La pronuncia in esame affronto il complicato tema del rapporto sorto fra proprietario di un immobile e occupante dello stesso sulla base di un mero accordo verbale fra i due.

Tribunale di Roma

Sezione VI Civile

Sentenza 1° ottobre 2014

N. 100764/013 R.G.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROMA

SEZIONE 6^ CIVILE

in composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Francesco Ranieri,

ha emesso la presente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 100764\013 del r.g.a.c. vertente

TRA

D. M.

rapprs. e difeso dall’ Avvocato Antonio Ferdinando Nicoletti presso il cui studio legale elettivamente domicilia in Roma

ricorrente

E

V. D.

rapprs. e difeso dagli Avvocati Gaetano Seminario e Maria Caterina Zofrea presso il cui studio legale elettivamente domicilia in Roma

resistente – ricorrente in riconvenzionale

OGGETTO: locazione

visti gli artt. 429 e 430 c.p.c.

uditi i procuratori delle parti ed all’esito della discussione tenutasi all’udienza del 1.10.2014 ha dato lettura in data odierna del dispositivo e della motivazione della seguente sentenza.

PROCESSO

Con atto di intimazione iscritto a ruolo nel giugno 2013 D. M. intimava lo sfratto per morosità con richiesta di convalida ed emissione di decreto ingiuntivo per i canoni mensili di locazione dovuti dal conduttore da gennaio 2012 pari ad euro 750 mensili ed ulteriori maturandi, non pagati. Deduceva di aver locato l’immobile sito in Roma loc. Acilia Via OMISSIS, ammobiliato ad uso abitazione. Da gennaio 2012 il conduttore non pagava il dovuto giusta contratto di locazione registrato il 28.12.2012.

Il resistente deduceva di avere stipulato contratto verbale di locazione a novembre 2011; aveva registrato il contratto verbale a settembre 2012 presso l’Agenzia delle Entrate. Il locatore aveva registrato presso l’ Agenzia Entrate “nuovo contratto di locazione parzialmente difforme dalla realtà dei fatti” il 27.12.2012. Ciò posto deduceva che detta registrazione era nulla in quanto il contratto stesso non era stato sottoscritto dal V. e dunque nullo per difetto di accordo scritto tra le parti. Invocava in proprio favore l’art. 3 del D.Lgs. n. 23\011 col regime sanzionatorio ivi previsto in caso di registrazione tardiva. Chiedeva in via riconvenzionale la restituzione della metà di euro 278 ed euro 24 pagati per registrare il contratto. Il canone mensile dovuto era pari ad euro 123. Argomentava ulteriormente sotto vari profili minori gradati. Con spese di lite distratte in favore del difensore dichiaratosi anticipante.

All’udienza di convalida il Giudice denegava la convalida con ordinanza riservata 4.6.2013 dando atto del pagamento di euro 492 da parte dell’intimato, mutava il rito e fissava udienza di discussione al 24.1.2014.

Le parti depositavano memorie integrative ex art. 426 c.p.c. con le quali ribadivano i rispettivi assunti difensivi. Parte ricorrente evidenziava però il fatto della nullità del contratto verbale di locazione abitativa essendo previsto per legge la forma scritta. Dunque, la detenzione del V. era da considerarsi senza alcun titolo. Parte resistente insisteva sull’esistenza di un video che evidenziava il comportamento del c.d. locatore passibile di valutazione penale quale truffa; sosteneva l’esistenza di una lite temeraria.

Soppressa a settembre 2013 la Sezione distaccata di Ostia la causa viene ora in decisione presso questa Sezione 6^ del Tribunale di Roma.

MOTIVI

1. La domanda principale va accolta nei limiti di cui ora si dirà.

Va respinta la domanda riconvenzionale per la restituzione di canoni versati in eccedenza.

