In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’art. 1490 cod. civ., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di “facere”, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’art. 2936 cod. civ., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’art. 1495 cod. civ., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 26 marzo – 6 giugno 2014, n. 12802
Presidente Oddo – Relatore Scalisi

Svolgimento del processo

C.A. , C.C. , C.P. e Q.I. con atto di citazione del febbraio 1993 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino la società Co.Gi.To srl, per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a causa del mancato rilascio del certificato di abitabilità della camera da letto dell’immobile bilocale in (omissis) , acquistato dagli attori dalla società convenuto con rogito del 19 dicembre 1990.
Si costituiva la società convenuta chiedendo il rigetto della domanda per intervenuta decadenza e prescrizione dell’azione ex art. 1495 cc.
Espletata Ctu, completata l’istruttoria, il Tribunale di Torino con sentenza n. 5943 del 2005 respingeva la domanda dichiarando prescritto il diritto degli attori e compensava le spese giudiziali mentre poneva a carico di entrambe le parti il costo della Ctu.
Avverso questa sentenza proponevano appello gli attori chiedendo la riforma integrale della sentenza di primo grado e l’accoglimento delle domande spiegate con l’atto di citazione, per tre motivi: 1) perché i termini di decadenza e di prescrizione di cui agli artt. 1490 e 1497 cc. non si applicavano alla domanda degli attori trattandosi di vendita aliud prò alio; 2) in caso di applicabilità della normativa relativa alla decadenza e alla prescrizione, comunque, era errata l’individuazione del dies a quo; 3) in ogni caso i termini di cui si è detto non erano applicabili all’azione degli attore essendo intervenuto il riconoscimento del vizio da parte della società.
Si costituiva la società Co.Gi.To chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato e, in via riconvenzionale, chiedeva la riforma della sentenza in ordine alla compensazione delle spese ed al costo della Ctu da porre a carico di parte soccombente.
La Corte di appello di Torino con sentenza n. 12 del 2008 accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, condannava la società Co.Gi.To al pagamento della complessiva somma di Euro 5.807,75, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo. Condannava la società appellata al pagamento delle spese giudiziali di entrambi i gradi e poneva a suo carico anche il costo della Ctu. A sostegno di questa decisione la Corte torinese osservava: a) Il caso in esame non era riconducibile ad un’ipotesi di vendita aliud pro alio, perché la vendita di aliud pro alio è configurabile solo nell’ipotesi in cui la cosa compravenduta appartenga ad un genere totalmente diverso da quello costituente oggetto del contratto e nel caso di compravendita di immobile da adibire a civile abitazione solo se manca del tutto il certificato di abitabilità.
Ora, nel caso in esame, il certificato di abitabilità sussisteva per il fabbricato di cui trattasi ma non per la camera dell’unità immobiliare n. 5 al piano primo avente un’altezza inferiore a metri 2.55. b) posto che il comune di (OMISSIS) si era definitivamente pronunciato sull’abitabilità del fabbricato ristrutturato dalla società venditrice rilasciandolo solo parzialmente ad esclusione di alcuni vani tra cui quello degli appellanti, il dies a quo per il termine di decadenza e di prescrizione doveva farsi risalire a quella data.
Pertanto il termine annuale della prescrizione era stato rispettato, considerato che l’atto di citazione era stato notificato nel febbraio 1993. c) tuttavia, assorbente era il terzo motivo di appello, considerato che la società venditrice aveva riconosciuto il vizio di cui si dice, impegnandosi ad eliminarlo anche in corso di causa.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società Co.Gi.To srl, con ricorso affidato a sei motivi. C.A. , C.C. , C.P. e Q.I. hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1.- La società Co.Gi.To srl lamenta:
a) Con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1492, 1495 e 1497 cc. Contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia: la conoscenza della mancanza del certificato di abitabilità dell’immobile. Avrebbe errato la Corte di Torino, secondo la ricorrente, nell’aver ritenuto che gli appellanti non erano incorsi in alcuna decadenza dall’azione di cui all’art. 1495 cc, perché l’azione risarcitoria per inadempimento era chiaramente e pacificamente esperibile già al rogito, o almeno dal 28 ottobre 1991, cioè, dalla data in cui gli odierni resistenti diffidavano la società Co.Gi.To ad adempiere all’obbligazione in ordine al rilascio del permesso di abitabilità. Non vi è dubbio, secondo il ricorrente, che gli odierni resistenti fossero a conoscenza della mancanza del certificato di abitabilità dal rogito e comunque dal 28 ottobre 1991 e l’azione giudiziale è stata intrapresa nel febbraio 1993. Per altro, proprio per questa considerazione, risulta evidente l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza contro cui qui si ricorre in ordine alla decorrenza dei termini di prescrizione dell’azione ex art. 1495 cc.
