In merito all’asserita illegittima realizzazione di una struttura in legno coperta, da parte del proprietario dell’appartamento sito al primo piano dell’edificio condominiale, in violazione delle norme sulle distanze legali, si rileva che il proprietario del singolo piano condominiale ha diritto ad esercitare, dalle proprie aperture, anche la veduta in appiombo, fino alla base dell’edificio e di opporsi a qualsiasi opera che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale diritto, senza che possa rilevare la lieve entità del pregiudizio cagionato o le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo già operato l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta.

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Condominio – Realizzazione di una struttura in legno coperta da parte del proprietario del primo piano – Diritto di ciascun condomino di opporsi a qualsiasi opera che direttamente o indirettamente pregiudichi il proprio diritto di veduta in appiombo

Corte d’Appello Palermo, Sezione 2 civile
Sentenza 15 febbraio 2017, n. 267

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Palermo, Seconda Sezione Civile, composta da:

1) Filippo Picone Presidente

2) Daniela Pellingra Consigliere

3) Maruzza Pino Giud. Aus. rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 597/2012 R.G., promossa in grado di appello

DA

(…) nata (…), rappresentata e difesa dall’Avv. B.Pu. e G.Mi.;

– appellante –

CONTRO

(…) nata (…) (…) e difesa dall’Avv. An.Tr.;

– appellata e appellante incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l’11.2.2015, premettendo di essere proprietaria dell’appartamento al secondo piano dell’edificio sito in Palermo, via (…), esponeva che (…), a sua volta proprietaria dell’appartamento ubicato al primo piano, aveva realizzato illegittimamente nel terrazzo di propria pertinenza, una struttura in legno coperta che, oltre ad alterare il decoro architettonico dell’edificio, violava le distanze legali di cui all’art. 907 c.c., e ne pregiudicava il proprio diritto di veduta in “appiombo”, per cui ne chiedeva la rimozione. Si costituiva Va.Ma. eccependo nel merito l’infondatezza della domanda, di cui ne invocava il rigetto; in particolare, eccepiva la precarietà dell’opera realizzata al solo fine di proteggersi dalla continua caduta di oggetti dall’immobile sovrastante.

Espletata l’istruttoria con prova, testimoniale e CTU, la causa era decisa dall’adito Tribunale di Palermo, con sentenza dei giorni 19/12/2011 – 23/02/2012 che, in accoglimento della domanda proposta dall’attrice, condannava la convenuta alla rimozione della copertura, oltre alla rifusione delle spese di giudizio. La soccombente (…) ha interposto appello, con atto notificato il 26/03/2012.

Si è costituita (…) contestando la fondatezza dell’appello di cui se chiede il rigetto; in via incidentale, eccependo l’errore materiale, chiede la correzione del nome dell’appellata da (…) a nonché del condannatorio alle spese con l’eliminazione della dicitura “i convenuti in solido”. All’udienza del 30/09/2016, la causa è stata posta in decisione, con assegnazione dei termini di cui agli artt. 352 e 190 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appellante denuncia, col primo motivo di gravame, la nullità della sentenza per insussistenza del dispositivo basata sull’errata indicazione di (…) in (…) nonché sull’errata condanna dei convenuti in solido, in presenza di una sola convenuta.

Il motivo è infondato.

E’ evidente che trattasi di mero errore materiale di rilevabilità immediata commesso nella redazione dell’atto e consistente in una mera vista o disattenzione del giudice facilmente rilevabile dal testo, che non incide sul contenuto concettuale della decisione, ma si concretizza in una mera divergenza tra l’ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica; nel caso di specie, non vi è neanche contrasto tra la motivazione, ove l’originaria attrice viene sempre indicata come (…), ed il dispositivo della sentenza, nel cui contesto è limitato l’errore materiale, tale da non rendere non identificabile la reale portata del provvedimento anche per la presenza di una sola convenuta. Tali errori, quindi, che si risolvono in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, sono emendabili col procedimento di cui all’art. 287 c.p.c. (…). Col secondo motivo di appello, l’appellante si duole dell’errata valutazione giuridica delle risultanze istruttorie da parte del giudice di primo grado che, disattendendo le conclusioni cui è giunto il CTU, nonché le risultanze delle dichiarazioni testimoniali, avrebbe illegittimamente applicato le disposizioni di cui all’art. 907 c.c., omettendo le norme sulla comunione e sul condominio di edifici rispetto a quelle sulla proprietà; aggiunge, inoltre, che la struttura lignea collocata – sulla terrazza di proprietà esclusiva, sarebbe solo una pertinenza dell’appartamento per cui non solo il Tribunale avrebbe dovuto applicare le norme sul condominio e sulla privacy, ma non avrebbe dovuto riconoscere alcun diritto di veduta su pertinenza altrui, limitato solo al prospetto dell’edificio ed al fondo strada prospiciente, pregiudicato per soli cm. 30,10.