Preliminarmente va appena rilevato che in questa sede civile non hanno rilievo le questioni penalistiche dedotte circa l’ipotesi di truffa e quant’altro. Qui rileva solo il rapporto civilistico dedotto nel processo e per come ricostruibile in base alle allegazioni ed alle argomentazioni delle parti. Dunque, piena autonomia tra il processo penale e quello civile.

1.1. La domanda va accolta nei termini di cui ora si dirà.

Preliminarmente va rilevato che parte intimante ha intrapreso l’azione di intimazione di sfratto per morosità ex art. 658 c.p.c. in carenza dei suoi presupposti essenziali, in quanto il contratto di locazione non è stato redatto in forma scritta. A nulla vale la denuncia del contratto “verbale” – da chiunque eseguita – presso l’Agenzia delle Entrate in quanto per le locazioni abitative vale la norma – legge n. 431\98 – per cui il contratto deve essere stipulato per iscritto; il rapporto in questione è sorto pacificamente ben dopo tale data del 1998. Ed a nulla valgono le questioni minute circa la tipologia degli accordi variamente sorti o pretesi tra le parti; tutti verbali, e dunque tutti ininfluenti rispetto alla decisione da prendersi nel presente processo civile.

Nella memoria integrativa parte ricorrente ha sia pur con allegazione “soft” introdotto il nuovo tema della occupazione senza titolo; essa, comunque, porta alla medesima conclusione rispetto alla domanda iniziale di risoluzione, ovverosia che l’immobile va rilasciato alla parte ricorrente con diritto al pagamento di una indennità di occupazione.

Ciò premesso, questo Giudice osserva in diritto che la vicenda storica in esame non può certamente essere risolta in base alla regolamentazione legislativa delle locazioni abitative, per carenza di titolo iniziale, ovvero il contratto scritto. Dunque, da un lato il c.d. locatore non può avvalersi delle relative norme sostanziali e processuali di tutela; dall’altro il c.d. conduttore non può avvalersi della nuova rideterminazione del rapporto in termini di durata e della riduzione del canone prevista dall’art. 3 – cedolare secca – perché la norma presuppone che un contratto scritto vi sia (essendo appunto previsto a pena di nullità) anche se poi esso non sia stato registrato allo scopo di frode il fisco. Al riguardo va subito rilevato che la “autodenuncia” da parte del c.d. locatore con la registrazione presso l’Agenzia delle Entrate ed ancor prima la denuncia di contratto verbale fatto dal c.d. conduttore ha posto il Fisco nella conoscenza del rapporto economicamente rilevante in questione per cui non occorre fare ulteriore segnalazione al Fisco o alla Procura della Repubblica per eventuali reati tributari.

Il rapporto instauratosi tra le parti è dunque rimasto sul piano meramente fattuale e pertanto esso va correttamente inquadrato e deciso in quanto tale: una situazione “di fatto” iniziata e protrattasi nel tempo al di fuori del paradigma della “locazione abitativa”. Detto inizio e sviluppo, al di là delle allegazioni circa la responsabilità della mancata stipula per iscritto all’una o all’altra parte, costituisce il fatto oggettivo essenziale del contatto sociale – rilevante anche giuridicamente – intercorso tra le parti; detto rapporto non è decidibile dal Giudice “come se” si fosse in presenza di un contratto di locazione; la controversia insorta va però all’evidenza risolta rinvenendo nell’ordinamento giuridico le norme sostanziali e processuali pertinenti.

In tale prospettiva di indagine appare manifesto a questo Giudice che la vicenda, in quanto estrinsecatasi nel tempo sul piano di un rapporto di mero fatto senza far ricorso ad istituti giuridici, non può che trovare la sua soluzione più opportuna facendo riferimento agli istituti tipici regolanti i rapporti di fatto: vengono dunque in rilievo le norme sul possesso – art. 1150 ss. cod. civ. -, quelle sull’indebito oggettivo – art. 2033 cod. civ. -, sull’arricchimento senza causa – art. 2041 cod. civ. – e sulle obbligazioni naturali – art. 2034 cod. civ.