Ciò posto, la ricorrente conclude formulando il seguente quesito di diritto:
Ricorre violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1495 cc, se il termine di prescrizione dell’azione in ipotesi di vendita di immobile privo di certificato di abitabilità è fatto risalire al provvedimento di diniego del suddetto certificato da parte del Comune, anziché alla data di stipula del rogito di compravendita o a quella do formale diffida a rilasciare il suddetto certificato formulata dall’acquirente?.
b.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 4 del DPR 425/1999.
Insufficiente ed erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia: certificato di abitabilità rilasciato ai sensi del DPR 425/1999.
Secondo la ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che nel caso di specie i locali oggetto della presente controversia avessero acquisito l’agibilità in forza dell’art. 4 comma 3 del DPOR 425/1994. Chiarisce la ricorrente che, in ragione della normativa richiamata in caso di silenzio dell’amministrazione comunale l’abitabilità si intende attestata se trascorsi quarantacinque gironi dalla data di presentazione della domanda. Nel caso in esame la domanda per l’attestazione di abitabilità era stata presentata il 19 giugno 2001 e non avendo dato, il Comune, alcuna comunicazione, né richiesto integrazioni documentali in data 3 agosto 2001 trascorsi quarantacinque giorni l’abitabilità, doveva ritenersi attestata.
Sul punto la decisione impugnata, sempre secondo la ricorrente sarebbe viziata con riferimento al difetto di motivazione e, comunque, alla sua erroneità sul punto dell’intervenuto riconoscimento dell’abitabilità ai locali de quibus a seguito della presentazione della relativa domanda.
Ciò posto, la ricorrente conclude formulando il seguente quesito di diritto:
Ricorre violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 del DPR 425 del 1994 se a seguito della proposizione di una domanda di rilascio del certificato di abitabilità di locali oggetto di concessione in sanatoria il Comune, decorsi quarantacinque giorni senza chiedere integrazioni documentali né disporre ispezioni, rifiuti successivamente, il rilascio del suddetto certificato o sostenga comunque che l’abitabilità non possa intendersi attestata?
c.- Con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1494, 1223, 2697 cc. Difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia: la sussistenza di un danno risarcibile in capo ai sigg. C. Q. . Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe riconosciuto un danno, ai sigg. C. e Q. senza alcuna constatazione o verifica di effettivo pregiudizio in capo ai resistenti. Piuttosto non esiste alcuna prova che gli acquirenti avessero subito un danno considerato anche i sigg. C. e Q. avevano acquistato l’immobile nello stato, di fatto di diritto, in cui si trovava.
Ciò posto la ricorrente conclude formulando il seguente quesito di diritto:
Ricorre violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1495, 1223, 2697 cc, se a fronte della mancanza di agibilità parziale dei locali venga riconosciuto automaticamente un risarcimento ai nudi proprietari e agli usufruttuari dell’immobile pur in assenza di deduzione e prova di specifici profili di danno?.
d.- Con il quarto motivo, il difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia: l’impossibilità di ottenere l’agibilità del vano adibito a camera da letto. Violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1494,1223, 2697 cc, sotto altro profilo. Secondo la ricorrente, la Corte di Torino ha erroneamente ritenuto che il vano dell’alloggio dei C. Q. non fosse suscettibile di ottenere l’agibilità.
