Se lo scopo specifico della locazione non è quello di esercitare nell’immobile locato una casa di prostituzione, ipotesi sanzionata dall’art. 3 n. 2 legge 75/1958, la condotta del locatore non si concreta in un aiuto alla prostituzione esercitata dalla locataria, risolvendosi nella mera conclusione di un contratto attraverso la quale la donna realizza il proprio diritto all’abitazione. Si rileva, inoltre, che il negozio giuridico riguarda la persona e le sue esigenze abitative, e non anche la attività di prostituta esercitata e, sebbene ciò agevoli indirettamente anche la prostituzione, tale rapporto indiretto non può essere incluso nel nesso causale penalmente rilevante tra condotta dell’agente e l’evento di favoreggiamento della prostituzione, perché l’evento del reato non è la prostituzione stessa, ma l’aiuto alla prostituzione, che implica una condotta, da parte dell’agente, di effettivo ausilio per il meretricio, che non sussiste nel caso in cui la prostituzione sarebbe stata comunque esercitata in condizioni sostanzialmente equivalenti.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 – 17 marzo 2014, n. 12347
Presidente Squassoni – Relatore Ramacci
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Ancona, con sentenza del 28.1.2013 ha parzialmente riformato la decisione in data 21.1.2009 del Tribunale di Ascoli Piceno e, in accoglimento dell’appello del Procuratore Generale, ha applicato a B.R. , riconosciuto responsabile del delitto di cui agli artt. 3 e 4 legge 75/1958, la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia agricola per anni uno, confermando nel resto la decisione impugnata.
Avverso tale pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce il difetto di motivazione in relazione alla specifica impugnazione dell’ordinanza dibattimentale emessa in primo grado il 9.7.2008 e concernente il diniego di un rinvio per legittimo impedimento del difensore.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta il medesimo vizio con riferimento all’impugnazione dell’ordinanza con la quale il Tribunale aveva acquisito le dichiarazioni di una teste ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. nonostante la reperibilità della stessa.
Lamenta, inoltre, che la Corte territoriale avrebbe omesso di rispondere a specifiche doglianze mosse con l’atto di appello e concernenti la congruità del canone di locazione percepito per appartamenti ubicati in zona turistica e l’ignoranza, da parte sua, circa l’esercizio del meretricio delle locatarie all’interno degli immobili.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
Oggetto delle doglianze prospettate in ricorso è la mancanza, nel provvedimento impugnato, di idonea motivazione riguardo alle censure formulate con l’atto di appello alla decisione di primo grado, cosicché i due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.
Va rilevato, in primo luogo, che nel fascicolo processuale sono rinvenibili due distinti atti di appello, il primo, datato 5.1.2009 e depositato il 7.1.2009, attinente al merito della vicenda, mentre il secondo, datato 21.1.2009 e depositato in pari data, richiama i contenuti del precedente e concerne specificamente le due ordinanze dibattimentali menzionate in ricorso.
Solo tale ultimo atto di impugnazione viene espressamente richiamato nella sentenza impugnata, nella quale si fa, infatti, riferimento, ad “atto depositato il 21 gennaio 2009”, sebbene, nell’illustrare i singoli motivi, la Corte territoriale si riferisca a quelli dettagliatamente esposti nell’atto depositato precedentemente, il 7.1.2009
Dell’esistenza di due distinte impugnazioni non viene dunque fatto cenno in sentenza, né si rileva alcun riferimento, neppure implicito, alle censure formulate relativamente alle due ordinanze, cosicché la motivazione, sul punto, risulta effettivamente del tutto mancante.
5. L’apparato motivazione risulta parimenti carente laddove, nel confermare la responsabilità del ricorrente per il reato ascrittogli, si pone sostanzialmente a fondamento della decisione il fatto che gli appartamenti venissero locati dall’imputato, agente immobiliare, talvolta “prescindendo da uno specifico consenso dei proprietari”, a donne straniere delle quali gli era nota l’attività di meretrici, come dimostrato dall’aver richiesto canoni che sarebbero giustificati durante la stagione balneare e non anche in altri periodi dell’anno e che, nell’imputazione, vengono quantificati in Euro 600,00 settimanali.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una affermazione di responsabilità basata, sostanzialmente, su una presunzione di eccessiva onerosità del canone di locazione praticato, priva di alcuna ulteriore specificazione.
La laconica affermazione, inoltre, non pare idonea a fornire adeguata risposta alle puntuali doglianze mosse con l’atto di appello.
6. È ben vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in sede di legittimità non può muoversi censura ad una sentenza la quale, pur non prendendo espressamente in esame una deduzione prospettata con l’atto di impugnazione, evidenzi comunque una ricostruzione dei fatti che implicitamente, ma in maniera adeguata e logica, ne comporti il rigetto (Sez. II n. 33577, 1 settembre 2009; Sez. II n. 29434, 6 luglio 2004), tuttavia nella motivazione in esame manca ogni riferimento specifico ai motivi di appello mentre vengono pedissequamente riproposte, sintetizzandole, le argomentazioni sviluppate dal primo giudice.
Va altresì rilevato che le considerazioni svolte dall’appellante meritavano maggiore attenzione anche in considerazione della particolarità della condotta contestata, essendo stata già affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte la questione concernente la responsabilità del locatore di un appartamento ad una prostituta per il reato di cui all’art. 3 l. 75/58.
7. I principi in precedenza affermati sono stati richiamati anche in una recente decisione (Sez. III n.7338, 17.2.2014, non ancora massimata) e meritano di essere qui ricordati ancora una volta.
