E’ irrilevante la circostanza che gli originari atti di provenienza qualifichino la strada come di proprietà privata, atteso che, al fine della sussistenza di un uso pubblico, non è necessaria la proprietà pubblica, essendo sufficiente la costituzione di una servitù di uso pubblico sulla stessa derivante dal protrarsi dell’utilizzo della via da parte di un numero indeterminato di persone da tempo immemore.
Con riguardo alla verifica della connotazione di “strada pubblica” di una via del territorio comunale, sono fattori indicativi dell’uso pubblico: la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di interesse generale; la presenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, implicante l’inserimento della strada nella rete viaria cittadina, ovvero identificabile nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile; l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico, iscrizione che non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa della p.a., ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 11 marzo – 30 aprile 2014, n. 2269
Presidente Maruotti – Estensore Lotti

Fatto

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Brescia, Sez. I, con la sentenza 16 aprile 2003, n. 437 ha respinto il ricorso n. 3313 del 2003, proposto dall’attuale appellante per l’annullamento del provvedimento del Responsabile comunale 3 febbraio 2003, n. 699, contenente l’ordine di non esecuzione delle opere indicate nella D.I.A. n. 227-02.
Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che l’art. 4 della L. 4 dicembre 1993, n. 493, di cui si è fatta applicazione, stabilisce che, a fronte di presentazione di denuncia di inizio attività da parte dell’interessato, l’Amministrazione possa sospenderne l’efficacia entro il termine di venti giorni, il quale può essere interrotto ai fini dell’acquisizione di documenti o di delucidazioni rilevanti; nella specie, l’Amministrazione comunale ha rispettato il suddetto termine, atteso che, a fronte di presentazione della D.I.A. in data 16 dicembre 2002, il 2 gennaio 2003 essa ha chiesto integrazione documentale, alla quale le istanti hanno provveduto in data 16 gennaio 2003, ed il 3 febbraio 2003 ha emesso l’atto impugnato.
Inoltre, per il TAR, la strada, rispetto alla quale le ricorrenti hanno dichiarato di voler procedere ad ampliamento dell’accesso carraio ed all’apposizione di un cancello elettrico, rappresenta una via sottoposta a pubblico passaggio, come dichiarato dagli stessi abitanti del quartiere, peraltro, di collegamento del quartiere con la strada provinciale n. 82, secondo quanto si ricava inequivocabilmente dalle mappe versate in atti.
L’appellante contestava la sentenza del TAR riproponendo, come assorbente, il terzo motivo di ricorso di primo grado e deducendo che la strada oggetto del giudizio non sarebbe affatto destinata ad uso pubblico, in quanto mancherebbero tutti gli indici contemporaneamente necessari per la qualificazione pubblica.
Inoltre, la società riproponeva comunque anche gli altri motivi di ricorso non accolti dal TAR.
Con l’appello in esame, quindi, si chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si costituivano l’Amministrazione appellata chiedendo il rigetto dell’appello, nonché il signor Lanzini Renato, evocato in giudizio dall’appellante.
All’udienza pubblica dell’11 marzo 2014 la causa veniva trattenuta in decisione.