In tale quadro di ricostruzione storica del rapporto intercorso tra le parti va osservato che sostanzialmente vi è stata l’immissione nel possesso \ detenzione qualificata dell’immobile in modo spontaneo e consapevole da parte di entrambe le parti; in tal senso il comportamento della c.d. parte conduttrice non può essere appellato come “abusivo” o “illecito”. Il c.d. locatore ha all’evidenza consegnato le chiavi dell’appartamento ed ha riscosso i pagamenti mensili sino alla rottura del patto di fatto intercorso. La posizione del c.d. conduttore va pertanto assimilata a quella di un possessore di buona fede; ciò fino al momento della richiesta di restituzione, la quale non era soggetta ad alcun vincolo normativo o contrattuale di tipo locatizio. Da tale richiesta il possessore va assimilato ad un “”possessore \ detentore qualificato”” in mala fede. E deve restituire il bene a colui che glielo ha concesso, anche se in virtù di un contratto nullo. Soccorre sul punto quanto statuito da Cass. SU n. 14828\012 secondo cui la domanda di risoluzione di un contratto non è incompatibile con l’accertamento della nullità dello stesso con conseguente obbligo di restituzione “”costituendo ripetizione dell’indebito oggettivo che non muta la causa petendi e non viola il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato””.

1.2.1. Oltre alla restituzione del bene il c.d. locatore ha diritto ad un equo ristoro del godimento ricevuto dalla controparte; ciò a decorrere da quando essa è divenuta detentrice in mala fede; nel caso di specie dalla domanda giudiziale di giugno 2013 e fino al momento della restituzione del bene.

Per il tempo anteriore il c.d. conduttore è stato in buona fede ed ha legittimamente fatto propri i frutti nascenti dalla detenzione concessa; il mancato pagamento di somme “corrispettive” del godimento del bene non può essere giuridicamente preteso; i pagamenti mensili effettuati vanno ritenuti espressione di una obbligazione naturale o comunque espressione di uno spontaneo riconoscimento di suo arricchimento verso una diminuzione patrimoniale altrui. Per le somme spontaneamente pagate nel corso del tempo il c.d. conduttore non potrebbe infatti richiederne la restituzione in quanto ciò importerebbe un inammissibile arricchimento senza causa in danno del locatore (sul punto v. Tribunale Milano n. 3546 del 16 marzo 2011, reperibile su siti internet).

1.2.2. Per quanto attiene alla individuazione della misura dell’importo da attribuire al c.d. locatore sovviene all’evidenza in sede di primo approccio la norma di cui all’art. 1591 cod. civ.; e però vien subito da rilevare che detta norma è prevista specificamente in tema di locazione; in tale ambito appare comprensibile il criterio secondo cui il conduttore “in mora nel restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto sino alla riconsegna salvo il maggior danno”. Dunque, predeterminazione forfetaria presuntiva del danno patito salvo, si noti, il maggior danno che però va allora provato da parte del locatore danneggiato. Nel caso di specie invece le parti, ed in particolare la parte c.d. locatrice, ha chiaramente mostrato di voler rifuggire dallo schema legale tipico locatizio abitativo nel rapporto insorto con la controparte: dal 2007 sino al 2012. Da ciò deriva che quantificare la somma dovuta a quella rappresentata dal c.d. valore locativo figurativo sarebbe contrario alla stessa volontà manifestata dalle parti nel corso degli anni del rapporto. Sovviene in proposito la nota questione della differenza che intercorre tra la situazione giuridica che nasce da un matrimonio e quella che nasce da una convivenza more uxorio; ci sono oggi profili di diritti e di obblighi che coincidono con quella matrimoniale ma altri che se ne differenziano.