Si è in quell’occasione ricordato che, in linea generale, il reato di favoreggiamento della prostituzione è perfezionato da ogni forma di interposizione agevolativa e da qualunque attività che, anche in assenza di un contatto diretto dell’agente con il cliente, sia idonea a procurare più facili condizioni per l’esercizio del meretricio e che venga posta in essere con la consapevolezza di facilitare l’altrui attività di prostituzione, senza che abbia rilevanza il movente o il fine di tale comportamento (così Sez. I n. 39928, 29 ottobre 2007).
È dunque sufficiente ad integrare il reato in esame qualsiasi condotta consapevole che si risolva, indipendentemente dal movente dell’azione, in una concreta agevolazione dell’altrui meretricio, anche se si è pure specificato che, affinché possa configurarsi il favoreggiamento della prostituzione, occorre che la condotta materiale concreti oggettivamente un ausilio all’esercizio del meretricio, essendo altrimenti irrilevante l’aiuto che sia prestato solo alla prostituta, ossia che riguardi direttamente quest’ultima e non la sua attività di prostituzione, anche se detta attività ne venga indirettamente agevolata (Sez. III n. 36595, 21 settembre 2012; Sez. III n. 8345, 19 luglio 2000).
Questi principi sono stati ribaditi anche con riferimento ad una ipotesi di accompagnamento in auto della prostituta sul luogo del meretricio, giungendo alla conclusione che, affinché possa configurarsi, in tale contesto, il reato di favoreggiamento della prostituzione, occorre che detta attività risulti funzionale all’agevolazione, appunto, del meretricio, sulla base di elementi sintomatici, quali, ad esempio, la non occasionalità o l’espletamento di attività ulteriori rispetto al suo accompagnamento, quali la sorveglianza, la messa a disposizione del veicolo per l’incontro con i clienti, etc. (Sez. III n. 37299, 11 settembre 2013, cui si rinvia anche per i richiami ai precedenti).
A conclusioni non dissimili si è pervenuti con riferimento alle ipotesi di cessione in locazione di un appartamento a una prostituta nel caso in cui la locazione avvenga a prezzo di mercato, anche se il locatore sia consapevole che la conduttrice vi eserciterà la prostituzione, richiedendosi, per la configurabilità del reato in esame, oltre al mero godimento dell’immobile, anche prestazioni accessorie che esulino dalla stipulazione del contratto ed in concreto agevolino il meretricio, come nel caso di esecuzione di inserzioni pubblicitarie, fornitura di profilattici, ricezione di clienti o altro (Sez. III n. 33160, 31 luglio 2013. Nello stesso senso, Sez. MI n. 28754, 4 luglio 2013).
La richiamata decisione offre una soluzione interpretativa che il Collegio condivide appieno, osservando che se lo scopo specifico della locazione non è quello di esercitare nell’immobile locato una casa di prostituzione, ipotesi sanzionata dall’art. 3 n. 2 legge 75/1958, la condotta del locatore non si concreta in un aiuto alla prostituzione esercitata dalla locataria, risolvendosi nella mera conclusione di un contratto attraverso la quale la donna realizza il proprio diritto all’abitazione. Si rileva, inoltre, che il negozio giuridico riguarda la persona e le sue esigenze abitative, e non anche la attività di prostituta esercitata e, sebbene ciò agevoli indirettamente anche la prostituzione, tale rapporto indiretto non può essere incluso nel nesso causale penalmente rilevante tra condotta dell’agente e l’evento di favoreggiamento della prostituzione, perché l’evento del reato non è la prostituzione stessa, ma l’aiuto alla prostituzione, che implica una condotta, da parte dell’agente, di effettivo ausilio per il meretricio, che non sussiste nel caso in cui la prostituzione sarebbe stata comunque esercitata in condizioni sostanzialmente equivalenti.
La richiamata decisione si addentra peraltro in una puntuale analisi dei precedenti conformi, cui si rinvia, non mancando di specificare come anche quelli talvolta indicati come difformi (si citano, in particolare, Sez. III n. 35373, 24 settembre 2007 e Sez. III n. 8345, 19 luglio 2000) pervengano, in sostanza, a conclusioni analoghe, richiedendo anch’essi, per la configurabilità del reato, la prestazioni ed attività ulteriori rispetto alla mera locazione, cosicché può dirsi ormai superato il più risalente e minoritario orientamento cui pure la richiamata decisione fa cenno (v. Sez. III n. 12787, 11 novembre 1999; Sez. III n. 2582, 25 novembre 1994; Sez. III n. 11407, 10 novembre 1987; Sez. III n. 2676, 21 marzo 1985 Sez. III n. 1551, 31 gennaio 1969).
8. Ciò posto, deve rilevarsi che, nella fattispecie, non viene posto in evidenza dalla Corte territoriale alcun elemento obiettivo dal quale trarre la conclusione che il canone di locazione richiesto dall’imputato alle donne fosse superiore da quello di mercato o che, comunque, tale prezzo venisse praticato nella consapevolezza di poterlo ottenere a causa dell’attività che sarebbe poi stata svolta negli appartamenti locati, essendosi i giudici limitati, come si è già detto, a riproporre acriticamente le risultanze del giudizio di primo grado senza fornire adeguata risposta all’appellante.
Anche per tale ragione, dunque, si impone l’annullamento della decisione impugnata con rinvio alla Corte territoriale competente affinché provveda colmare le lacune motivazionali in precedenza indicate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia.