In tema di appalto, l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 c.c., può essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore che direttamente, in quanto fornito della necessaria competenza tecnica, o tramite il proprio direttore dei lavori, abbia dato indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera. In tal caso, grava sul venditore l’onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di responsabilità a suo carico.

Risarcimento dei danni – Appalto privato – Rovina e difetti dell’opera – Azione esercitata dagli acquirenti nei confronti del venditore dell’immobile – Onere della prova

CHIEDI UNA CONSULENZA

 

Tribunale Firenze, Sezione 3 civile
Sentenza 4 febbraio 2016, n. 464

TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE

TERZA SEZIONE CIVILE

VERBALE DELLA CAUSA

TRA

DA.BA.

PARTE ATTRICE

e

IM.FO. S.r.l. (già DU. SRL)

PARTE CONVENUTA

AS.

DITTA ZO.GI.

PR. S.r.l.

DITTA ZO.MA.

Sono altresì presenti il G.O.T. tirocinante Dott.ssa An.An. E LA. Dott.ssa Al.Dh. ai fini della pratica forense

Oggi 4 febbraio 2016 ad ore 13:35 innanzi al dott. Alessandro Ghelardini, sono comparsi:

Per DA.BA. l’avv. CO.VI., oggi sostituito dall’avv. Ma.Ra.

Per IM.FO. S.r.l. l’avv. VE.AN. Il Giudice invita le parti alla discussione.

I procuratori delle parti discutono la causa, riportandosi agli atti e rinunciano a presenziare alla lettura della sentenza, allontanandosi.

Il Giudice all’esito della Camera di Consiglio pronuncia ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

dandone lettura.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

MOTIVI DELLA DECISIONE

I sig.ri BA. e MA., i sig.ri NA. e CA., i sig.ri BR. e FE. hanno chiesto la condanna della società DU. S.r.l. art. 1669 c.c. al risarcimento dei danni per i gravi difetti degli appartamenti da essa compravenduti, relativi a rilevanti fenomeni di muffe riscontrati nei locali.

A sostegno delle proprie richieste, gli attori hanno evidenziato che, pochi mesi dopo la stipula del contratto di compravendita degli immobili ristrutturati, siti in via (…) Firenze, nel novembre-dicembre 2011, si erano palesati abbondanti fenomeni di umidità, i quali avevano danneggiato sia il mobilio sia parte del contenuto di detti mobili.

Gli stessi hanno allegato che vi era stato riconoscimento dei vizi da parte della convenuta, con impegno alla loro eliminazione, impegno che però non aveva avuto concreto seguito.

Gli attori hanno chiesto quindi la condanna della convenuta al risarcimento dei danni sofferti, da commisurare alla diminuzione di valore degli appartamenti, e tenuto conto di ogni altro pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale patito.

La società DU. SRL, costituitasi poi con la nuova denominazione di IMMOBILIARE FO. SRL, ha contestato in toto le richieste attoree.

La convenuta, premesso di essere sempre stata disponibile alla soluzione bonaria della controversia, ha evidenziato che le infiltrazioni di umidità riguardavano i locali posti nel sottotetto degli appartamenti, non aventi le caratteristiche di abitabilità, che gli attori utilizzavano arbitrariamente come camere da letto.

La convenuta ha eccepito, poi, la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza della domanda svolta, non essendo chiaro, a suo dire, se la stessa fosse stata proposta ai sensi dell’art. 1490 c.c., cioè in forza della garanzia del venditore, ovvero ai sensi dell’art. 1669 c.c., a titolo di responsabilità del costruttore.

Ha eccepito, sotto tale ultimo aspetto, il proprio difetto di legittimazione passiva, per non avere la stessa provveduto alla edificazione dell’immobile, appaltato a diversa società, ed, assumendo che la domanda fosse svolta i sensi dell’art. 1490 c.c., ha eccepito la decadenza dalla garanzia per tardività della denuncia; la convenuta eccepisce in ogni caso il concorso di colpa dei danneggiati nell’aggravamento dei fenomeni di muffa verificatisi, ai sensi dell’art. 1227 c.c.

