Cassazione civile, sez. III, sentenza 03.11.2010 n°22357

In un contratto di mediazione, la clausola prevista nel contratto per la quale il preponente è tenuto a corrispondere al mediatore l’intera provvigione anche in caso di mancata conclusione dell’affare può assumere carattere vessatorio quando, tenuto conto delle ragioni che hanno determinato la mancata conclusione dell’affare, generi una evidente sproporzione tra le prestazioni delle parti.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente

 

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere

 

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere

 

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso 8846/2006 proposto da:

 

G.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VAL CRISTALLINA 3, presso lo studio dell’avvocato SESTI AMILCARE, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

 

– ricorrenti –

 

contro

 

IMMOBILIARE MASSA & CALABRESE S.N.C.;

 

– intimati –

 

sul ricorso 15688/2006 proposto da:

 

IMMOBILIARE MASSA & CALABRESE S.N.C., in persona dei legali rappresentanti M.G. e C.M., elettivamente domiciliata in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avv. PASCUCCI LUCIA in 16122 GENOVA, Via Palestro 12/3, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

 

– ricorrenti –

 

contro

 

G.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VAL CRISTALLINA 3, presso lo studio dell’avvocato SESTI AMILCARE, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso principale;

 

– controricorrenti –

 

avverso la sentenza n. 220/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 27/01/2005, depositata il 02/03/2005 R.G.N. 1567/2002;

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/09/2010 dal Consigliere Dott. AMATUCCI Alfonso;

 

udito l’Avvocato SESTI AMILCARE;

 

Svolgimento del processo

1.- Nel 1998 G.M.G. si oppose al decreto ingiuntivo di pagamento della somma di L. 12.000.000, chiesto dalla Immobiliare Massa & Calabrese s.n.c. (di seguito: Immobiliare) in relazione alla mancata conclusione, da parte della G., del contratto preliminare di compravendita con V.A., che l’Immobiliare aveva rinvenuto come interessato all’acquisto dell’immobile che la G. intendeva vendere e per la vendita del quale aveva conferito incarico alla società di. mediazione, obbligandosi a pagare comunque la provvigione se l’affare non si fosse concluso per causa imputabile alla volontà della venditrice.

 

La opponente dedusse, tra l’altro, la nullità e l’inefficacia di detta clausola, ritenuta vessatoria.

 

L’Immobiliare resistette.

 

Con sentenza n. 2135/02 il tribunale di Genova rigettò l’opposizione sul rilievo – per quanto ancora interessa – che il rifiuto della G. di concludere il contratto preliminare non era giustificato da circostanze relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare, nè da omissioni o inadempienze del mediatore, al quale non era imputabile che la moglie del V. avesse già trattato l’acquisto con altro, – mediatore, nei cui confronti s’era obbligata al pagamento della provvigione in caso di conclusione dell’affare.

 

2.- L’appello della soccombente G., cui aveva resistito l’Immobiliare, è stato respinto dalla corte d’appello di Genova con sentenza n. 220 del 2005, avverso la quale la G. ricorre per cassazione affidandosi a due motivi illustrati anche da memoria.

 

Resiste con controricorso l’Immobiliare, che propone anche ricorso incidentale, da ritenersi condizionato.

 

Motivi della decisione

1.- I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

 

2.- Col primo motivo del ricorso principale la ricorrente si duole – deducendo vizio di omessa pronuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, – che la corte d’appello non si sia pronunciata sulla dedotta vessatorietà della clausola prevedente una penale pari alla provvigione mediatoria (in caso di mancata conclusione del contratto per fatto imputabile al cliente) per gli effetti non già dell’art. 1341 c.c., bensì dell’art. 1469 bis c.c., che considera vessatorie (e dunque inefficaci ex art. 1469 quinquies c.c.) le clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

 

2.1.- Col secondo motivo sono (subordinatamente) dedotte violazione o falsa applicazione degli artt. 1469 bis e seg. c.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, per avere la corte in sostanza ritenuto, con motivazione del tutto inadeguata, che non desse luogo a squilibrio contrattuale una clausola prevedente, per il caso di mancata conclusione dell’affare, il pagamento di una somma pari alla provvigione che sarebbe spettata al mediatore se l’affare fosse stato concluso.

 

Si imputa inoltre alla corte d’appello di non aver in alcun modo valutato se, alla luce delle risultanze istruttorie, la mancata sottoscrizione del contratto preliminare fosse effettivamente imputabile alla cliente; tanto in relazione al fatto che, dopo la segnalazione da parte dell’Immobiliare dell’interessamento del V. all’acquisto, ella era stata informata da altro mediatore che, qualora l’immobile fosse stato venduto alla signora C. o a suoi congiunti (del V. la C. era la moglie, alla quale l’altro mediatore aveva fatto visitare l’immobile quindici giorni prima che lo vedesse il V. tramite l’Immobiliare), l’altro mediatore le avrebbe richiesto il pagamento di una provvigione del 3% del prezzo.