Diritto

Rileva il Collegio che la vicenda in esame trae origine dalla denuncia di inizio attività in data 16 dicembre 2002 con cui l’attuale appellante, unitamente alla Asfalti Sebina S.r.l. , comunicava al Comune di Villongo che avrebbe proceduto all’allargamento dell’accesso di una strada privata affacciante, in entrambi i capisaldi, sulla S.P. n. 82 “Credaro-Gandosso”, traversa interna all’abitato, nonché ad ivi apporre un cancello di chiusura.
Con nota del 2 gennaio 2003 il Comune aveva informato le citate Società circa l’incompletezza della documentazione, precisando già in quella sede che l’intervento non era ammissibile, poiché nel vigente P.R.G. l’area è destinata a tracciato stradale esistente ed è soggetta ad uso pubblico, sia carraio che pedonale (come attestato dalla sottoscrizione, pervenuta in data 5 novembre 2002, di n. 401 persone che hanno dichiarato di transitarvi regolarmente); inoltre, agli atti del Comune la strada risultava priva di cancello di ingresso sin dal momento della sua realizzazione, permettendovi il transito generalizzato.
Dopo l’integrazione documentale effettuata dagli istanti e pervenuta in data 16 gennaio 2003, seguiva la delibera della Giunta municipale n. 3 del 30 gennaio 2003, con la quale si prendeva atto del regime pubblico della strada in esame, anche sulla scorta di precedenti interventi manutentivi eseguiti a suo tempo dal Comune e dall’essere la strada attraversata da reti tecnologiche pubbliche (acquedotto, fognatura, reti Enel e Telecom).
Premessa la situazione di fatto e passando al merito dell’appello, ritiene il Collegio che lo stesso sia infondato.
Preliminarmente, deve essere disposta l’estromissione dal giudizio del signor Lanzini Renato, che non è né comproprietario né titolare di un diritto di servitù su detta strada in relazione alla quale non riveste alcuna posizione giuridica qualificata tale da legittimarlo passivamente alla partecipazione al presente giudizio.
Il signor Lanzini, infatti, è stato soltanto il promotore di una raccolta di firme e di una petizione per l’accertamento dell’uso pubblico della via Camozzi rivolta al Comune di Villongo.
Estromesso il signor Lanzini, non potrebbe discendere comunque l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica ad almeno uno dei controinteressati, poiché i “controinteressati” che sarebbero individuabili nei sigg. Lanzini Mario e Scattini Maddalena, in quanto comproprietari della via Camozzi, e nelle ditte Calzificio Sebino e Costa Gomme di Costa Mauro (oggi Banca italease Spa acquirente, come da visura depositata in atti da parte del convenuto Lanzini), in quanto titolari della servitù di passo, non possono ritenersi tali in senso tecnico, non venendo la presente decisione ad incidere sul loro interesse come appena specificato (proprietà della via Camozzi e titolari della servitù di passo che rimarrebbero integralmente preservate).
Nel merito, si deve rilevare invece che il ricorso è infondato.
Infatti, in primo luogo, si deve considerare che le dichiarazioni pervenute in data 5 novembre 2002, di n. 401 persone che hanno asserito di transitare regolarmente su detta strada, non costituiscono la ratio decidendi, ma mero elemento indiziario a sostegno della tesi del Comune che fa leva, come si evince dalla predetta comunicazione di integrazione istruttoria del 2 gennaio 2003 (e come richiamato dalla delibera della Giunta municipale n. 3 del 30 gennaio 2003), sulle diverse circostanze del collegamento di detta strada, nei due capisaldi, con una via pubblica quale la traversa interna della Strada provinciale n. 82 “Credaro-Gandosso”; del non essere stata tale strada mai interclusa, sin dalla sua costruzione, da alcun cancello, permettendo così il transito alla generalità dei consociati; e dal fatto, quindi, che la via era ed era sempre stata de facto aperta alla circolazione del pubblico sia carraio che pedonale.
Pertanto, la tesi dell’appellante – secondo cui rileverebbe il fatto della mancata inclusione di detta strada nella categoria delle vie pubbliche – deve ritenersi erronea, posto che è la parte appellante a non avere esaudito la prova, a suo carico incombente, circa l’uso privato della strada in contestazione, a prescindere dalle due sentenze civili intervenute sul punto, da parte del Tribunale di Bergamo 30 giugno 2006, n. 117 e della Corte d’appello di Brescia 20 dicembre 2012, n. 1502- cfr. doc. 8 Lanzini) che non sono entrate nel merito sulla domanda formulata dall’attuale appellante per la dichiarazione della natura privata della strada.
L’appellante, quindi, non ha in alcun modo provato le proprie affermazioni, limitandosi a contestare genericamente quanto rilevato dal Comune, senza fornire alcuna convincente documentazione a supporto delle proprie asserzioni.
Irrilevante è, peraltro, la circostanza che gli originari atti di provenienza qualifichino la strada come di proprietà privata, atteso che, al fine della sussistenza di un uso pubblico, non è necessaria la proprietà pubblica, essendo sufficiente la costituzione di una servitù di uso pubblico sulla stessa derivante dal protrarsi dell’utilizzo della via da parte di un numero indeterminato di persone da tempo immemore.