Epperò, la Corte territoriale, sempre secondo la ricorrente, non avrebbe tenuto conto: a) che per un vano simile il Comune aveva successivamente rilasciato l’abitabilità su richiesta della società odierna ricorrente; b) della possibilità pure segnalata del Ctp della Co.G.To di ottenere l’attestazione di abitabilità riducendo la superficie del vano mansardato in contestazione.
Ciò posto, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: Ricorre violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1494, 1223, 2697 cc se ai proprietari di un immobile con vano attualmente privo di abitabilità viene riconosciuto a titolo di risarcimento del danno un importo corrispondente al deprezzamento dell’immobile, anziché al costo necessario per ottenere l’abitabilità del suddetto vano?
e.- Con il quinto motivo, la violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1494, 1223, 2697 cc, sotto altro profilo. Difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia: la sussistenza di un danno risarcibile in capo ai sigg. C.P. e Q.I. . Secondo la ricorrente, la decisione impugnata in ordine al risarcimento del danno sarebbe illegittima anche sotto altro profilo ed, in particolare, perché il risarcimento per deprezzamento sarebbe stato riconosciuto sia ai nudi proprietari e sia agli usufruttuari. Piuttosto, il profilo di danno riconosciuto attiene in tutta evidenza al valore della proprietà e sotto questo aspetto può incidere solo sulla posizione e sul diritto dei nudi proprietari. Risulta, anzi, che la camera da letto sia sempre stata utilizzata come tale e non certo come ripostiglio, pertanto gli usufruttuari, anche, per questo non hanno patito alcun danno, né è stata offerta una prova in tal senso.
La sentenza impugnata, dunque, secondo la ricorrente, presenterebbe un difetto assoluto di motivazione in relazione al riconoscimento del danno, anche in favore di C.P. e di Q.I. usufruttuari dell’immobile oggetto del presente giudizio.
Ciò posto, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: Ricorre violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1494, 1223, 2697 cc, se il risarcimento del danno per deprezzamento dell’immobile a causa della mancanza di abitabilità di un vano venga riconosciuto anche agli usufruttuari, pur in presenza di prova certa circa l’effettivo utilizzo del vano come camera da letto e non come ripostiglio?.
f.- Con il sesto motivo, l’erronea e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia: l’assunzione di un obbligo autonomo per il conseguimento dell’abitabilità del vano adibito a camera da letto. Avrebbe errato la corte di Torino nell’aver ritenuto che l’odierna ricorrente avesse assunto uno specifico e nuovo obbligo di conseguimento del certificato di abitabilità in ordine a tutto l’immobile compravenduto, perché le circostanze poste a fondamento di tale decisione sono erronee e frutto di una ricostruzione poco attenta dei fatti. Le circostanze cui fa riferimento la Corte di Torino sarebbe: a) l’affidamento di un incarico ad un architetto perché risolvesse il problema; b) la presentazione di una domanda di concessione in sanatoria e nuovamente di abitabilità, anche per il vano in contestazione di proprietà C. in data 19 giugno 2001. Epperò, sempre secondo la ricorrente: a) “pare francamente eccessivo”, far discendere un impegno giuridicamente rilevante della Co.Gi.To a far ottenere l’abitabilità del vano adibito a camera da letto, dall’aver dato un incarico ad un architetto con la specifica indicazione “il quale si incaricherà di verificare presso i competenti uffici i presupposti per l’ottenimento dell’abitabilità”; b) La Corte territoriale non avrebbe precisato nemmeno quali sarebbero stati i supposti tentativi posti in essere dalla Co.Gi.To per risolvere il problema dell’abitabilità.
1.1.- Appare opportuno per l’evidente pregiudizialità rispetto agli altri motivi, esaminare in ordine per primo il sesto motivo e successivamente il quinto motivo, ed entrambi sono infondati.