Anche tale doglianza è da disattendere.

L’art. 907 c.c. pone un divieto assoluto a costruire a distanza inferiore ai tre metri dalle vedute dirette aperte sulla costruzione del fondo finitimo, la cui violazione si realizza in forza del mero fatto che la costruzione venga realizzata a distanza inferiore a quella stabilita, a prescindere da ogni valutazione in concreto sulla sua idoneità o meno ad impedire o ad ostacolare l’esercizio della veduta; pertanto, quando si è acquistato il diritto multidirezionale di avere vedute sul fondo del vicino, il proprietario di questo, nell’installazione di una struttura – veranda, deve rispettare le distanze in verticale e in appiombo, secondo le disposizioni di cui all’art. 907 c.c., per consentire le vedute dirette, oblique, e in appiombo e quindi tenersi a distanza di tre metri sotto la soglia dell’appartamento sovrastante. Tale limite, previsto dal codice civile come distanza minima, deve essere rispettato non solo in orizzontale, ma anche in verticale, ovvero tra il proprietario del piano appena sottostante, che ha costruito la tettoia, e quello posto al piano di sopra che, affacciandosi dalle proprie finestre non è più in grado di vedere in appiombo. Come accertato dal CTU, nel caso in esame, la tettoia contestata, realizzata sul terrazzo in struttura lignea, di m. 8,50 x m. 4,60, viola la distanza legale di metri tre, in quanto, misurando a norma dell’art. 905 c.c., il piano di calpestio del balcone dell’originaria attrice dal tetto della pensilina dista da 15 a 22 cm. a causa di una leggere pendenza -, a nulla rilevando che l’ampiezza del terrazzo consenta una veduta quasi piena della, strada antistante. proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto ad esercitare, dalle proprie aperture, anche la veduta in appiombo, fino alla base dell’edificio e di opporsi a qualsiasi opera che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale diritto, senza che possa rilevare la lieve entità del pregiudizio arrecato o le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo già operato l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta (Cass. 27.1,2016 n. 1549 – Cass. n. 955/2013). Nel caso in esame, precludendo il diritto di veduta della Gu., era stata limitata la visuale dalla finestra e dal balcone dell’appartamento di sua proprietà prospicienti la suddetta tettoia, e, come emergente dalla documentazione fotografica allegata alla CTU, ne era stata impedita la veduta in appiombo rispetto alla situazione precedente alla realizzazione della copertura per cui, ostacolando effettivamente il diritto di veduta, il manufatto è assimilato al fabbricato (Cass. 27.3.2014 n. 7269). Al pari, priva di fondamento è l’invocata tutela della privacy o di protezione personale che avrebbe giustificato la realizzazione dell’opera. I testi escussi, al di là di qualche occasionale e sporadico episodio di caduta di piccoli oggetti casalinghi rientrante nell’ambito della normale tollerabilità, hanno riferito di caduta di calcinacci limitata a due soli occasioni strettamente connesse allo stato di degrado del prospetto dell’edificio condominiale, successivamente rifatto con lavori protrattisi fino al2007, durante i quali nessuno, dei testi ha riferito di altri episodi simili; finanche il rapporto dei Vigili del Fuoco risale al Settembre 2004. L’esigenza in ogni caso di tutela della privacy, nonché l’incolumità personale anche da sporadici episodi di caduta di piccoli utensili, può essere avviata con altri manufatti aventi eguale funzione protettiva, ma facilmente amovibili e meno stabili di quanto possa essere una struttura come quella contestata sorretta da “pilastri che poggiano sul pavimento del terrazzo collegati in sommità da una trave”.

Da accogliere è, pertanto, il solo l’appello incidentale mentre va respinto l’appello principale.

L’esito della lite impone di condannare l’appellante alle spese di questo grado di giudizio, che si liquidano, a favore dell’appellata, in complessivi Euro 1.900,00 oltre rimborso forfetario delle spese generali, al CPA ed all’IVA.

PQ.M.

La Corte, definitivamente pronunziando, nel contraddittorio delle parti, in accoglimento dell’appello incidentale, dispone la correzione del dispositivo della sentenza n. 913/2013, emessa dal Tribunale di Palermo, nei giorni 19.12 – 23.2.2012, limitatamente all’indicazione errata di (…) in quella corretta di (…) e nella parte in cui condanna i convenuti in solido, dovendosi dire “condanna la convenuta”.

rigetta l’appello proposto da (…) con atto notificato il 26/03/2012, nei confronti (…) avverso la sentenza del Tribunale di Palermo, n. 913, pubblicata nei giorni 19.12.2011 – 23.2.2012.

Condanna (…) al pagamento delle spese del giudizio di appello, a favore che liquida in complessivi Euro 1.900,00, oltre al rimborso forfetario delle spese generali, al CPA ed all’IVA.

Così deciso in Palermo il 2 gennaio 2017.

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