 

La proposta del V. s’era dunque rivelata non conveniente in ragione dell’esposizione della G. al pagamento di due provvigioni mediatorie, ove avesse concluso il contratto. E tanto – conclude la ricorrente – non poteva non valere ad escludere che la mancata conclusione del contratto fosse dipesa da un “fatto imputabile” alla G., se non altro in ragione del rilievo che la clausola contenente la previsione in questione era parte di un modulo contrattuale predisposto dal mediatore, da interpretare in senso favorevole al contraente debole in base al criterio ermeneutico imposto dall’art. 1370 c.c..

 

3.- A pagina 13, terzo e quarto capoverso, della sentenza si legge che, nella specie, “si versa pacificamente nell’ipotesi prevista dal punto 5 lett. c) della scrittura 4.11.97, che riconosce al mediatore il diritto al compenso in caso di rifiuto o rinuncia da parte del proponente alla sottoscrizione del preliminare per causa a lui imputabile”; e che “tale clausola non rientra nelle ipotesi contemplate dall’art. 1341 c.c. e non abbisognava quindi di specifica approvazione per iscritto (seppure ciò sia avvenuto, poichè l’impegno a pagare un compenso, in questo caso commisurato alla provvigione, costituisce il corrispettivo dell’opera del mediatore, liberamente accettato dalla parte che ha conferito l’incarico, di promuovere la conclusione del contratto, nell’ambito della sua autonomia contrattuale ((vedi Cass. sopra cit. (n.d.e.: n. 8587/93)), e senza che ciò abbia comportato un effettivo squilibrio tra le parti”.

 

La corte d’appello ha dunque ritenuto che, in caso di mancata conclusione del contratto per scelta di chi aveva conferito l’incarico, la somma equivalente alla provvigione fosse dovuta a titolo non di “penale” (che presuppone un inadempimento incompatibile con la mediazione, giacchè chi conferisce l’incarico non assume l’obbligo di contrarre), ma di corrispettivo dell’opera del mediatore, al quale la G. aveva conferito “l’incarico di svolgere, in esclusiva, l’attività finalizzata alla conclusione, appunto, di un affare nel suo interesse” (pp. 11 e 12 della sentenza).

 

La questione relativa all’effettivo squilibrio tra le parti era stata dunque affrontata e lo squilibrio era stato escluso. Ne discende l’infondatezza del motivo col quale si imputa alla corte territoriale l’omessa pronuncia in ordine alla vessatorietà della clausola per gli effetti di cui agli artt. 1469 bis e 1469 quinquies c.c., applicabili ratione temporis (prima dell’entrata in vigore del codice del consumo di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, che peraltro le ha sostanzialmente riprodotte).

 

3.1.- Ne consegue, invece, la fondatezza del secondo motivo, essendo stato effettivamente escluso con motivazione del tutto apodittica che comportasse un “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” (art. 1469 bis c.c., comma 1) la previsione del medesimo compenso per il mediatore nel caso che il contratto fosse concluso e in quello che non lo fosse, sia pure per ingiustificato rifiuto della parte; la quale, va ribadito, non ha l’obbligo di concludere il contratto, neppure alle condizioni previste nell’incarico conferito al mediatore (cfr., ex multis, Cass. nn. 11389/1997, 9904/1998, 11244/2003, 5095/2006).

 

E’ stato chiarito (da Cass., n. 7067/2002) che il patto col quale sia previsto il diritto del mediatore al compenso anche nel caso di mancata conclusione dell’affare “deve valere a collegare il diritto alla provvigione ad un fatto diverso” e che “questo fatto può essere l’avere il mediatore svolto per un certo tempo una concreta attività di ricerca di terzi interessati all’affare ed essere pervenuto al risultato entro un certo termine od anche non esservi pervenuto, se prima della scadenza del termine la parte ritira l’incarico al mediatore: in questi casi la provvigione costituisce il compenso per aver il mediatore assunto ed adempiuto l’obbligo di impegnare la propria organizzazione nella ricerca del terzo interessato all’affare”.