E d’altra parte il c.d. locatore non ha dedotto né chiesto di provare l’esistenza di una sua vocazione professionale o abituale alla locazione dell’appartamento in questione; non è stata dedotta l’esistenza di pregressi o attuali contratti di locazione scritti e registrati verso altri soggetti, con percezione di somme tipicamente locatizie.

Da tutto quanto sopra esposto discende che il c.d. locatore non può qualificarsi “locatore” nel suo termine proprio giuridico; i dati di fatto probatori valutati ricorrendo anche alle presunzioni (artt. 2727 – 2729 cod. civ.) portano a ritenere in modo univoco che il c.d. locatore non abbia avuto nel passato e non abbia ad oggi di mira una finalità tipicamente lucrativa nella gestione dell’appartamento in questione qualificabile “locazione”; e dunque egli non è nella posizione giuridica equiparabile a quella del “locatore” bensì è in quella posta un gradino al di sotto dello schema tipico massimo previsto dal nostro ordinamento.

In argomento, al fine di individuare la giusta somma spettante al c.d. locatore, soccorre in diritto quanto affermato acutamente da Cass. n. 15111\013 secondo cui il danno patrimoniale da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa; esso è un danno-conseguenza ed “”… il danneggiato è tenuto a provare di aver subito una effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad esempio locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi precise e concordanti (Cass. n. 378\05) …””. Prosegue la Corte: ““l’impostazione del danno in re ipsa non è sostenibile. Ed invero sostenere ciò significa affermare la sussistenza di una presunzione in base alla quale una volta verificatosi l’inadempimento appartiene alla regolarità causale la realizzazione del danno patrimoniale oggetto della domanda risarcitoria, per cui la mancata conseguenza ditale pregiudizio debba ritenersi come eccezionale. Così operando si pone a carico del convenuto inadempiente l’onere della prova contraria all’esistenza del danno in questione, senza che esso sia stato provato dall’attore. …. Diverso è il punto che tale danno può essere provato anche per presunzioni … con apprezzamento di fatto che ove adeguatamente motivato sfugge al sindacato di legittimità … la censura per vizio di motivazione non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito … restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo a vizio di omesso esame di un punto decisivo (cfr. Cass. n. 10847\07) …””.

Questo Giudice aderisce a detta impostazione.

Cass. n. 1422\012 la cui massima appare di segno contrario (nel senso che viene affermato che l’esistenza del danno in re ipsa costituisce una presunzione iuris tantum) non è però nella realtà incompatibile con la predetta altra sentenza posto che si afferma che detta presunzione “…non può operare ove risulti positivamente accertato che il dominus si sia intenzionalmente disinteressato dell’immobile ed abbia omesso di esercitare su di esso ogni forma di utilizzazione…”

Quanto a Cass. n. 24100\011 che ribadisce l’esistenza di una presunzione semplice costituita dal valore locativo di mercato del bene va rilevato che essa afferisce, leggendone la motivazione, ad una vicenda storica molto diversa da quella in esame in quanto lì era in gioco il risarcimento del danno connesso alla inesecuzione di un preliminare di compravendita ed alla simulazione di una compravendita in danno del promissario acquirente. Qui, si ripete, il rapporto è sorto e si e sviluppato nel corso del tempo su un piano di mero fatto.

1.2.3. Tirando le fila del discorso può affermarsi che in base alle reciproche allegazioni e deduzioni va da un lato escluso un animus del c.d. locatore di concedere l’utilizzo dell’immobile in modo gratuito; dall’altro va esclusa la parametrabilità del danno richiesto a quello richiedibile da un soggetto che locatore sia a tutti gli effetti di legge. In casi come quello in esame occorre fondatamente partire da norme opposte a quella di cui all’art. 1591 cod. civ.; occorre trovare un criterio di regolazione che si fondi, come più sopra evidenziato, sulle norme regolanti rapporti di mero fatto. In tale prospettiva sovviene come norma di riferimento prioritario quella dell’arricchimento senza causa di cui all’art. 2041 cod. civ. In base a detta norma è possibile procedere ad una liquidazione equitativa della somma dovuta, consentita e doverosa ex artt. 1223, 1226 e 2056 cod. civ.