Come afferma la Corte di Torino la società venditrice, attuale ricorrente, ha riconosciuto la sussistenza del vizio, o meglio, la mancanza della qualità dell’abitabilità, seppure per un solo vano, impegnandosi ad eliminarlo anche in corso di causa di primo grado. E tale constatazione, così come ha avuto modo di evidenziare la stessa Corte territoriale, trovava rispondenza in tre dati essenziali: a) che al momento della stipula del rogito era ancora in corso l’iter amministrativo diretto al conseguimento dell’abitabilità dell’intero fabbricato ristrutturato dalla venditrice, attuale ricorrente; b) che al momento dell’assemblea condominiale del luglio 1991 erano emersi problemi circa l’abitabilità e (…..) la società venditrice aveva incaricato un architetto di risolvere il problema; c) in corso di causa di primo grado in relazione all’unità abitativa de quo, la stessa società, aveva presentato domanda di concessione in sanatoria e in data 19 giugno 2001, aveva anche presentato (nuova) richiesta di abitabilità che però veniva respinta dal Comune di (OMISSIS) . Lo stesso Comune, per altro, attestava che “a seguito della domanda presentata dalla Co.Gi.To srl il 19 giugno 2001 con la quale si chiede l’abitabilità dei locali a piano primo e mansarda come da concessione in sanatoria n. 7 del 23 maggio 1997(….)”.
Ora posto che – com’è affermazione pacifica in dottrina e nella stessa Giurisprudenza – è concludente ogni comportamento che, pur non costituendo mezzo di linguaggio, secondo la valutazione delle circostanze cui si accompagna, presuppone o lascia presupporre, l’esistenza di un implicito intento negoziale, i dati valutati dalla Corte territoriale non lasciano dubbi che il comportamento mantenuto dalla società venditrice, attuale ricorrente, integrasse gli estremi di un comportamento concludente che comportava, comunque, la promessa del venditore di voler provvedere a risolvere il problema dell’abitabilità di cui si dice. Alle dette valutazioni, in verità, la ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
1.1.a) Pertanto, ed in definitiva, alla luce di quanto detto, appare del tutto corretta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui il comportamento della società venditrice, così come identificato, rendeva l’azione, di garanzia ex art. 1495 cc. non più assoggettabile ai termini prescrizionali e di decadenza previsti. Così come appare corretta e conforme alla costante giurisprudenza di legittimità, l’ulteriore affermazione della Corte di Torino secondo la quale le risultanze probatorie dimostravano che la società venditrice, attuale ricorrente, aveva assunto per facta concludentia, un’autonoma ed ulteriore obbligazione diretta a far conseguire l’abitabilità dell’unita immobiliare venduta come bilocale ed, in particolare, del vano adibito a camera da letto.
Un’obbligazione, questa, che non era più soggetta ai termini di decadenza e di prescrizione stabiliti dall’art. 1495 cc, per le azioni redibitorie e quanti minoris, ma soggetta soltanto alla prescrizione decennale, che nel caso in esame non era maturata.
È sufficiente al riguardo richiamare l’orientamento pacifico di questa Corte (cfr. Cass. Sez. U. n. 19702 del 2012) secondo cui in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’art. 1490 cod. civ., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di “facere”, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’art. 2936 cod. civ., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’art. 1495 cod. civ., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale.
2 – Infondato è anche il quinto motivo. La Corte territoriale ha individuato e liquidato un danno tenuto conto della minore abitabilità dell’immobile. Ora tale deprezzamento non solo incide sul valore della nuda proprietà ma anche sul valore dell’usufrutto. Non vi è, infatti, dubbio che il deprezzamento dell’immobile di cui si dice ha una diretta incidenza sul valore di mercato anche del diritto di usufrutto nel caso di cessione ex art. 980 cc. Pertanto correttamente la Corte territoriale ha riconosciuto il risarcimento per deprezzamento dell’immobile agli appellanti, ovvero unitariamente ai nudi proprietari (C.A. e C.C. ) e agli usufruttuari (C.P. e Q.I. ):
3.- Gli altri motivi del ricorso, come è agevole apprendere, rimangono assorbiti dal rigetto del quinto e del sesto motivo.
In definitiva, vanno rigettati il quinto e il sesto motivo e dichiarati assorbiti gli altri, la ricorrente, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 cpc, condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

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