose proprie dei condividenti.

 

Il CTU geom. De.Fa. ha accertato che la corte comune oggetto della controversia risulta materialmente divisibile senza creare pregiudizi ad entrambe le unità immobiliari in proprietà esclusiva e, di conseguenza, nulla osta alla divisione, secondo il progetto elaborato dal medesimo CTU, mediante la formazione di due quote della stessa superficie.

 

Non può essere accolta la richiesta di assegnazione dell’intero bene comune formulata dall’attrice, poiché l’attribuzione del bene ad uno dei condividenti con addebito dell’eccedenza è possibile a norma dell’art. 720 c.c. solo quando il bene in comunione risulti indivisibile o non comodamente divisibile, mentre nel caso di specie dalla relazione del c.t.u. è emerso il contrario.

 

E’ infondata la pretesa dell’attrice volta ad ottenere la rimozione della porta ed il ripristino dell’originaria funzione di finestra.

 

Si osserva, infatti, che l’apertura di una porta o di una finestra da parte di un condomino o la trasformazione di una finestra che prospetta il cortile comune in una porta di accesso al medesimo, non costituisce di per sé abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come ius possidendi a tutti i condomini (v. Cass. n. 1112/1988). L’uso del cortile comune, che mediante la predetta porta può realizzare la convenuta, non si risolve in un concreto pregiudizio del pari diritto dell’altra comproprietaria e non ne impedisce un uso parimenti intenso, con la conseguenza è del tutto conforme alle prescrizioni dell’art. 1102 c.c. Giova ricordare in proposito il principio di diritto, secondo cui “L’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, di massima, non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102, primo comma cod. civ., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario” (Cass. n. 4155/1994).

 

L’altra pretesa dell’attrice, volta ali’accertamento dell’inesistenza della servitù di passaggio della convenuta attraverso la porta finestra è priva di fondamento in quanto la convenuta esercita ex art. 1102 c.c. il diritto di passaggio in forza della sua comproprietà del cortile, e non quale titolare di un diritto di servitù. Pertanto, l’uso della cosa conforme alla sua destinazione costituisce manifestazione delle facoltà spettanti al comunista ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. ed è quindi espressione del diritto di comproprietà; il passaggio non integra l’illegittima imposizione di un peso sul cortile e la costituzione di un diritto di servitù.

 

Va inoltre considerato come dalla relazione di CTU del giudizio di divisione sia emerso che la porta finestra esisteva già prima dello scioglimento della comunione, sicché il passaggio rappresenta il normale esercizio di uno dei modi della naturale utilizzazione del cortile, secondo la sua concreta destinazione, ed in conformità con gli scopi che il proprietario originario intendeva conseguire realizzando la costruzione con quelle determinate caratteristiche.

 

Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese processuali nella misura della metà, avuto riguardo all’esito del giudizio. La restante metà va posta a carico dell’attrice in base al criterio della soccombenza, giusta la liquidazione come in dispositivo. In base allo stesso criterio le spese di c.t.u., come liquidate in corso di causa, vanno poste interamente a carico dell’attrice.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

Dichiara lo scioglimento della comunione fra le parti sul cortile comune, che da accesso agli immobili di proprietà di Mo.Fi. e Mo.Te., siti in Roma, via delle (…), secondo il progetto di divisione elaborato dal CTU ed allegato alla relazione depositata il 29.01.2009, previa esecuzione da parte di ciascun condividente delle opere necessarie per la realizzazione di due nuovi ingressi autonomi al giardino di pertinenza di ciascun appartamento e per rendere utilizzabile a ciascuno la propria quota, come indicate dallo stesso CTU nella pagina 7 della relazione depositata il 22.07.2008. Rigetta le altre domande di parte attrice.

 

Dichiara compensate fra le parti le spese processuali nella misura della metà e condanna l’attrice al pagamento in favore della convenuta della restante parte, che detratta la quota oggetto di compensazione – liquida in Euro 450,00 per diritti ed Euro 1.000,00 per onorari, oltre al rimborso spese generali, IVA e cassa avvocati come per legge.

Pone definitivamente a carico dell’attrice il pagamento delle spese di c.t.u., come liquidate in corso di causa.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2010.

Depositata in Cancelleria il 25 novembre 2010.

 

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