In proposito appare utile la massima di cui a Cass. n. 18785\05 reperita dal sistema Italgiure: “”Ai fini dell’indennizzo dovuto per l’arricchimento senza causa, l’art. 2041 cod. civ. considera solo la diminuzione patrimoniale subita dal soggetto e non anche il lucro cessante, che è altra componente, separata e distinta, del danno patrimoniale complessivamente subito alla stregua dell’art. 2043 cod. civ., ma espressamente escluso dall’art. 2041 cod. civ. Ne consegue che l’azione di arricchimento è ammissibile solo limitatamente a quanto un soggetto abbia fatto proprio, apportando contemporaneamente una diminuzione patrimoniale all’altro soggetto””.

Approfondendo lo studio di detta sentenza si riporta stralcio della motivazione: “”…

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. per erronea esclusione del lucro cessante dalla diminuzione patrimoniale e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla correlazione fra diminuzione ed arricchimento prevista nell’art. 2041 c.c.. Il motivo va disatteso, avendo la Corte d’appello di Catanzaro congruamente motivato l’esclusione del lucro cessante dall’indennizzo dovuto ai sensi dell’art. 2041 c.c. per la diminuzione patrimoniale subita. È infatti fuor di dubbio che il dettato dell’art. 2041 c.c. ai fini dell’indennizzo dovuto per l’arricchimento senza causa considera solo la diminuzione patrimoniale subita dal soggetto e non anche il lucro cessante che è altra componente separata e distinta dal danno patrimoniale complessivamente subito da un soggetto, risarcibile – come si fa notare da parte resistente – alla stregua dell’art. 2043 c.c. ma espressamente escluso dall’art. 2041 c.c.. Dottrina e giurisprudenza (cfr. Cass. n. 1992/69), del resto, ritengono che nel concetto di “danno” di cui all’art. 2041 c.c. non rientra il mancato guadagno. Altrettanto fuor di dubbio è inoltre che il quantum dovuto all’impoverito che propone vittoriosamente l’azione di ingiustificato arricchimento consiste nella minor somma tra l’arricchimento di chi si è avvantaggiato della prestazione senza causa e il danno, inteso, ripetesi, solo come diminuzione patrimoniale, subito da chi è stato impoverito. Secondo il corrente indirizzo giurisprudenziale, fatto proprio dalla sentenza impugnata, l’indennizzo dovuto, infatti, alla stregua della lettera dell’art. 2041 c.c, è soggetto ad un duplice limite: quello dell’arricchimento e quello della correlativa diminuzione patrimoniale. Non è, cioè, come precisa la stessa sentenza impugnata, l’intero arricchimento che la legge prende in considerazione, ma solo quello corrispondente al danno o pregiudizio subito dall’altro soggetto; e non è l’intero pregiudizio che può essere risarcito, ma solo quello corrispondente ad un profitto o vantaggio dell’arricchito. La diminuzione patrimoniale, quindi, che può formare oggetto di indennizzo è soltanto quella effettiva, corrispondente, nel caso che occupa, all’importo di quanto effettivamente è costata l’addizione apportata al fondo, con esclusione di ogni e qualsiasi altra somma aggiuntiva, sempre, comunque, nei limiti della locupletazione ricevuta dall’altra parte: c.d. “minor somma” tra arricchimento e diminuzione patrimoniale. A tali criteri sui quali si fonda la sentenza impugnata (che ha pure tenuto conto della più recente Cass. n. 5021/1997) parte ricorrente oppone una soggettiva diversa interpretazione dell’istituto in esame, che non vale ad inficiare la bontà della sentenza stessa, attesa la assoluta correttezza giuridica e la coerenza logico-formale del ragionamento effettuato dalla Corte catanzarese nell’assumere la decisione de qua.””.