La FE. S.r.l. ha concluso pertanto, in via preliminare, per la dichiarazione di nullità dell’atto di citazione attoreo; nel merito, per il rigetto di ogni domanda; in via subordinata, ha chiesto di essere manlevata dalla DITTA ZO.GI., e dalla DITTA ZO.MA., esecutrici dei lavori, che ha chiamato in causa.

Si sono costituiti il sig. ZO.GI., in proprio e quale titolare aell’omonima impresa individuale oggi cessata, e l’IMPRESA INDIVIDUALE ZO.MA., in persona dell’omonimo titolare, chiedendo il rigetto della manleva ed avanzando domanda riconvenzionale contro la FE. per la condanna della stessa al risarcimento dei danni patiti nella vicenda; con condanna anche ex art. 96 c.p.c. e vittoria di spese.

Sono stati concessi i termini ex art. 183 co. 6 c.p.c.

In corso di causa è stato esperito ATP per l’accertamento dei vizi e la quantificazione del costo della loro eliminazione.

Con la prima memoria ex art. 183, VI co. c.p.c., gli attori hanno precisato di aver svolto esclusivamente domanda ai sensi dell’art. 1669 c.c. ed hanno rivendicato la propria buona fede circa l’abitabilità dei locali posti nel sottotetto.

La convenuta ha eccepito la inammissibilità della domanda ex art. 1.669 c.c., assumendone la novità.

A seguito della soppressione ex lege della Sezione Distaccata di Pontassieve, ove la causa era stata originariamente incardinata, la causa è stata trattata presso la sede centrale.

All’udienza del 05.12.2013, a seguito di rituale rinuncia agli atti, è stata dichiarata “l’estinzione parziale del giudizio limitatamente al rapporto processuale intercorso tra Fe. ed i terzi chiamati”.

All’udienza del 27.01.2015 sono state precisate le conclusioni ed è stata disposta la discussione orale della causa, con termine per nota difensiva.

La causa è passata oggi in decisione a seguito di discussione orale.

1) In rito: la nullità dell’atto di citazione e la inammissibilità della domanda ex art. 1.669 c.c.

Nessuna delle questioni è fondata.

Invero, quanto alla eccepita genericità dell’atto di citazione in ordine alla causa petendi dell’azione proposta, si osserva che nella narrativa dell’atto la disposizione di cui all’art. 1.669 c.c. è stata espressamente richiamata dalla difesa attorea a sostegno del proprio assunto, con dovizia di richiami a precedenti giurisprudenziali ai fini dell’estensione della responsabilità anzidetta al c.d. costruttore – venditore. (cfr. pag. 9 – 10 atto di citazione).

A nulla rileva il fatto che nelle conclusioni rassegnate dalla difesa attorea non compaia espressamente il riferimento all’art. 1669 c.c., posto che il contenuto della domanda non va accertato con riferimento esclusivo ad esse, bensì al suo contenuto complessivo.

Parimenti da respingere è l’eccezione di inammissibilità per mutatio libelli.

Invero, alla luce di quanto sopra argomentato, il contenuto della prima memoria depositata, ove gli attori hanno chiarito al di là di ogni possibile dubbio il tipo di azione proposta, costituisce mera precisazione della domanda, come tale ammissibile e rituale.

2) Sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva della convenuta

L’eccezione non merita accoglimento.

La circostanza che la convenuta sia mera venditrice degli immobili per cui è causa non è di per sé ostativa ad escludere la garanzia del costruttore.

Sul punto, va qui richiamato l’autorevole insegnamento della Corte di Cassazione, secondo cui “L’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 c.c., può essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera, gravando sul medesimo venditore l’onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell’evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva” (cfr. Cass. sez. 2, sent. n. 9370 del 17.04.2013); ovvero, ancora “L’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 c.c., può essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, allorché lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera, e sempre che si tratti di gravi difetti, i quali, al di fuori dell’ipotesi di rovina o di evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilità dell’edificio, pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità del medesimo” (cfr. Cass. sez. 2, sent. n. 2238 del 16.02.2012).