Come è noto, con riguardo alla verifica della connotazione di “strada pubblica” di una via del territorio comunale, sono fattori indicativi dell’uso pubblico: la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di interesse generale; la presenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, implicante l’inserimento della strada nella rete viaria cittadina, ovvero identificabile nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile; l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico, iscrizione che non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa della p.a., ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4952).
Nel caso di specie, dunque, sussiste indubbiamente un uso generalizzato da parte della collettività, transitando sulla stessa sia i cittadini di Villongo che quelli dei comuni limitrofi.
Sussiste, inoltre, l’idoneità della via a soddisfare esigenze di carattere generale, fungendo la stessa da collegamento con la strada provinciale.
In proposito, giova osservare che non è prospettabile che la strada in questione soddisfi unicamente le esigenza produttive del comparto industriale racchiuso tra la strada provinciale n. 82 e via Betty Ambiven, atteso che dalle mappe catastali in atti si desume, invece, come la via in questione funga da collegamento tra due tronconi della medesima strada provinciale, facilitandone quindi l’acceso quanto meno per i residenti della zona adiacente a quella industriale e per gli abitanti dei paesi limitrofi che così godono di un accesso più rapido e diretto alla SP 82.
Sussiste, infine, un titolo valido a sorreggerne l’uso, rappresentato dall’utilizzo da tempo immemore da parte della collettività, stante la mancata apposizione di qualsivoglia barriera privata, come ammette lo stresso appellante, e stante la presenza da tempo di plurime opere infrastrutturali inequivocabilmente pubbliche.
Peraltro, non sono prospettabili altre prove sul punto, atteso che in tema di dimostrazione del possesso ab immemorabile, l’istituto si caratterizza per una risalenza nel tempo di situazioni fattuali, da cui si presume l’esistenza di un titolo legittimo corrispondente, delle quali tuttavia non vi è traccia documentale, ossia di una situazione “cuius memoria non extat”.
Ne consegue che non può esigersene una prova diversa dalla situazione di fatto in sé e per sé considerata (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 8 novembre 2013, n. 5337).
Anche l’altra censura riproposte dall’appellante in via subordinata (in particolare la seconda del ricorso di primo grado, poiché la prima non risulta specificamente riproposta) è infondata.
Infatti l’art. 4 della l. 4 dicembre 1993, n. 493, applicabile nella specie, stabilisce che, a fronte di presentazione di denuncia inizio attività da parte dell’interessato, l’Amministrazione possa sospenderne l’efficacia entra il termine di venti giorni, il quale può essere interrotto ai fini dell’acquisizione di documenti o delucidazioni rilevanti; sospensione possibile una sola volta e del tutto ragionevole, in considerazione del fatto che, tramite la D.I.A., si consente un attività ancora sottoposta a regime amministrativo per il solo fatto della dichiarazione presentata all’Amministrazione.
Peraltro, per analogia l’art. 21-quater, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui dispone che la sospensione dell’efficacia di un provvedimento amministrativo deve avere un termine certo e può essere prorogata una sola volta, introduce un principio generale, applicabile anche all’esercizio del potere di controllo inibitorio sulla SCIA (e sulla DIA), sebbene sia atto di natura privata.
Soltanto ai sensi delle previsioni contenute nell’art. 23, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in caso di denuncia di inizio attività (DIA edilizia, oggetto di specifica e speciale considerazione legislativa) contrastante con disposizioni legislative o regolamentari, l’amministrazione comunale non può adottare provvedimenti di sospensione, ma deve direttamente inibire l’intervento denunciato.
Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in misura diversa in ragione dell’entità degli scritti difensivi.
Deve essere precisato che il principio della soccombenza può riguardare anche la posizione processuale della parte estromessa, illegittimamente evocata in giudizio, poiché la sentenza definitiva di estromissione dal giudizio di un soggetto privo di legittimazione passiva ha il valore di una pronuncia di rigetto della domanda proposta contro tale soggetto, e, quindi, esaurendo nei confronti di questo la materia del contendere, deve provvedere al regolamento delle spese del relativo rapporto processuale (cfr. Cassazione civile, sez. II, 26 marzo 2013, n. 7625).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamentepronunciando sull’appello n. 6518 del 2003, come in epigrafe proposto, dispone l’estromissione dal giudizio della parte appellata Lanzini Renato e respinge l’appello.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese in favore del signor Lanzini Renato, spese che liquida in euro 4000,00, oltre accessori di legge, e delle spese in favore del Comune costituito, spese che liquida in euro 2500,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

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