E sovvengono anche altre pronunce della suprema Corte che vieppiù analizzano la questione e contribuiscono alla soluzione del presente caso.

Così Cass. SU n. 23385\08: “”… In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto di opere (nella specie perché annullato dal Giudice Amministrativo), tra la P.A. (nella specie un Comune) ed un privato (nella specie un consorzio di cooperative), l’indennità prevista dall’art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto, non può farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall’esecuzione del contratto, la quale, non può costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto (Principio enunciato dalle Sezioni Unite, in fattispecie antecedente alla legge 24 aprile 1989, n. 144, risolvendo un contrasto in riferimento ai criteri di calcolo dell’indennizzo ex art. 2041 cod. civ.).

Ed ancora Cass. SU n. 1875\09: “” In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto d’opera tra la P.A. ed un professionista, l’indennità prevista dall’art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. Pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista che partecipi, in assenza di valido contratto, ad una commissione comunale per l’affidamento di determinati lavori, non possono essere assunte come parametro le tariffe professionali (ancorché richiamate da parcelle vistate dall’ordine competente), alle quali può ricorrersi solo quando le prestazioni siano effettuate dal professionista in base un valido contratto d’opera con il cliente, mentre è congruo il riferimento alle somme previste per i “gettoni di presenza” spettanti ai componenti di commissione (nella specie ai sensi del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 5)””.

Alla luce di tutto quanto esposto appare conforme a giustizia secondo prudente apprezzamento del caso concreto e sulla scorta del fatto notorio sulla situazione economica nel territorio romano individuare in euro 400 mensili la somma dovuta per l’occupazione dell’immobile in questione fino al suo rilascio.

Vanno altresì riconosciuti gli interessi legali dalle singole scadenze sino al soddisfo.

Vanno decurtati gli euro 492 pagati all’udienza 31.5.2013.

1.2.4. Per quanto attiene alle spese patite dal c.d. conduttore per la c.d. registrazione presso l’Agenzia delle Entrate va rilevato che esse non spettano in restituzione in quanto sono state eseguite in esecuzione di un comportamento che è privo di efficacia giuridica verso l’altro soggetto, il c.d. locatore, perché trattasi di registrazione di un contratto verbale di locazione, come tale radicalmente nullo ed improduttivo di effetti nei confronti dell’uno come dell’altro soggetto coinvolto nel contatto sociale in questione.

2. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i nuovi parametri introdotti con decreto ministeriale del 2014 in ragione della metà quanto a compenso professionale, soccorrendo gravi e fondati motivi per compensare l’altra parte relativa al compenso professionale stante la complessità delle questioni e delle valutazioni in fatto ed in diritto operate. Spese attribuite al difensore del ricorrente in quanto dichiaratosi anticipante in sede di note autorizzate conclusive\riepilogative dep. il 17.7.2014.

P.Q.M.

il TRIBUNALE di ROMA, definitivamente pronunciando in primo grado, così provvede:

accoglie per quanto di ragione la domanda e condanna V. D. all’immediata restituzione dell’immobile sito in Roma loc. Acilia OMISSIS in favore di D. M. nonché al pagamento di euro 400,00 mensili a decorrere da giugno 2013 e sino al rilascio del bene oltre interessi legali dalle singole scadenze sino al saldo. Dichiara la compensazione con gli euro 492 pagati il 31.5.2013. Condanna V. al pagamento della metà delle spese di lite che si liquidano in euro 160,00 per spese ed euro 2.400,00 per compenso professionale oltre rimborso forfetario del 15% per spese generali, C.P.A. ed I.V.A. nella misura di legge. Dichiara compensata l’altra metà delle spese di lite.

Dispositivo e motivazione letti all’udienza del 1 ottobre 2014.

Il Giudice
dott. cons. Francesco Ranieri

 

Fonte: altalex

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