Nella fattispecie è agevole rilevare la presenza dei presupposti della responsabilità del costruttore in capo alla venditrice.

Invero, nella fattispecie è evidente che la convenuta ha avuto ingerenza nella realizzazione dell’opera.

E’ documentale infatti che la progettazione e la direzione dei lavori è stata affidata dalla medesima ad un tecnico (arch. VA. in una prima fase, geom. CA. nella seconda fase sino a conclusione delle opere).

Sia pure indirettamente, quindi, deve presumersi che la committente abbia avuto completa e penetrante ingerenza in ordine alla definizione del progetto dell’opera ed alla sua esecuzione.

Si aggiunga che la convenuta è società di capitali che, come emerge dalla presente fattispecie e si evince dalla stessa originaria denominazione sociale (DU.SA.), è senz’altro dedita ad operazioni immobiliari e di costruzioni edili di ampio respiro.

In tale contesto è assai probabile che gli stessi organi amministratori della società avessero specifiche competenze nel settore immobiliare e delle costruzioni.

Deve pertanto presumersi che anche in via diretta la convenuta abbia avuto specifica ingerenza nella esecuzione dell’opera.

Il punto non merita ulteriore approfondimento anche perché la stessa convenuta non ha fornito elementi, né ha provato o chiesto di provare, la assenza di tale ingerenza e potere direttivo in sede di progettazione ed esecuzione dei lavori.

3) Sulla domanda ex art. 1669 c.c.

La domanda va accolta.

Invero, i vizi lamentati dagli attori sono qualificabili come ‘gravi difetti’ e, come tali, devono essere risarciti dalla FO..

Sul punto, deve farsi rifermento alla CTU svolta in sede di ATP, le cui conclusioni vengono fatte proprie dal Giudicante, in quanto congruamente e logicamente argomentate, anche in risposta alle osservazioni dei CC.TT.PP.

L’ausiliario tecnico del Giudice ha precisato che “per quanto riguarda i fenomeni riscontrati ai punti 1,2 e 3, gli stessi sono ragionevolmente imputabili a condensazioni superficiali di umidità, la cui causa è la troppo bassa temperatura superficiale delle strutture (pilatri, setti in cls (…) e porzione di solaio della camera attestata sul fronte sud al di sopra della loggia) dovuta ad un non corretto isolamento termico delle strutture stesse. Il fatto di essere (le strutture) scarsamente coibentate comporta il non soddisfacimento delle prestazioni relative alla verifica della condensazione superficiale e della trasmittanza minima di Legge (DLgs 192/205)” (cfr. pag. 28 – 29 e 32 e 36 relazione CTU).

L’esistenza dei vizi lamentati dagli attori è stata, dunque, riscontrata, dal CTU.

Tali problematiche devono essere qualificate quali “gravi difetti”, ai sensi dell’art. 1669 c.c. Infatti, gli stessi sono palesemente idonei ad incidere sulla salubrità dei locali per cui è causa, e quindi a pregiudicare in modo grave il normale godimento e la funzionalità degli stessi (in questo senso cfr. Cass. n. 2238/2012).

Né, d’altra parte, sul punto può ritenersi la assenza di difetto grave in considerazione del fatto che la maggior parte di essi sarebbero afferenti ai vani sottotetto, urbanisticamente non abitabili.

Invero, pur condividendosi in questa sede la valutazione del CTU circa l’uso non conforme sotto il profilo urbanistico del sottotetto, non può non evidenziarsi, da un lato, che i fenomeni di efflorescenza di muffe per carenza di coibentazione termica delle murature hanno interessato anche i vani abitativi (cucina/soggiorno) e, dall’altro, che anche i vani accessori (quali soffitte, sottotetti ecc.) devono essere realizzati con modalità tali da evitare fenomeni che di fatto pregiudicano lo stesso utilizzo degli stessi quali locali di sbratto e per il ricovero di oggetti.

