La pretesa erariale grava su entrambe le parti, a meno che non è dovuta per un fatto imputabile a una sola

È legittimo l’avviso di accertamento della maggiore imposta di registro notificato al venditore dell’immobile. Acquirente e venditore sono tenuti in solido, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, al pagamento del tributo. Il fisco non può avanzare alcuna pretesa nei confronti di chi vende, soltanto se l’imposta è liquidata a seguito di un’istanza di condono presentata dall’acquirente. È in sintesi quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 16743 del 16 luglio.

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Segue il testo integrale della sentenza:

Svolgimento del processo

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Milano l’Istituto per il sostentamento del clero della diocesi di quella città proponeva opposizione avverso l’iscrizione a ruolo e la relativa cartella di pagamento che l’ufficio del registro gli aveva fatto notificare per rettifica del valore di un terreno venduto alla società Immobiliare Puecher srl. nel 1994, sicchè veniva richiesta un’imposta complementare rispetto a quella pagata, oltre agli interessi e sanzione. Esponeva che l’atto impositivo non era adeguatamente motivato; l’imposta non era dovuta da esso; in subordine l’importo andava ridotto, e comunque la sanzione non era applicabile ad esso; pertanto ne chiedeva l’annullamento.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio eccepiva l’infondatezza del ricorso introduttivo, giacchè l’avvisi di accertamento originariamente notificato era divenuto definitivo per rigetto della impugnativa da parte della commissione di primo grado con sentenza non gravata, mentre la successiva istanza di condono non era stata accolta; perciò l’ufficio chiedeva il rigetto dell’impugnativa.

Quella commissione lo accoglieva in parte, limitatamente alla sanzione.

Avverso la relativa decisione il contribuente proponeva appello principale, cui l’agenzia delle entrate resisteva, svolgendo a sua volta quello incidentale, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale annullava la cartella ritenendo assorbito il secondo gravame, sul presupposto che l’iscrizione a ruolo scaturiva da un fatto riferibile solamente all’acquirente, senza che questo potesse avere riflessi fiscali nei riguardi dell’altra parte contraente, nella specie il venditore.

Contro questa pronuncia il Ministero e l’agenzia hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo. Il contribuente non ha svolto alcuna difesa.

Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto anche da esso va dichiarato inammissibile.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e il contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

Ciò premesso, col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente agenzia deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 4, nonchè contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto la commissione tributaria regionale non considerava che l’istituto venditore era debitore solidale dell’imposta assieme alla società acquirente del bene, e quindi sia la sentenza del giudice di primo grado non impugnata e che perciò faceva stato, e con la quale la opposizione della seconda era stata rigettata, sia il mancato condono proposto da essa non potevano avere efficacia impeditiva della pretesa fiscale azionata nei confronti del primo, non potendosi ritenere che essa scaturisse da fatto imputabile all’acquirente, bensì all’accertamento originario divenuto definitivo.

La censura è fondata.

La CTR osservava che la sentenza di rigetto relativa alla impugnativa dell’avviso di accertamento e il mancato condono richiesto dalla Immobiliare Puecher erano fatti ascrivibili solo a questa, e siccome la pretesa dell’ufficio scaturiva da essi allora non poteva essere azionata nei riguardi dell’istituto diocesano.

L’assunto non è esatto.

Infatti il venditore e l’acquirente sono tenuti in solido nei confronti della amministrazione finanziaria al pagamento dell’imposta di registro, come espressamente prevede il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 55, fermo restando, ovviamente, l’obbligo del compratore di rivalere il venditore a norma dell’art. 1475 c.c., ove l’amministrazione finanziaria abbia ottenuto quest’ultimo pagamento. Pertanto l’amministrazione può rivolgersi indifferentemente a tutte le parti per ottenere il pagamento dell’imposta, senza che il venditore o l’acquirente possano invocare il “beneficium excussionis”. Tuttavia va precisato che solo qualora la pretesa tributaria riguardi la imposta liquidata a seguito di istanza di condono presentata dall’acquirente, l’amministrazione finanziaria non può richiederne il pagamento anche al venditore, atteso che questa, ai sensi del D.P.R. n. 634 del 1972, art. 55, comma 4, grava unicamente su quest’ultimo, trattandosi di imposta complementare dovuta per un fatto imputabile soltanto ad una delle parti contraenti (V. pure Cass. Sentenze n. 5106 del 22/05/1998, n. 195 del 1995). Nella specie il condono non era stato applicato, e l’impugnativa dell’accertamento era stata rigettata, come è pacifico tra le parti, sicchè questo era divenuto definitivo, senza che la pretesa erariale fosse dipesa da un comportamento della Puecher, bensì scaturiva “ex lege” dal contratto stipulato da ambo le parti.

Ne deriva che il ricorso dell’agenzia va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 1, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, sicchè va rigettato il ricorso introduttivo del contribuente istituto diocesano.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, sussistono giusti motivi per compensare quelle inerenti al rapporto del Ministero con l’intimato, mentre le altre relative all’agenzia seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze, e compensa le relative spese; accoglie quello dell’agenzia; cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo, e condanna l’intimato al rimborso delle altre (spese) dell’intero giudizio, che liquida, quanto a quelle di ciascun grado di merito, in complessivi Euro 1.044,79 (millequarantaquattro/79), di cui Euro 397,67 per diritti, ed Euro 648,67 (seicentoquarantotto/76) per onorari, e per il presente in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per onorario, oltre a quelle generali ed agli accessori di legge.

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