 

Se, dunque, il conferente l’incarico rifiuti (anche se ingiustificatamente) di concludere l’affare col terzo indicato dal mediatore e che abbia fatto un offerta coincidente con le aspettative del conferente, la previsione dell’obbligo di corrispondere comunque un compenso all’intermediario può avere causa nella remunerazione dell’attività da quello posta in essere nella ricerca di un interessato. Ma se il compenso sia previsto in misura identica (o vicina) a quella stabilita per l’ipotesi di conclusione dell’affare, si pone il problema di stabilire se, in relazione al caso di mancata conclusione dell’affare per scelta di chi ha conferito l’incarico, vi sia squilibrio fra i diritti e gli obblighi delle parti (art. 1469 bis c.c., comma 1; ora art. 33, comma 1, del codice del consumo), giacchè solo con la conclusione dell’affare il preponente realizza il suo interesse e poichè il rifiuto da parte sua di concluderlo non integra comunque un inadempimento.

 

Il giudice dovrà dunque stabilire se la clausola sia vessatoria, considerando che l’art. 1469 ter c.c., comma 3, (ora, art. 34, comma 3, del citato codice del consumo) esclude bensì che la valutazione della vessatorietà possa concernere l’oggetto del contratto e l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purchè tuttavia “tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”: nel patto intercorso tra preponente e mediatore deve dunque essere chiarito che, in caso di mancata conclusione dell’affare per oggettivamente ingiustificato rifiuto del preponente, il compenso al mediatore sarà dovuto per l’attività sino a quel momento esplicata. Se tanto non sia chiaro, l’adeguatezza del corrispettivo per l’ipotesi di mancata conclusione dell’affare dovrà essere apprezzata dal giudice, che potrà concludere nel senso del significativo squilibrio delle prestazioni e dunque per l’inefficacia della clausola ex art. 1469 quinques c.c., comma 1, (o per la sua nullità ex art. 36, comma 1, del codice del consumo), segnatamente se il diritto al compenso per il caso di mancata conclusione dell’affare sia fissato in misura indipendente dal tempo per il quale l’attività del mediatore s’è protratta prima del rifiuto del preponente.

 

L’insussistenza dello squilibrio delle prestazioni per il caso di mancata conclusione dell’affare per causa imputabile alla G. è stata, come s’è già osservato, esclusa dalla corte d’appello senza spiegazione alcuna.

 

Neppure è stato spiegato perchè, secondo la corte territoriale, doveva considerarsi “imputabile” alla parte interessata alla vendita (così la sentenza impugnata, al terzo capoverso di pagina 3) il suo rifiuto di concludere il contratto preliminare in relazione ai problemi che sarebbero potuti sorgere (al di là del disposto di cui all’art. 1758 c.c.) per il precedente intervento dell’altro intermediario (al quale non è specificato chi avesse conferito l’incarico).

 

3.2.- Va soggiunto che se, invece, il rifiuto di concludere il contratto da parte di chi abbia conferito l’incarico tragga origine dalla sussistenza, originaria o sopravvenuta, di circostanze ostative alla conclusione stessa, di cui la stessa parte abbia omesso di informare il mediatore al momento del patto o cui abbia dato causa successivamente, sarebbe allora configurabile una sua responsabilità per violazione dei doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.. In casi siffatti, la previsione dell’obbligo di pagare comunque la provvigione o somma equivalente integrerebbe una clausola penale e sarebbe dunque soggetta al diverso apprezzamento di cui all’art. 1469 bis c.c., comma 2, n. 6, (ora art. 33, comma 2, lett. f, del codice del consumo), concernente la presunzione di vessatorietà delle clausole che, in caso di inadempimento, prevedano il pagamento di una somma manifestamente eccessiva.

 

4.- Col ricorso incidentale l’Immobiliare domanda che la corte di cassazione cassi senza rinvio la sentenza nella parte in cui non ha ritenuto concluso l’affare tra la G. ed il V..

 

Il ricorso non soddisfa i requisiti, di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c.. Non è infatti chiarito quale sia il vizio denunciato fra quelli indicati dall’art. 360 c.p.c.: se, in particolare, quello di cui al n. 3 (ma non sono indicate le norme di diritto che sarebbero state violate); ovvero quello di cui al n. 5 (e non è detto quale sarebbe allora il vizio della motivazione).

 

5.- Conclusivamente, va rigettato il primo motivo del ricorso principale ed accolto il secondo, con rinvio alla stessa corte d’appello in diversa composizione che rivaluterà i punti relativi alla qualificabilità come oggettivamente ingiustificato (tale è il senso di “causa imputabile”) del rifiuto della G. di concludere il contratto preliminare col V. e, in caso affermativo, alla sussistenza o non – nel rispetto degli enunciati principi di diritto – dell’equilibrio delle prestazioni nel contratto di conferimento dell’incarico mediatorio.

 

Il giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

 

Il ricorso incidentale è, come detto, inammissibile.

 

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE riunisce i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Genova in diversa composizione.

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