E’ evidente che un sottotetto interessato da diffusi fenomeni di muffe, con il conseguente deterioramento dei beni ivi ricoverati, non è idoneo all’uso cui esso è, urbanisticamente, destinato.

Va, poi, analizzato il profilo relativo all’eccepito concorso colposo degli attori.

Parte convenuta, infatti, imputa le problematiche di umidità ed efflorescenza di muffe a fattori diversi dal difetto di coibentazione delle strutture murarie, quali il difetto di areazione dei locali e l’eccessiva umidità relativa degli ambienti dovuta al citato utilizzo non conforme dei locali sottotetto.

Tali argomentazioni vanno disattese.

Per quanto riguarda il difetto di areazione dei locali, è decisivo il rilievo che tutti gli appartamenti dei convenuti sono afflitti in misura sostanzialmente analoga, dalla problematica in questione.

Appare illogico ipotizzare che ciò sia dipeso da una incongrua conduzione degli immobili, piuttosto che da un difetto costruttivo degli stessi.

Si aggiunga che, quantomeno con riferimento alla proprietà dei sigg.ri NA. – CA., la scarsa ventilazione dei locali appare conseguenza delle obbiettive caratteristiche dell’appartamento, che è privo di aperture su pareti contrapposte (il che limita fortemente la ventilazione naturale – cfr. CTU pag. 29).

Di scarso rilievo ai fini che ci occupano è, poi, anche il fatto che gli attori utilizzino come camere locali non dotati dell’abitabilità.

Invero, non può dubitarsi che i locali sottotetto potrebbero legittimamente utilizzarsi, ad es., per l’asciugatura del bucato, e quindi per attività che, necessariamente, comportano il rilascio di forti quantità di umidità. D’altra parte lo stesso CTU ha riscontrato all’atto del sopralluogo che alcuni dei locali in questione erano adibiti a tale scopo.

Non v’è dubbio che ciò avrebbe comunque costituito occasione per la formazione di muffe.

Ne segue che tali locali avrebbero dovuto essere realizzati con adeguata coibentazione delle pareti esterne, e presupponendo, già in sede di progettazione, che negli stessi potessero raccogliersi significative quantità di umidità.

D’altra parte è noto che nei locali sottotetto accessibili e praticabili, come quello in questione, spesso si accumula parte dell’umidità derivante dall’esercizio delle attività domestiche (es. fumi e vapori di cucina), e ciò in conseguenza del c.d. “effetto camino” che si produce con i locali sottostanti “abitabili”.

Il tutto senza considerare la stessa piena buona fede degli attori, i quali hanno utilizzato i locali secondo quanto era stato loro, erroneamente, prospettato in fase di trattative dalla stessa parte venditrice. Ciò si evince dal rendering prodotto in atti, predisposto su carta intestata della stessa DU. E SA., in cui è ben visibile la destinazione “rappresentata” di detti locali, in quanto vi risultano disegnati letti, comodini etc – cfr. documento allegato alla seconda memoria attorea.

D’altra parte, non è in discussione che nei locali non adibiti ad abitazione primaria la venditrice ha realizzato completi impianti elettrici e di riscaldamento/condizionamento, circostanza che chiaramente denota la destinazione abitativa di fatto di detti locali.

In conclusione, la FO. S.r.l. va condannata a risarcire i danni patiti dagli attori.

Circa l’accertata destinazione non conforme dei locali sottotetto si provvederà a separata segnalazione ai sensi dell’art. 331, IV c.p.p., pur evidenziando che il reato urbanistico ipotizzabile è prescritto.

4) Sulla quantificazione del danno

Per la quantificazione delle singole voci di danno patrimoniale, occorre far riferimento alla relazione tecnica del CTU (cfr. pag. 78 CTU), il quale ha descritto e quantificato il costo delle opere necessarie, comprensivo dei costi tecnici e tenuto conto anche della svalutazione degli appartamento in considerazione della ridotta superficie utile, per la eliminazione dei difetti lamentati.

Ai sig.ri NA. e CA. deve essere quindi liquidata la somma di Euro 8.576,44, ai sigg.ri BA. e MA. l’importo di Euro 7.837,61, ed ai sigg.ri BR. e FE. la somma di Euro 8.204,88.

Su tali somme così individuate, trattandosi di debiti di valore, devono aggiungersi la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT per le famiglie degli operai ed impiegati, al fine di neutralizzare la perdita del potere di acquisto della moneta. Sugli importi annualmente rivalutati ad oggi, sono poi dovuti gli interessi compensativi calcolati al tasso legale con decorrenza dalla data di manifestazione dei difetti, che si indica nel dicembre 2011, sino al saldo, al fine di compensare il creditore della mancata disponibilità del denaro (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 1712 del 1995).

Per quanto riguarda gli ulteriori danni patrimoniali lamentati dagli attori, consistenti nel danneggiamento al mobilio e ad alcuni oggetti personali (materassi, scarpe …) ubicati nei locali interessati da muffe, alla luce dell’ampia documentazione fotografica in atti (cfr. docc. n. 3/6/7/9 fascicolo attori), si reputa equo, essendo del tutto antieconomico riaprire l’istruttoria al fine di espletare CTU estimativa dei beni mobili danneggiati, liquidare una somma forfettaria pari ad Euro 200,00 per ciascuna coppia di attori.

Tale liquidazione si impone, considerando lo stesso stato d’uso dei beni danneggiati (gli attori neanche deducono che si trattava di beni nuovi, né hanno prodotto alcuna ricevuta di acquisto, ma solo un preventivo per l’acquisto di alcuni mobili e delle piantine inerenti l’arredamento).

Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, in difetto di specifica indicazione e/o prova in relazione allo stesso, nessuna voce di danno può essere liquidata a tale titolo.

5) Spese di lite

Le spese di lite del presente giudizio vanno poste a carico di parte convenuta IM.FO. SRL, attesa la soccombenza.

Le stesse sono liquidate come da dispositivo, ai sensi del d.m. n. 55/2014, avuto riguardo al valore della causa, alla difesa contestuale di una pluralità di parti ed all’attività defensionale espletata.

Per le stesse ragioni le spese della CTU vanno poste definitivamente a carico della convenuta, la quale deve farsi carico anche delle spese di CTP, nella misura che si reputa congrua, in difetto di giustificativo di spesa, di Euro 1.000,00 omnia.

P.Q.M.

Visto l’art. 281 sexies c.p.c.

Il Tribunale di Firenze, Sezione III Civile in composizione monocratica, definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa:

1) CONDANNA parte convenuta IM.FO. SRL, già Du. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di:

– sig.ri DA.BA. e IR.MA. dell’importo complessivo di Euro 8.776,44,

– sig.ri FA.NA. e VA.CA. dell’importo complessivo di Euro 8.037,61,

– sig.ri LO.BR. e SA.FE. dell’importo complessivo di Euro 8.404,88;

2) CONDANNA parte convenuta IM.FO. S.r.l. al pagamento in favore degli attori degli interessi e della rivalutazione monetaria, come da parte motiva, sulle somme di cui al punto 2);

3) CONDANNA parte convenuta IMMOBILIARE FE. S.r.l. al pagamento in favore di parte attrice delle spese di lite, che si liquidano anche per il cautelare in Euro 900,00 per esborsi ed in Euro 8.000,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso forfetario 15%, IVA e CPA come per legge;

4) PONE le spese di CTU, liquidate come in atti, definitivamente a carico della convenuta;

5) CONDANNA parte convenuta IMMOBILIARE FE. S.r.l. al pagamento in favore di parte attrice delle spese di CTP, che si liquidano nella misura di Euro 1.000,00 omnia.

Così deciso in Firenze il 4 febbraio 2016.

Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2016.

CHIEDI UNA CONSULENZA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *